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Una Riflessione su Destra e Sinistra : parliamo di rapporti tra diverse aree

Publie le giovedì 1 luglio 2004 par Open-Publishing

Ne parliamo ancora perché il dibattito che scaturirà in questo lasso di tempo prima delle politiche poi, e delle elezioni regionali antecedentemente, è certamente la maggiore preoccupazione non solo dei quadri dirigenti ed alti papaveri di partito ma anche di chi, con occhio critico guarda al dopo Berlusconi.

Dopo Berlusconi significa, detto col senno di oggi, nient’altro che una linea grigia che dovrebbe fare da ponte tra un centro-sinistra svuotato di significato storico e programmatico che si appoggia ad un cauto neo-liberismo di stampo tiepidamente occidentalista, ed una diversa “gamba” di una sinistra che dopo anni di confronto-scontro e di battaglie dalle sacche piene di sabbia del deserto, si ritrova ad un tavolo comune di opposizione al nuovo regime mondiale delle cose, facendo valere una voce che si fa veicolo di un enorme pezzetto di opinione pubblica che contribuisce intellettualmente alla ricerca di risorse alternative nonché alla tradizionale campagna di dissenso verso temi di interesse che i politici di governo sembravano voler ignorare ma che, alla luce di risultati e numeri che bacchettano in maniera palese questa maniera di porsi nei confronti dell’elettorato, devono per forza di cose prendere atto della loro posizione ambigua e rispondere in maniera chiara e forte verso tutti coloro che hanno riscoperto il dolce senso di opporsi alle cose con i giusti strumenti.

Se vagliamo le elezioni con il termometro dell’andamento del pensiero dell’opinione pubblica ricaviamo due risultati essenziali.

Oggi le politiche di moderatismo ritornano in auge in quella fascia di elettorato desiderosa di pace sociale e di riforme che guardino più al plurale che non al singolare dei centri di potere, pure si ritrova il senso invece, di quell’altra fascia d’opinione che oltre a paventare un cambiamento serio e radicale delle istituzioni per la salvaguardia dello Stato Sociale, si è resa conto, una volta di più, che ciò che più può giovare al paese è una politica miratamene di sinistra che sia vincolata al dibattito sul ripudio di qualsiasi guerra offensiva imperialista, sulla pace diretta conseguenza della prima proposizione, sulla giustizia sociale (pensioni, sanità, scuola, diritti elementari, ecc.), sulla cultura (che più di ogni altro settore sta risentendo dello stato di imbavagliamento dei sistemi informativi massificati) e dell’economia.

Oltre quindi, a tutte le opinioni che ogni persona può avere o non avere sulle proposizioni di pace e di opposizione all’imperialismo dei paesi industrializzati, oggi, il dolore forte ed acuto, lo si mira in materia economica.

Parliamo della fascia moderata dell’elettorato.

Questo governo, attraverso trovate spettacolaristiche da baraccone, aveva stipulato un vero o presunto “contratto con gli italiani” che con sistematicità teutonica, è stato disatteso in ogni punto, o meglio, è stato attenuato nei contenuti, che pure erano scarsi all’economia nazionale, attraverso strumenti che sanno tanto di pietà sociale che non di riforme.

E’ un dato di fatto che con la minima percentuale di pensioni sociali aumentate non si è dato di certo un impulso alla crescita del benessere e dei consumi che, oltre ad essere indicizzati secondo cifre false, sono stati anche attaccati da ogni parte grazie all’euro ed al conseguente tasso inflativo maggiorato. E questo non riguarda di certo solo il tema delle pensioni sociali. Salari e stipendi ad oggi, hanno un potere d’acquisto tra i più bassi d’Europa, oltre che, guardando ai dati storici prettamente nazionali, tra i più bassi degli ultimi venti anni.

Altro dato di fatto è che, le classi più abbienti, rappresentanti un capitalismo ormai in stato comatoso cercano in ogni modo di recuperare risorse erodendo il già traballante equilibrio sociale coi sindacati oltre che in un mercato che, è soggetto ad una retrocessione in pieno vigore ed oltretutto saturo e quindi, non più produttivo.

Ecco perché si fa un gran parlare di aziende che investono capitali all’estero e non più in Italia: proprio perché il mercato estero, soprattutto quello riguardante i paesi in crescita, come la Cina, offre maggiori fonti di guadagno e quindi, di speculazione. Il mercato Italiano invece no.

Gli industriali, i grandi gruppi capitalistici, non si fanno certo abbagliare dai faccioni paciosi e liftati che si vedono in tv; guardano ai mercati, agli indici delle borse europee per credere in un’Europa unita, ed a quelli mondiali per paventare un “mercato liberista mondiale”.

Se questi indici economici, nonostante tutti gli sforzi dei governi centrali che sembrano più improntati a resuscitare un morto che a dare impulso ai flussi di danaro, non riescono a dare risultati soddisfacenti, anche i gruppi di capitale cominciano a pensare che qualcosa non vada, che un programma di governo debba essere corretto se non rivisto radicalmente, e se tutto ciò viene prevaricato, non si può certo pensare che essi siano disposti a battere le mani ad ogni discorso ufficiale.

In sintesi: questo governo è soggetto ad un dissenso da parte della media ed alta borghesia, nonché delle multinazionali, nonché dei grandi gruppi di capitale, e ciò è suffragato dal fatto che, la Confindustria e la stessa Banca d’Italia per bocca del Governatore evochino riforme improntate ad un senso liberista dell’economia che però, è totalmente diverso da quello dell’attuale classe dirigente governativa che, con la sua intenzione di privatizzare e surclassare la macchina pubblica (comprensiva delle risorse) semplicemente, per renderla produttiva, spezzettandola in tante microscopiche unità che, secondo la testa dei ministri economici, dovrebbero essere di più facile gestione.

E’ facile dire: io governo ti svendo un pezzetto di bene pubblico, tu imprenditore con le tue capacità saprai farlo fruttare, sull’unità che ti ho venduto però, tu dovrai pagarmi le tasse, se produrrà o no a me non interessa, il tuo utile però, se sarai bravo, rimarrà intatto.

Questa non è maniera di fare politica economica anzi, non è proprio maniera di affrontare i problemi che, vanno risolti in toto e non un pezzetto alla volta perché, il bene pubblico viene goduto nella sua interezza dalla collettività e non in parti similari di esso.

Dunque ci si rivolge a politiche moderate, di pace sociale, in memoria di concertazioni e di aggiustamenti che possano, in una maniera o nell’altra, far si che il carrozzone, ammaccato come sia, vada pur sempre avanti. Ecco perché molti voti di Forza Italia si spostano al centro, avendo saggiato con orrore, quanto sia aggressiva una politica d’azzardo e rischio. Della serie, non tutti hanno la tempra del Barone Rosso.

Se Atene non ride, Sparta non piange però.

Vado predicando questa frase semplice semplice, non certo da oggi e sempre avendo l’occhio ai numeri, registro anche dal lato di sinistra, una disaffezione alla politica riformista e moderata del Listone Ulivo che pure si era preposto a catalizzatore dei voti di quel famoso “serbatoio” di consensi secondo la legge, tutta italiana, che, il consenso si misura in base agli umori dell’uomo medio che non cerca altro che semplici cose e che teme gli strappi violenti.

L’Ulivo, ha fallito il proprio obiettivo.

Non si è raggiunta quella soglia del 33% dell’elettorato che lo ha votato, ovverosia, ad oggi, non è assolutamente vero che una persona su tre vede in Prodi o Rutelli il possibile nuovo Primo Ministro.

Questo non perché la cittadinanza non sia ricettiva o scontenta della politica ultra-liberale del governo delle destre ma perché la base dell’elettorato di sinistra non è certo composto da persone che stanno a tentennare sui propri diritti e non cercano di certo mediazione.

Certo, nel listone stesso il secondo cespuglio è costituito dalla margherita, moderata essa stessa, ma, non bisogna mai dimenticare che le altre due ruote del triciclo sono rappresentate dai Ds e dallo Sdi, ovverosia, da socialisti ed ex o post, o come diavolo volete chiamarli, comunisti.

Nei Ds in particolare c’è una corrente che fa capo al Compagno Fabio Mussi ed al Sen. Previti che si chiama Correntone e che ha sempre fatto la voce grossa riguardo alle scelte più moderate del partito sotto la guida di D’Alema e di Fassino.

Questo correntone, secondo buone stime, rappresenta un buon 40% della base dei Ds, ovverosia di tutti coloro che non intendo proprio per nulla concedersi alla politica di un nuovo establishment di stampo filo-americano ma, ricalcano la tradizione di opposizione e di lotta che era il vecchio PCI, con tutti i meriti ed i demeriti che il vecchio partito aveva ma che, nei momenti cruciali della storia repubblicana sapeva benissimo dove pescar consensi ed idee, che non erano di certo l’URSS ma bensì il movimento operaio che aveva, col PCI, una forte rappresentanza ed una tutela ai vertici dei propri diritti.

Da questo punto di vista si può capire benissimo perché tanti che avevano sempre votato Ds si sono spostati a sinistra votando il PRC che pure ha fatto un passo importante negli ultimi tempi, riuscito a metà secondo un mio parere, e che è rappresentato dalla comunione, anzi, dall’aggregazione ai movimenti che, recependo la politica di lotta che i compagni di rifondazione potrebbero attuare in sede governativa, hanno trovato una giusta politica, per una giustissima causa.

La dirigenza del PRC difatti, secondo astuta mossa, sin dalla manifestazione di Genova si è schierata e si è detta totalmente in armonia con le proteste del popolo no-Global, catturando così una nuova base di voti che pure comprendeva quelli dei lavoratori arrabbiati e dei meno abbienti tradizionalmente legati al PCI.

Il compagno Bertinotti alla luce di ciò, in ogni discorso pubblico, non fa altro che porre l’accento sull’importanza che il Movimento dei Movimenti riveste, dicendo, a chiare lettere che il percorso del suo partito, coincide con quello iniziato dalla “Marcia della Pace di Assisi-Perugia”.

Questo è importante perché, non svilendo la realtà storica di un partito comunista che, oggi è la quarta forza politica del paese, raccoglie nuove energie e risorse in un movimento eterogeneo che fa leva sulle battaglie umane condivisibili da un ampio spettro di cittadinanza non solo nazionale ma anche europea e mondiale.

I numeri mettono in evidenza rapporti di forza, nell’uno come nell’altro schieramento e se nella CdL, oggi i cespugli reclamano maggiore pluralità nelle scelte di governo, a sinistra si mira ad un’alleanza che sia anzitutto propositiva per battere le destre (primo obiettivo), e poi che si dimostri realmente per quello che è, e cioè una coalizione (federazione, chiamatela anche questa come vi pare) che abbisogna dei voti del PRC per poter governare.

Ma come si fa a governare se molti nodi sono incompatibili e se molte idee sono distanti?

Questo è il problema che, vogliano o non vogliano i dirigenti dell’Ulivo, debbono risolvere e solamente con una correzione di rotta che sia nettamente di sinistra e che condivida le scelte di una opinione pubblica che si è stancata delle questioni di poltrona e reclama invece, una politica, lo ribadisco, di chiarezza e di cambiamento radicale.

Il guaio però, parlo sempre dell’Ulivo, è che, il rapporto di forza, in questo frangente lo regola non più una lista confederativa con pochi obiettivi in comune, ma il quarto partito italiano più un enorme fetta di parere pubblico critico, più altri partiti e partitini che pur credendo in una sinistra di governo assumono posizioni chiarissime in materia di contestazione sociale.

Lo spettro che Bertinotti ed altri agitano nei confronti del Listone, quindi, è una seconda “gamba” della sinistra che, guarda caso oggi ha più forza essendo europea e mondiale e che, da sola, riesce a captare circa il 12% dell’elettorato.

Dunque, senza quel 12% hai voglia a cantar vittoria, che poi non c’è.

Il dato che quindi scaturisce molto più chiaramente da tutti questi giochi e giochetti è uno solo e per bocca del compagno Bertinotti è chiaro e trasparente:

“Oggi, nelle nostre battaglie, non siamo più soli”

Evviva la nuova sinistra che verrà!

Saluti Comunisti