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Nuove amazzoni: il movimento delle donne contro il cancro al seno

Publie le venerdì 16 luglio 2004 par Open-Publishing
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Dazibao


di Laura Corradi

Il libro

Le storie delle donne raccontate in questo libro hanno in comune la decisione
di dichiarare guerra al cancro, facendo di questa lotta un motivo centrale della
loro esistenza. Nel Cancer movement, che si è sviluppato negli ultimi anni negli
Stati Uniti, lottano fianco a fianco donne di diversa provenienza sociale, etnica
e politica, per opporsi ai "produttori di cancro", agli inquinatori e ai loro
fiancheggiatori, e per combattere politiche sanitarie ottuse e discriminanti.

Il movimento contro il cancro ha le sue radici nell’esperienza del femminismo
bianco statunitense e nel movimento per la salute sul lavoro; trova nuova linfa
nel movimento per la giustizia ambientale, tra gli epidemiologi popolari nelle
comunità a rischio e nei gruppi di scienziati ambientalisti che si oppongono
a spiegazioni della malattia genetiste, razziste e colpevolizzanti. Le diverse
parti dell’attivismo contro il cancro hanno in comune l’idea che la prevenzione
primaria sia l’area strategica, ma propongono anche altri obiettivi impellenti,
tra cui l’accesso generalizzato a diagnosi precoci a basso costo, la liberalizzazione
delle terapie alternative e l’assistenza gratuita ai malati terminali.

Mentre l’epidemia di cancro raggiunge un terzo dei cittadini statunitensi adulti, per richiamare l’attenzione dei media e del pubblico le attiviste mettono a punto atti di guerriglia semiotica che puntano ad attirare l’attenzione della dormiente e opulenta America. Nuove amazzoni contro l’impero del benessere, chiedono conto dei soldi spesi nella ricerca, esigono controlli sull’inquinamento elettromagnetico, vogliono "tolleranza zero" contro gli agenti cancerogeni e più risorse per le cure alternative.

Laura Corradi è docente presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università della Calabria. Ha insegnato alla University of California e ha all’attivo molte pubblicazioni sui temi della salute e dei movimenti sociali, tra cui Il tempo rovesciato (1991) e Il rischio dell’amore, con Renato Stella (1992). È coautrice della Guida alla salute della donna (2003) e ha curato, per l’European Women Health Network, il Country Report italiano (2000-2001).

Il testo

Helen Crowley è una professionista di Boston, soddisfatta del proprio lavoro, non ha alle spalle alcuna storia di militanza né nel femminismo né nel movimento contro la guerra. In seguito a una mammografia risultata negativa - dopo soli tre mesi - decide di farne un’altra: guadagna bene e può permettersi il lusso di una "seconda opinione" per dissipare i dubbi che le erano rimasti: la madre era morta di cancro al seno. I radiologi di un altro centro, visionando le immagini già prodotte, individuano un’area sospetta, sfuggita alla precedente lettura. Inviano una notifica alla ginecologa di Helen, che ne fraintende il contenuto e non dà avvio alla procedura di urgenza.

Passano così altri due mesi prima della seconda mammografia. "Nel frattempo il cancro si era drammaticamente evoluto - racconta - aveva i segni che indicano la metastasi". Le offrono lo stesso trattamento a cui era stata sottoposta la madre nel 1951. Sente il mondo crollarle addosso. "Sapevo di non volere un gruppo di supporto. Sapevo di essere furiosa e non volevo che nessuno mi battesse la mano sulla spalla per aiutarmi a superare la rabbia. Un giorno stavo andando in macchina a lavorare e sentii [alla radio] che il Cancer Project avrebbe tenuto un incontro per organizzare azioni politiche. Accostai e mi scrissi la data e l’ora: sarebbe stato il giorno dopo. Quella sera stessa cancellai tutti gli appuntamenti che avevo al lavoro. Da allora non ho perso una riunione".

Bonnie Withley è sempre stata attiva nella comunità afro-americana di Oakland come punto di riferimento delle donne, guadagnandosi la fiducia della sua gente. Inizia a lavorare nel movimento contro il cancro dopo la morte del padre. Anche suo fratello morirà a soli 26 anni a causa di un potente cancerogeno: l’amianto. Quale attivista, Bonnie lavora principalmente per le donne afro-americane, ma aiuta altre donne povere - oggi rinominate underserved nel nuovo linguaggio "politicamente corretto" che Bonnie si rifiuta di usare - indipendentemente dal colore della loro pelle: "Ho cominciato a combattere per le donne povere afro-americane, ma se trovo una donna che ha bisogno di accedere a un servizio sanitario, combatto per lei con la stessa intensità… Non posso voltare le spalle a una donna povera che ha bisogno di un medico, che sia bianca o altro, non posso farlo". Bonnie sostiene la necessità di messaggi preventivi "culturalmente sensibili": una delle ragioni per cui i programmi di salute non hanno successo è che vengono calati dall’alto, anziché essere creati all’interno delle diverse comunità etniche.

Diane Williams è "indiana d’America", militante da sempre sulle questioni dei prigionieri, lavora in una clinica nativo-americana nella Baia di San Francisco. Mi racconta quanto è dannoso il cibo dell’uomo bianco per la sua gente, lo stress a cui sono sottoposti coloro che vivono nelle riserve, la difficoltà di sopravvivere a un genocidio che continua. Un articolo del "San Francisco Examiner" parla di loro: "Il Dipartimento dell’energia ha sistematicamente usato la corruzione tra le popolazioni indigene negli Stati Uniti affinché accettassero i rifiuti radioattivi nelle loro riserve; in cambio di denaro, ovviamente. Le donne nativo-americane e i bambini mostrano cancro agli organi riproduttivi 17 volte più della media nazionale". Diane vive in un quartiere povero e degradato, ha due figlie che mantiene da sola, e un Master in Salute pubblica; si occupa della salute delle donne nella sua comunità, delle gravidanze. Mi mostra le magliette e le borracce con il logo del tradizionale "Sacro cerchio della nascita" (Sacred Cirle of Birth). Diane lavora per la prevenzione delle malattie più letali fra i nativo-americani, come diabete e tumori. Diventerà una delle principali organizzatrici delle marce delle attiviste (Cancer Walks), maratone attraverso le città per informare su cause e prevenzione del cancro; intreccerà una fitta rete di relazioni con/fra le altre intervistate della ricerca, che prima non si conoscevano.

Susan Claymon è una signora perbene che abita alla periferia di San Francisco vicino all’aeroporto: la nostra conversazione è frequentemente interrotta da aerei di linea che passano bassissimi. Vive in un condominio modesto ma, come la maggior parte dei cittadini statunitensi, pensa di appartenere alla classe media. È sempre stata repubblicana: ha votato per Bush e per Reagan, non aveva ragioni per dubitare delle verità griffate dalla rete televisiva Cnn. Dopo una diagnosi di cancro al seno la sua vita è cambiata profondamente. Adesso è politicamente attiva in un gruppo locale, Breast Cancer Action (Azione sul cancro al seno), che mette a segno atti di disobbedienza civile contro le corporazioni inquinatrici, i mass-media complici e le agenzie di protezione ambientale che non fanno il loro dovere. Susan partecipa a volantinaggi non autorizzati, e ad altri eventi pubblici per coinvolgere altre donne nella lotta.

Qual è il tratto comune che unisce Helen Crowley, Bonnie Withley, Diane Williams e Susan Claymon? Una diagnosi di cancro ricevuta personalmente o da una persona cara; nel caso di Diane, le molte diagnosi che hanno colpito la sua piccola comunità. Queste donne hanno dichiarato guerra al cancro, facendo di questa lotta un motivo importante della loro esistenza.

Nel Cancer Movement lottano a fianco a fianco donne di diversa provenienza sociale, etnica e politica, di diverso credo religioso e preferenze sessuali. Un movimento variegato che si sviluppa a macchia di leopardo, dalla costa atlantica a quella pacifica per opporsi ai produttori di cancro, le multinazionali inquinatrici (corporate polluters), e ai loro fiancheggiatori; e per dire no ai medici che vogliono gettare la colpa della malattia sulle vittime (blame the victim attitude).

(…)

L’esplosione di attivismo sul cancro avvenne prevalentemente grazie all’azione di donne malate di cancro al seno, che catturarono l’attenzione dei mass-media in maniera istantanea. La fase pubblica dell’attivismo sul cancro segue in termini di tempo quello sull’Aids - anche se la sua nascita, come vedremo, lo precede di un paio di decenni. Il movimento contro il cancro è un movimento di lungo respiro che, grazie all’attivismo sull’Aids, trova una strada aperta per esprimersi in maniera altrettanto dirompente, e un’opinione pubblica sensibilizzata e disposta a mettere in discussione le verità dei medici.

Dall’inizio degli anni Novanta - e in maniera crescente durante la prima amministrazione Clinton (1993-1997) - si assiste a un progressivo spostamento di interessi dall’Aids al cancro. L’attivismo sull’Aids (Act-Up) rappresenta anche, nella storia contemporanea degli Usa, l’unica occasione in cui una malattia fisica diventa una questione politica su vasta scala. Qui non analizzerò in maniera sistematica analogie e differenze tra i due movimenti. Certamente Act-Up è il modello più vicino di cui disponiamo quando consideriamo l’attivismo sul cancro, ma l’analisi delle differenze fra i due movimenti probabilmente oscurerebbe quella delle similitudini per tre ordini di motivi:

 1) l’Aids si presentò da subito come un’emergenza: una malattia contagiosa e nuova - che aveva spiazzato anche la classe medica, inizialmente priva di risposte - mentre il cancro esiste da molto tempo, anche se sicuramente il cancro in dimensioni epidemiche è un fenomeno nuovo. Questo significa che il movimento contro il cancro si è trovato di fronte a una struttura dirigente (establishment) molto più radicata e potente di quella affrontata dagli attivisti Aids;

 2) la maggior parte degli attivisti Aids inizialmente erano maschi gay, spesso di classe media o alta e con un buon grado di istruzione, mentre le attiviste sul cancro sono spesso casalinghe che confessano di sentirsi impreparate a condurre battaglie sociali o politiche;

 3) creare strategie di prevenzione primaria dell’Aids è una questione difficile per le reticenze sociali che implica - ma sicuramente meno complessa rispetto alla formulazione di strategie di prevenzione primaria per tutti i tipi di cancro.

16.07.2004
Collettivo Bellaciao

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