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Uscita dall’euro - Rifondazione viola un tabù ...
par sollevazione
Publie le venerdì 20 luglio 2012 par sollevazione - Open-Publishing2 commenti
Eppur si muove

il sinedrio dei farisei, detto Parlamento, ratifica Fiscal compatct e MES/ESM
Ieri la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato il famigerato Fiscal compact. 368 favorevoli, 65 contrari, 65 astenuti. Contro hanno votato i leghisti, l’Idv e un’ampia pattuglia del Pdl (altri 43 pidiellini non hanno partecipato al voto). Tutti i deputati del Pd hanno votato a favore, beninteso.
Subito dopo via libera anche alla ratifica del nuovo Trattato MES/ESM, 325 favorevoli, 53 contrari e 36 astenuti. Quelli dell’Idv questa volta si sono astenuti. Un atteggiamento grottesco, visto che il MES/ESM, per ciò che attiene a politica economica antipopolare e lesione della democrazia, decisamente peggiorativo del Fiscal compact. I peones del PD, di nuovo compatti a favore —il che fa di loro dei veri e propri ultrà della dittatura oligarchica europea, le guide indiane degli occupanti, i campioni della svendita della sovranità nazionale.
Ieri, insomma, il Parlamento dei farisei e dei sicofanti, ha compiuto un gesto di portata storica! E’ quindi assolutamente clamoroso e indegno il silenzio dei telegiornali e dei principali quotidiani, che hanno relegato la notizia nelle pagine interne, o non ne hanno parlato affatto. La qual cosa attesta come quella dei giornalisti sia, nell’ambito della casta, la fazione più ignobile.
In questo panorama ci pare degno di nota quanto pubblicato oggi sul sito di Rifondazione comunista (vedi più sotto). Si tratta di un articolo firmato, non di una presa ufficiale di posizione. Tuttavia, per la prima volta, dalla tribuna del Prc, si alza una voce che afferma che «...non vi è ormai altra alternativa a quella dell’uscita dall’Euro. La quale, da decisione si trasforma in necessità indotta dagli eventi... E, come i fatti stanno dimostrando, la chiave decisionale non è un’inesistente Europa, ma sono gli ancora esistenti (per il momento), Stati Nazionali».
Se son rose fioriranno, verrebbe da dire. C’è di che essere pessimisti, tuttavia. Troppi sono coloro i quali, in vece di pensare al futuro del popolo lavoratore sono occupati a mercanteggiare col Pd uno strapuntino nel futuro Parlamento.
«Ratificato il Fiscal compact. E ora?»
di Rodolfo Ricci*
Nel più ampio silenzio mediatico che si sia mai registrato (assenza di servizi radiotelevisivi pressoché totale, autocensura della quasi totalità dei giornali), la Camera dei Deputati ha ratificato oggi, con grande zelo e senza alcun dibattito significativo, con l’opposizione di 65 parlamentari di Italia dei Valori e Lega e con l’astensione di altri 65 parlamentari, il cosiddetto “Fiscal Compact”, che entrerà in vigore il prossimo gennaio a condizione che almeno 12 paesi lo abbiano ratificato (al momento erano solo 9, Cipro, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Portogallo, Romania e Slovenia).
L’Italia è quindi il decimo paese. Come si vede non ci sono ancora né Francia, né Germania, paese in cui la Corte Costituzionale si è riservata di emettere entro Settembre, la propria sentenza sulla costituzionalità o meno del provvedimento, che limita definitivamente e rende permanente, almeno per i prossimi 20 anni, la sovranità dei singoli paesi che lo accettano in materia di politica economica e sociale.
Il «fiscal compact» prevede infatti, come punti centrali, “l’impegno delle parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall’entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la ‘regola aurea’ per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo”. “Qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60%, (in Italia siamo al 120%) le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno per la parte eccedente tale misura”. “Qualsiasi parte contraente che consideri un’altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio può adire la Corte di giustizia dell’Ue, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea”.
Il meccanismo significa per il nostro paese la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di ruolo pubblico nello sviluppo (già peraltro ottenuto con la recente l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione), ma soprattutto obbliga al rientro del 50% dell’ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60% del PIL.
Attualmente il nostro debito è pari ad oltre 1.900 miliardi Euro e raggiungerà entro fine 2012/inizio 2013, i 2.000 miliardi di Euro.
Dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del Deficit di bilancio, al finanziamento dell’ESM e di probabili altre misure a salvataggio di altri paesi della zona Euro, dovremo aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 Miliardi all’anno da reperire con salassi generalizzati sulla ricchezza pubblica e privata italiana.
E questo non per un anno, ma per i prossimi 20 anni. Con questo provvedimento, il futuro di due e più generazioni di italiani è ipotecato e ancorato ad una nuova e permanente dimensione di miseria sociale. Il patrimonio pubblico sarà sacrificato sull’altare di questa decisione ideologica del neoliberismo che ha messo al rogo Keynes e le sue scoperte decisive per lo sviluppo del modello sociale europeo della seconda parte del ‘900, ed con cui una classe politica imbelle, totalmente ignorante delle conseguenze di ciò che ha sottoscritto, ha abdicato senza averne adeguata coscienza o per costitutiva subalternità, al ruolo che i principi democratici riconquistati nel dopoguerra e la Costituzione Italiana le avevano riservato.
Sarà bene tenere a mente i nomi di questa banda di irresponsabili bipartisan (del PDL del PD dell’UDC e degli altri gruppuscoli che sostengono Monti) che al Senato (il 12 luglio scorso) e alla Camera (oggi 19 luglio) hanno votato a favore: abbiamo 20 anni ed oltre per ricordare in ogni occasione a queste persone il danno decisivo e irrecuperabile che hanno causato con questa decisione al nostro paese.
La decisione di oggi rende tra l’altro insignificante la presunta battaglia politica tra il cosiddetto centro-sinistra e il centro-destra a cui dovremmo assistere di qui a poco: qualsiasi maggioranza parlamentare e qualsiasi governo ne risulti eletto alle prossime elezioni, a meno che non decida di uscire dall’Euro e dall’Unione Europea denunciando questo contratto e i trattati, non avrà alcuna possibilità di rinverdire le sorti economiche del paese e il recupero di uno spazio sociale coerente con i principi dello Stato Sociale.
Si può dire che con l’approvazione del Fiscal Compact, termina definitivamente, in Italia, la democrazia fondata sulla sovranità popolare e nazionale.
Si apre una nuova epoca post-democratica, post-capitalistica e dai caratteri autoritari e neo-feudali, una configurazione che è la sola, secondo i sostenitori postumi del neoliberismo, per garantire la sopravvivenza sistemica di poteri nazionali ed internazionali costituiti dai processi di finanziarizzazione dell’economia, dei beni comuni, della natura e della vita di centinaia di milioni di persone.
La decisione presa costituisce infatti un volano formidabile di ulteriore recessione, una spirale senza fondo che si aggraverà di anno in anno e che non raggiungerà alcuno degli obiettivi decantati dalle elite tecnocratiche europee: il prossimo anno, i miliardi da sborsare per soddisfare solo la decisione assunta oggi dal Parlamento, in corrispondenza di un PIL che diminuirà almeno del 2% nel 2012, farà lievitare le 20 rate annuali, ben oltre il previsto, rendendone impraticabile la gestione, a meno di una svendita progressiva dei beni fisici del paese, cioè di una nuova colonizzazione dell’Italia. Il salasso finanziario imposto dal Fiscal Compact sarà del 2,5% del PIL attuale, a bocce ferme, ma facile ipotizzare che esso possa cresce fino al 3-4%.
Alla fine del ventennio, nel 2043, il bel paese potrebbe assomigliare ad un grande spazio geografico simile a quello del dopoguerra, le cui maestranze saranno state riconvertite in guide turistiche e camerieri al servizio dei turisti dei paesi avanzati d’Europa, d’Asia e d’America.
Una nuova Dolce Vita e magari nuove Cinecittà, insieme allo svuotamento del territorio delle nuove generazioni in fuga verso altri lidi.
Non tutto è perduto, tuttavia, ammesso che, a questo punto, tutte le ambiguità e le incertezze presenti nella sinistra sociale e politica vengano sciolte: se si vuole continuare a pensare ad un futuro potabile e sostenibile socialmente, non vi è ormai altra alternativa a quella dell’uscita dall’Euro. La quale, da decisione si trasforma in necessità indotta dagli eventi.
La posta in gioco è ora o il declino sociale definitivo gestito e condotto dai poteri delle elites interne ed esterne, oppure recuperare sovranità e democrazia rischiando periodi certamente molto difficili e dolorosi, come altre situazioni ci hanno mostrato, ma recuperando alle popolazioni, il ruolo di decisore.
Il un certo senso, si tratta di decidere se ci accodiamo all’antica abitudine di “Francia o Spagna (oggi Germania) purchè se magna”, oppure se riproviamo, come in altri contesti storici risorgimentali, a contare sulle nostre forze, espungendo tutti gli elementi di costrizione esterne e di subalternità di classe interne.
Secondo alcuni c’è una terza via, che sarebbe la più sensata e politicamente corretta, quella di una reale e completa unità politica europea e di un nuovo protagonismo delle classi lavoratrici del continente. Ma questa possibilità esisteva, per quanto ci riguarda come italiani, fino a ieri.
Da oggi questa prospettiva è casomai da recuperare solo con passaggi nazionali che impongano la distruzione dell’Europa neoliberista e la sua ricostruzione in Europa sociale; in cui si sia capaci di imporre il recupero dell’equilibrio tra pubblico e privato, di processi democratici autonomi e non subalterni ai mercati, di mettere un guinzaglio ferreo e permanente alla finanza, allo strapotere dei megagruppi bancari e alle imprese multinazionali: insomma solo a condizione che si estrometta per sempre l’ideologia neoliberista e che si inauguri il nuovo paradigma di sostenibilità sociale ed ambientale, di una nuova centralità dell’uomo e della vita contro la riduzione dell’uomo e della vita a numeri e rapporti contabili.
Tutte cose giuste e condivisibili, ma dal punto di vista politico, ciò può avere qualche chance di realizzarsi solo se, al punto a cui siamo arrivati, saremo in grado di far saltare il banco.
E, come i fatti stanno dimostrando, la chiave decisionale non è un’inesistente Europa, ma sono gli ancora esistenti (per il momento), Stati Nazionali. E’ a questi, infatti che si è chiesta la ratifica della nuova dogmatica. E’ da questi che essa può essere fatta saltare.
* Fonte: rifondazione.it
Note
[1] Si tratta di un accordo di diritto internazionale, posto fuori dall’ambito giuridico del Trattato di Lisbona e, pertanto, non (ancora) rientrante nel diritto comunitario. L’accordo si coordina con le norme del cosiddetto “Six-Pack”, evoluzione del Patto di stabilità e crescita per rendere più unitaria, rapida ed efficace la governanceeconomica dell’Unione (che in passato, per la verità, non ha dato grande prova di sé, mancando di una “cabina di regia” unica).
Il Fiscal Compact prevede una serie di “regole d’oro” che ruotano attorno al principio dell’equilibrio di bilancio. In particolare, questi i principali punti contenuti nei 16 articoli del Trattato:
1) Il deficit strutturale di ogni Paese non deve superare lo 0,5% del PIL (l’1% nel caso in cui il debito pubblico sia inferiore al 60%).
2) Gli Stati con debito pubblico superiore al 60% del PIL hanno tempo 20 anni per rientrare al di sotto di tale soglia, ad un ritmo pari ad un ventesimo della quota eccedente per ogni anno.
3) Ogni Stato deve garantire correzioni automatiche quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati, con precise scadenze.
4) Il rapporto deficit/PIL deve essere mantenuto sempre al di sotto del 3%, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; sanzioni semi-automatiche scatteranno in caso di mancato rispetto del vincolo.
5) È previsto l’impegno ad inserire le “regole d’oro” nella Costituzione (o comunque nella legislazione nazionale), con verifica da parte della Corte europea di giustizia, a Lussemburgo.
6) I 17 Paesi dell’Eurozona si impegnano a riunirsi almeno 2 volte all’anno in periodici vertici.
[2] Staremo a vedere se la Corte costituzionale tedesca approverà il MES/ESM. La decisione verrà presa a settembre. la ragione per cui la Corte si è presa tempo è chiara: il MES/ESM implica non solo una deroga al Tratto di Lisbona del 2007, ma la più grave offesa alla sovranità nazionale dei singoli paesi. Il MES/ESM di fatto sottrae ai singoli paesi la facoltà di decidere e stabilire una sovrana politica economica, delegandola ad un organismo, quello del MES appunto, che non risponde a nessun parlamento, ma solo ad una ristretta oligarchia asservita ala grande finanza globale —"piccolo" particolare: le deliberazioni del MES sono incontrovertibili, i Parlamenti nazionali non potranno né opporvisi né ritardarle, saranno immediatamente esecutive. Da notare che gli stregoni del MES/ESM godranno della totale immunità e saranno legibus solutus.
http://sollevazione.blogspot.it/2012/07/uscita-dalleuro-rifondazione-viola-un.html
Messaggi
1. Uscita dall’euro - Rifondazione viola un tabù ..., 23 luglio 2012, 14:29
Uscire dall’euro si può è assurdo dire il contrario ma il problema è che nessuno ne ha mai quantificato i costi.10%, 50% ,90% chi può dirlo? Di certo cambiare dall’euro a lira non è gratis!!michele
1. Uscita dall’euro - Rifondazione viola un tabù ..., 23 luglio 2012, 19:28, di K.
Perchè invece rimanere schiavi dello spread e dei "consigli della Bce", delle spending rewiew e del "pareggio di bilancio" è gratis ....
Si è visto .... e ancora lo vedremo ....