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Per un partito sociale “per fare” e “nel fare”

Publie le giovedì 29 maggio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

di Giovanni Russo Spena

Soffriamo molto, insieme al nostro popolo; ci manca l’aria. E sanguinano le ferite inferte da un dibattito congressuale in cui tanti presunti “innovatori” si trasformano in Pubblici Ministeri contro i presunti “conservatori stalinisti”. Banalità e noia. Mediocri ipocrisie tentano di infangare vite lunghe, “controcorrente”; per quanto mi riguarda sono comunista e non ho nulla altro da dichiarare; ero eretico ed antistalinista nei primi anni ‘70 e morirò eretico; aborro il “fazionalismo” come lo chiamava il grande Fortini; predicammo nonviolenza, disarmo unilaterale, garantismo già negli anni ‘70.

Altri compagni non lo fecero. Erano con Pecchioli. La “doppiezza” di colpire duro per poi spargere coltri di vittimismo rischia di creare bacini di rancori. Era preferibile il congresso a tesi: avrebbe decostruito la militarizzazione delle mozioni.

E’ bene, ora, che tutte e tutti ci sentiamo impegnati ad una gestione unitaria postcongressuale, pur nel massimo elogio dei dubbi, delle diversità, delle ricerche individuali e collettive. Ritessiamo le fila, intricate, della comunità, della connessione. Non siamo in vendita: noi riteniamo molto importante che il “veltronismo” entri in crisi; ma sappia D’Alema che siamo gelosi della nostra autonomia strategica; riteniamo utile la sua iniziativa interna al Pd; ma non siamo affatto una sua proiezione subalterna e, quindi, i nostri gruppi dirigenti ce li scegliamo noi.

Stiamo appena cominciando ad attraversare il deserto (quelle che ci appaiono oasi potrebbero, invece, essere ingannevoli, disperanti miraggi). Dobbiamo scegliere le priorità: ritengo che il nostro compito sia, ora, riorganizzare il nostro intervento sociale, la nostra linea di massa, senza teorizzare una scissione tra derive di “autonomia dal sociale”, da un lato, e “politicismo” dall’altro; penso sia l’unico percorso per ricostruire uno spazio pubblico (la gramsciana “trasformazione molecolare”); il punto di avvio è, allora, la “rifondazione” di Rifondazione Comunista in “partito sociale”, una Rifondazione Comunista indispensabile (anche se non sufficiente) per ricostruire gradualmente la sinistra, senza scorciatoie istituzionaliste, senza cortocircuiti plebiscitari e leaderistici (che, come ha scritto Rodotà qualche giorno fa, sono solo delega e sequestro della democrazia).

Io credo che la vera innovazione sia la democrazia organizzata, in un partito bisessuato che lotti ogni giorno contro il riprodursi del patriarcato; riprendendo, criticamente, il buon cammino della Sinistra Europea, la sua ricerca, il suo paradigma politico ed organizzativo (spazzati via dalla Sinistra Arcobaleno).

«Una sinistra svaporata nell’astrattezza«, come ha scritto Revelli, «nulla può contro una destra sociale, come quella di Tremonti ed Alemanno». La sinistra potrà ripartire solo se saprà “fare società”, ricostruire “il proprio popolo ed il proprio linguaggio” nella materialità dei conflitti, nell’antropologia dei nuovi territori, nelle vere e proprie mutazioni esistenziali delle precarietà, nelle angoscianti solitudini operaie, nei progrom del razzismo, soprattutto istituzionale, che sta sfregiando il nostro Stato di diritto in dispotismo, in satrapia, che sta bruciando i ponti della civiltà euromediterranea.

Il nostro impegno è per un “partito sociale” (anche nei comportamenti, nei costumi degli istituzionali, nei loro stipendi) che viva all’interno di un coordinamento, di un “sistema a rete” che esalti l’orizzontalità, l’intervento sul territorio, il mutualismo, la convivialità, l’antimafia sociale, l’associazionismo, la “confederalità dal basso”. Un nuovo spazio pubblico che è anche un complesso lavorìo (estremamente politico, non meramente movimentista), la rete diffusa del “saper fare sociale”.

I luoghi sono le “case della sinistra”, ovunque e subito. L’unità nasce “dal basso”, dal recupero del senso comune di quella “utilità” sociale e politica che il nostro popolo non ha più a noi riconosciuto, ritenendoci inutili. Le “costituenti” spaccano, invece, su un discrimine ideologico (e, alla fine del tunnel vi è, ovviamente, lo scioglimento di Rifondazione, non la sua maggiore efficacia, come viene inspiegabilmente sostenuto). Le forme dello stare insieme nascono “per fare” e “nel fare”. Ricordiamo il Majakovski che Peppino Impastato amava: “Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada».