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La Francia di Zidane ultimo spauracchio per gli azzuri

Publie le domenica 9 luglio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Francia Francesco Giorgini Sport

L’italia di Lippi incontrerà in finale la stessa nazionale che ci eliminò nel ’98 e nel 2000. Una rimpatriata tra amici, ma soprattutto l’occasione di chiudere un conto aperto

di Francesco Giorgini Parigi

Inutile negarlo avremmo preferito il Portogallo. Invece ci tocca la band à Zizou: la generazione più vincente nella storia del calcio transalpino. Quelli che hanno cancellato la leggenda dei Platinì, Giresse e Tiganà che erano stati capaci per légerté de l’être di farsi rimontare due gol dalla Germania nei tempi supplementari della semifinale a Siviglia, di Spagna ’82. Per i francesi, fino all’arrivo di Zidane e compagni, la nemesi del ballon rond era spremuta in quella brillantissima, struggente e irreparabile sconfitta.

Poi però la fortunosa congiuntura astrale o piuttosto sociale ed economica si è messa in moto. I centri di formazione francesi, i migliori del mondo regolati e costruiti sul modello federale di un servizio pubblico di qualità, hanno partorito una brillantissima generazione di meticci con una maggioranza di giocatori figli o nipoti di immigrati dalle ex colonie o dei territori d’oltremare. Il calcio un po’ ovunque è sempre stato storia di proletari, rari sono i calciatori cresciuti tra le essenze di rododendro di un giardino alla francese nel fresco di fontane in alabastro. Il football è carambola di lattine appiattite, vicoli e campetti spelacchiati. In Francia poi è sempre stato anche storia di immigrati. Negli anni ’30 e ’50 erano slavi, polacchi, italiani, spagnoli e portoghesi, scappati dalla miseria o delle persecuzioni politiche a rimpolpare le fila dei bleus. E da vent’anni sono i ragazzini delle banlieues a riempiere i centri di formazione di questo gioco un po’ cialtrone fatto coi piedi. La generazione Zidane appunto, ma che nel calcio liberalizzato del dopo Bosman ha viaggiato e imparato, soprattutto in Italia, che solo la vittoria vale devozione e sudore.

Quella che l’Italia incontra domenica sera a Berlino è una squadra con una difesa seconda, forse, solo a quella nostrana. Tanto tecnica quanto fisica e che può permettersi di tenere tra i pali un Fabien Barthes che è forse l’unica incertezza, comunque non è poco, dell’11 francese. Una difesa simile a quella che nel ’98 portò i francesi al titolo finendo come la migliore del torneo. In mezzo al campo Viera e Makele poco dediti al fraseggio, ma capaci di mangiarsi il centro campo del Brasile o di asfissiare quello della Spagna. Davanti ci sono, Henry che è uno dei cinque migliori attaccanti del mondo, per fortuna finora non all’altezza della sua reputazione, e il giovane dalla faccia sfregiata, Frank Ribéry che è il nuovo gioiellino conteso dai migliori club europei. E poi c’è Zinedine di cui si è detto tutto e tutto si potrebbe ancora dire, tanto sobrio quanto geniale, tanto schivo quanto determinante; e che non poteva sperare in un miglior palcoscenico per fare l’ultimo inchino. Questa è una squadra, come quella del ’98 o peggio del 2000 capace di vincere con un golletto di scarto pur essendo dominata, come in semifinale con il Portogallo. O di tenere il vantaggio minimo per un’ora, rischiando poco o niente, contro il Brasile della premiata ditta Ronaldo e soci.

Detto questo c’è da sperare nella sazietà di un gruppo che ha già vinto tutto; che ha già compiuto l’impresa, quella di eliminare la Seleçao delle meraviglie. E per cui l’obiettivo irrinunciabile e già raggiunto era quello di, come suol dirsi, chiudere in bellezza e riscattare la figuraccia di Corea 2002. E poi c’è la drammaturgia e la solennità dei miti del pallone per cui, perché la vittoria del ’98 resti leggendaria, sarebbe opportuno che rimanesse, almeno per qualche lustro, unica. Tanto più che il Paese non è più così speranzosamente bleu-blanc-beur come otto anni fa. Non c’è più la “gauche” al governo, ma una destra arrogante e disinibita decisa a prosperare sulle erre e sugli slogan di un Le Pen che nel 2002 è arrivato al ballottaggio presidenziale. Da allora, tra spallate al welfare-state e allo statuto dei lavoratori, clientele e bassa cucina di palazzo, ci sono stati: la rivolta della banlieue, lo stato d’emergenza, le leggi anti-immigrazione e la resistenza contro le espulsioni dei bambini sans-papiers iscritti nelle scuole della repubblica.

E allora la band a Zizou, per non fare un regalo troppo bello e inatteso a questo moribondo governo Villepin, a questo crepuscolare presidente Chirac e al loro sinistro erede Sarkozy, potrebbe, nello spirito del buon francese Barone De Cubertin, contentarsi, domenica sera, di partecipare.

http://www.liberazione.it/giornale/060707/LB12D6C6.asp