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LA CADUTA

Publie le giovedì 5 maggio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda

de Enrico Campofreda

“Anche se eravamo così giovani avremmo dovuto accorgerci comunque di quello che stava succedendo”. Se le parole postume dell’ex segretaria del Fuhrer riescono a far meditare la sua generazione, e soprattutto quelle successive, lavori come questo di Hirschbiegel raggiungono uno scopo. Perché la Germania - che pure nel maggio ’45 era un disastrato cimitero - ha attuato per anni la rimozione post bellica delle proprie responsabilità, trovando successivamente conforto nel revisionismo storico del professor Ernst Nolte.

Quella di Hitler, invece, fu follìa condivisa e con essa fanatismo, furia, orgia di violenza e l’anticipata inumazione degli ultimi dieci giorni da lui trascorsi fra i fedelissimi nel bunker sotto il Reichstag ne è una tragica conferma. La fine che si materializzava sulla porta di Brandemburgo o ad Alexanderplatz nelle artiglierie e nei carri sovietici che stritolavano con una morsa di fuoco Berlino era un incubo ma ai nazisti criptici del bunker sembrava un sogno da cancellare magari con la morte.

L’esempio lo diede proprio il Fuhrer applicando a se stesso le teorie razziste predicate per anni: aveva teorizzato nel Mein Kampf l’annientamento dei deboli poiché la Storia era fatta per i popoli forti. E i tedeschi vennero a un certo punto considerati tali dal loro capo che li accusò di viltà e tradimento. Era un Hitler completamente farneticante, piegato sulle sue mappe sotterranee, dissociato dalla realtà di superficie dove - quando le batterie sovietiche cessavano di scaricare granate - risaliva a fregiare con la croce di ferro il petto d’un esercito ormai di bambini mandati al massacro.

Eppure da grande attore tragico Adolf Hitler proseguiva la sua recita e seduceva parte del popolo che, nonostante il disprezzo ricevuto nell’ultim’ora, decideva ancora di versare sangue per lui. Per l’ultima difesa di Berlino furono create le Volkssturm che si ostinarono a una resistenza disperata. Mentre alcuni generali sempre più scettici si recavano a rapporto nel bunker invitando, invano, il Fuhrer alla resa.
Hitler pensava solo a sè e al suo rapporto con la Storia “Non capitolerò mai. Non mi lascerò catturare e condurre sbeffeggiato e umiliato per le vie di Mosca in una gabbia di scimmie” disse prima di attuare il suo piano di morte. Era collerico contro i gerarchi, contro le truppe delle SS di Steiner che non riuscirono a lanciare un contrattacco per alleggerire la morsa russa sulla capitale assediata, contro Goering e Himmler che lo abbandonavano e che lui accusava di tradimento. Contro Albert Speer che, pur mostrandogli devozione, non accettava la resistenza a oltranza. Gli erano rimasti accanto Goebbels, Bormann, Krebs che sceglieranno di seguirlo dandosi come lui la morte.

Morte con cianuro e colpo di pistola che il Fuhrer diede a sé ed Eva Braun, nelle ultime ore diventata sua moglie dopo aver guidato per giorni danze e feste sotterranee finalizzate più allo stordimento alcolico che all’alleggerimento dello spirito. I due corpi vennero bruciati con duecento litri di benzina davanti all’ingresso del bunker e dopo “l’orrendo foco” le autoesecuzioni proseguirono. La più struggente fu quella della famiglia Goebbels, eseguita da Magda la “madre ideale della Germania” come l’aveva definita Hitler. Avvelenò i sei figli suoi e di Joseph e poi offrì il petto alla luger del criminale marito.

Alla lugubre mattanza si salva Traudl Junge, la giovane e bella segretaria del Fuhrer. Aveva iniziato a lavorare con lui due anni prima, proveniva da Monaco, città per la quale Hitler nutriva un sentimento tutto particolare (la sua ‘carriera’ politica era iniziata lì con le persecuzioni di comunisti e socialdemocratici e col fallito putch del ’23). Traudl era una ragazza che come tanti concittadini non si poneva problemi né politici né ideologici, assolveva i propri compiti con dedizione e stando a fianco del dittatore aveva colto i rarissimi momenti sereni d’un essere nevrotico e disumanizzato dai suoi deliri. Subiva, come altri il fascino del capo, perché il popolo tedesco da anni aveva smesso di agire autonomamente e viveva la propria esistenza in funzione dei desideri di quell’uomo del destino. Paradossale il clima del bunker. Tra i generali nessuno più credeva alla possibilità di rovesciamento della situazione bellica eppure nessuno muoveva un dito, si aspettava lo facesse qualcun altro e l’immobilismo regnò sino alla soluzione finale cui alcuni non si sottrassero.
Molto più realisticamente alcuni generali cercarono nell’ultim’ora di non far versare ai tedeschi, spesso giovanissimi, altro sangue. E se gli ufficiali medici - in virtù dell’improbo lavoro e del terribile momento - nel sangue erano immersi, altri arrendendosi alle truppe dell’Armata Rossa di Koniev e Zhukov ponevano fine a uno dei martìri dell’umanità.

Della pellicola s’apprezza la fedele ricostruzione storica che s’avvale del contributo di Joachim Fest e l’ottimo cast degli attori. Spicca Bruno Ganz nell’improbo ruolo dell’Uomo del Male cui conferisce follìa, crudeltà, paranoia, tristezza, miseria umana, e paradossalmente anche isolamento e solitudine. Il dittatore è prigioniero e vittima del Male che ha creato e inseguito per tutta la sua esistenza con tenacia e cinismo, nel nome d’un popolo che in fondo odia come l’umanità intera quando dichiara: “Se la guerra è persa, non m’importa che il popolo muoia. Non verserò una sola lacrima per loro, non meritano nulla di meglio”.

Regia: Oliver Hirschbiegel
Soggetto e sceneggiatura: Bernd Eichinger
Tratto da “Inside Hitler’s bunker” di Joachim Fest e “Until the final houres“ di Traudl Junge e Melissa Muller
Direttore della fotografia: Rainer Klausmann
Montaggio: Hans Funch
Interpreti principali: Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Corinna Harfouch, Juliane Kohler, Ulrich Matthes, Thomas Kretschmann
Musica originale: Stephan Zacharias
Produzione: Bernd Eichinger
Origine: Ger, 2004
Durata: 130’