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Un’altra politica: reti e pratiche mutualistiche, senza capi assoluti

Publie le martedì 27 maggio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Un’altra politica: reti e pratiche mutualistiche, senza capi assoluti

Giovanni Russo Spena - articolo pubblicato su Carta di questa settimana

Non solo sarò all’incontro nazionale delle aggregazioni tematiche e delle reti locali, ma l’impostazione del documento preparatorio per “un’altra politica” è una messa a tema straordinariamente feconda per concepire la costruzione di un nuovo spazio pubblico. Nuovo spazio pubblico indispensabile, sia come ricerca teorica che come iniziativa politica. Perché la crisi della politica (e del costituzionalismo democratico) è tale da essere diventata vera e propria crisi della rappresentanza. Il PD, con la supplenza plebiscitaria, ne è prodotto e, nel contempo, accelerazione.

Temo che anche all’interno della crisi della sinistra la debolezza stessa dell’impianto analitico e progettuale sia pessima consigliera: cortocircuiti plebiscitari, partiti stretti attorno al leader che condurrà alla vittoria sono scorciatoie inefficaci e dannose. Perché fanno della democrazia organizzata, della partecipazione, del sistema delle regole macerie sotto i colpi di piccone della delega. Tanto più in un contesto in cui una forte torsione autoritaria, giustizialista, securitaria produce una semplificazione così brutale della rappresentanza da configurare un passaggio dalla democrazia autoritaria alla democrazia dispotica.

Occorre, allora, proseguire una ricerca innovativa iniziata sul campo: parlo, nella mia esperienza personale, della formazione del paradigma politico ed organizzativo della Sinistra Europea (troppo frettolosamente abbandonato quando è prevalsa, in Rifondazione, la necessità dell’unità dei gruppi dirigenti della sinistra nella Sinistra Arcibaleno). Il partito novecentesco, centralizzato, verticalizzato, che, quanto più è debole, tanto più si affida ad un leader mediatico (che non alimenta nemmeno la ricerca collegiale ma dirige costruendo intorno a sé una squadra coesa di collaboratori) è un ferro vecchio, una moderna satrapia. Che non riesce nemmeno più a fare inchiesta nella società, ad organizzare criticità ed iniziativa sociale nei territori, ma che vive di chiacchiere ideologistiche. I movimenti diventano ipostatizzati, non vissuti.

Concordo pienamente con un punto chiave del documento “un’altra politica: “chi dice organizzazione dice oligarchia, ed è quindi necessario predisporre forti contromisure contro ogni rischio di centralizzazione, verticalizzazione, burocratizzazone, autoreferenzialità, separazione”. L’unica organizzazione partitica oggi concepibile è il coordinamento di un sistema a rete, che esalti l’orizzontalità (contro la verticalizzazione), l’autonomia, il metodo della condivisione, la pratica del consenso nei processi decisionali. Un coordinamento retto da portavoci (una donna, un uomo) che eviti la ridicola liturgia dei segretari e la litania ormai fastidiosissima sui “capi assoluti”.

Non si tratta, ormai più, di dividersi tra “partitisti” e “movimentisti”. Anche perché dalla società non emergono solo “movimenti”; diffusa (nei territori) e matura (nei filoni di impegno) è la rete del nuovo associazionismo. Sono strutture tra loro molto diverse (dai Centri sociali, alle leghe antirazziste, ai gruppi del commercio equo e solidale, al contratto mondiale dell’acqua, ad Attac, ecc.) che coniugano conflitto e mutualità, cooperazione, socialità politica alternativa. E’ un complesso lavorìo, estremamente “politico”, la rete diffusa del “saper fare” sociale. Ha ragione Pino Ferraris, che pone acutamente il tema nel suo bel saggio sul numero 5 di “Alternative per il socialismo”: “assieme al conflitto, dopo lunga eclissi, riemergono le solidarietà positive, il far da sé cooperativo, la pratica dell’obiettivo. Si va oltre il movimentismo, ci si avvicina alla richiesta di un’altra forma di espressione della società politica”.

E’ evidente che la riflessione sulle narrazioni storiche delle forme di rappresentanza non può indicarci modelli per il presente ed il futuro. Anche perché non abbiamo certo bisogno di modelli, ma solo di sperimentazioni (e di riflessioni collettive sulle sperimentazioni). Eppure è di grande rilievo, come fa Ferraris nel suo saggio, discutere la vicenda del movimento operaio e socialista belga a cavallo tra la fine dell’Ottocento ed il Novecento. Perché si ritorna a grandi fratture storiche interne al movimento operaio che grandi conseguenze hanno, poi, avuto per un secolo: la dimenticata “Carta di Quaregnon” metteva al centro federalismo orizzontale, sindacalismo, mutualismo, mentre il “Programma di Erfurt” si affermò come manifesto del socialismo statalista di stampo teutonico. Una memoria storica, criticamente rielaborata, può forse esserci anche oggi di aiuto…. A partire dalla I Internazionale.