Accueil > Analisi/ Guerra in Iraq

Analisi/ Guerra in Iraq

Publie le jeudi 20 février 2003 par Open-Publishing
1 commentaire

Europa ed USA
FACCE OPPOSTE DELLA STESSA MEDAGLIA

Il 15 gennaio 2003 gli Stati Uniti chiedono formalmente alla Nato assistenza nel suo contenzioso con l’Iraq. Ma la Nato è pronta ad andare a fare guerra all’Iraq ? Cosa sta guidando le strategie dei principali governi europei nella crisi odierna ?

Molta della copertura della crisi Irachena ha contrapposto alla bellicosa amministrazione americana i più pragmatici atteggiamenti conciliatori degli stati europei. C’è della buonafede in tutto ciò : gli Stati Uniti credono sinceramente di essere in lotta con le forze nebulose del ’terrorismo’ e del ’demonio’. I politici europei, d’altra parte, guardano alla crisi corrente come a un problema di sicurezza serio ma non come ad una minaccia esistenziale. Si sono accorti delle intenzioni di Washington ma non si sa quanto sarà profonda la loro resistenza a questa guerra programmata...
Durante febbraio 2002, i progettisti della Nato scelsero di simulare una guerra contro l’Iraq come test annuale di gestione di una crisi - e si divisero. Stati Uniti e Turchia concordarono sull’opzione di una azione militare preventiva ma Francia, Germania e Spagna insistettero per disinnescarla diplomaticamente. Un ufficiale Nato suggerì che "c’era spazio per miglioramenti ". Secondo Annalisa Monaco, del Centro per la Sicurezza europea e il Disarmo, "il test mise in luce delle verità difficili sull’alleanza ", mettendo in evidenza disaccordi fondamentali dei suoi membri su come risolvere la crisi.
Come conseguenza parziale, la Nato resta prudente nell’apporre ostacoli formali all’azione in Iraq. La richiesta degli Stati Uniti per un’assistenza da parte della Nato del 15 gennaio fu limitata al sostegno logistico per garantire la sicurezza del "vicino" settentrionale del Iraq, la Turchia. Il vertice di Praga della Nato di novembre, offri solamente un mandato lieve per intentare una azione efficace vertente ad assistere e sostenere gli sforzi dell’ONU ad assicurare in pieno l’acquiescenza dall’Iraq. La Francia mise il veto ad ogni vertenza implicante l’uso automatico della forza ed il Cancelliere della Germania, Gerhard Schroeder, disse più tardi che le forze del suo paese non avrebbero partecipato ad alcuna azione militare contro l’Iraq.

La Nato é vitale per una guerra in Iraq

Lungi dal dimostrare l’inutilità della Nato, un conflitto con l’Iraq dimostrerà quanto importante resti l’organizzazione. Se aerei americani (e presumibilmente inglesi, e forse quelli francesi) bombarderanno l’Iraq, partiranno da piste di decollo costruite dalla Nato, saranno riforniti da petroliere Nato-compatibili, interagiranno con forze alleate secondo le procedure Nato, secondo quelle stesse procedure si sposteranno e viaggeranno nello spazio aereo disposto da alleati della Nato. Nessuna operazione degli Stati Uniti in Iraq, anche se fosse unilaterale, potrebbe avere successo senza l’infrastruttura provvista dalla Nato.

Ma ci sarà una guerra ? La retorica ha cambiato notevolmente campo. Non ci sono stati molti discorsi pubblici sul cambiamento di regime da mesi. Gli sforzi europei hanno persuaso più voci all’interno dell’amministrazione Bush ad accettare un ruolo per le Nazioni Unite. Questo non vuole dire che hanno cambiato idea, ma che concordano sul fatto che sarà più facile arrivare ai loro fini con l’appoggio internazionale piuttosto che senza.

Partiti diversi dell’élite Transatlantica hanno in gioco interessi diversificati in Iraq e stanno dibattendo su tre temi : la sopravvivenza delle Nazioni Unite, la stabilità nel Medio Oriente e la ricerca di profitto. La maggior parte degli interessati ammetteranno i primi due, poco confesseranno il terzo.

La Francia

Ad esempio la Francia. Che ha insistito per dipanare la crisi attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questo è un tentativo per contenere l’unilateralismo di Washington obbligandolo a lavorare con l’ONU. Ma è anche inteso a mantenere le posizioni della Francia nel mondo. Come sottolinea Francois Heisbourg, intellettuale francese della Fondazione per la Ricerca Strategica : "essere un membro permanente dell’ONU, dà alla Francia una posizione strategica globale, perciò la lotta francese è stata mettere l’ONU al centro dell’azione e tenercela. Questo è più prioritario rispetto al fatto che ci sia o meno una guerra ".
Infatti la Francia ha lavorato sodo per tentare di legittimare la politica dell’amministrazione Bush, inserendola nell’ONU e sostenendola diplomaticamente. Infatti si presume che é stato l’intervento personale del Presidente Jacques Chirac presso il Presidente della Siria Bashar al-Assad ad assicurare che le Siria votasse a favore della Decisione dell’ONU, permettendo a Washington di ottenere un appoggio unanime per la sua politica presso il Consiglio di Sicurezza.

Come i suoi partner europei, la Francia teme il tumulto che accompagnerebbe un’altra guerra in Medio-Oriente. L’instabilità mina il commercio, genera nuovi movimenti migratori e castra lo sfruttamento delle risorse, particolarmente in un periodo di rallentamento economico globale. Ma questo argomento é a doppio taglio e i falchi negli Stati Uniti lo stanno usandolo per promuovere un ampio cambiamento nel mondo arabo. "Si pensi a quanto più stabile e prospera potrebbe essere la regione con una nuova leadership" argomentano. Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Paul Wolfowitz, dice alla BBC (dicembre 2002) che vuole portare la democrazia nel mondo arabo - una visione particolare della democrazia sotto tutela americana.

Se questa poi è l’agenda più ampia, l’oggetto non è solo Iraq ma anche l’Arabia Saudita e le monarchie di Golfo, considerate da Wolfowitz e dai suoi alleati fonti dell’instabilità, ostilità e terrorismo. Ma gli europei sono spaventati dalla prospettiva di disordini alle loro porte ­ poiché pagheranno inevitabilmente in termini di rifugiati, costi aggiuntivi per la sicurezza e prezzo del petrolio più alto a breve termine. Approvvigionamenti di petrolio stanno venendo a goccia dalla Siberia, dall’Asia Centrale e dall’Africa orientale ma sono lungi dall’essere sufficienti e i loro costi di estrazione sono molto alti.

Ma nel frattempo i falchi negli Stati Uniti sostengono che per il medio termine un cambio di regime in Iraq ridurrà il prezzo del petrolio. Aprire le riserve di petrolio dell’Iraq a tecniche di estrazione moderne duplicherebbe la produzione del paese e ridurrebbe il potere del cartello dell’OPEC, tagli al prezzo del greggio darebbero una spinta significativa ad economie petrolio-dipendenti ed offrirebbe compensi enormi alle società d’estrazione. Il mondo, inclusa l’Europa, ne trarrebbe un enorme profitto.

La Germania

Non c’é alcun dubbio che questi calcoli stanno motivando delle parte delle lobby favorevoli alla guerra e ci sono già gruppi dell’opposizione irachena e società petrolifere che discutono di affari per il dopoguerra. Ma saranno il fattore decisivo ? Basteranno per cambiare la posizione del governo tedesco che fu eletto con un programma contro la guerra ? Martin Koopmann, consigliere tedesco per le Relazioni Estere, crede che al Cancelliere Schroeder piacerebbe proporre più appoggio agli Stati Uniti ma che "il governo è internamente in una posizione molto difficile e se Schroeder ritorna sulla sua parola s’indebolirà ".

Infatti Schroeder é giudicato severamente. La Germania partecipa provvisoriamente al consiglio di sicurezza dell’ONU e con ogni probabilità dovrà decidere presto se sostenere un’azione militare contro l’Iraq o meno. Gli Stati Uniti premeranno enormemente sulla Germania perché voti a favore. Secondo Otfried Nassauer, del cento d’informazione di Berlino per la Sicurezza Transatlantica, le pubblicazioni sul ruolo di società tedesche nell’assistenza al programma d’armamento biochimico dell’Iraq di dicembre sono parte di questa campagna.

Minaccia

Ci sono altri governi europei con dubbi riguardo alla saggezza di una guerra in Iraq, per quel che li riguarda potrebbero trattare l’Iraq come un qualsiasi altro paese. Ma, come dice Francois Heisbourg, "ci sono più probabilità che Saddam Hussein si rada i baffi piuttosto che gli Stati Uniti levino le sanzioni contro l’Iraq "C’é poco profitto da trarre finche il suo regime dura. Molto è stato promesso dall’Iraq, coi 20 bilioni di dollari contrattati presso società petrolifere francesi, russe, cinesi e di molti altri paesi. Ma pressoché tutti questi contratti rimangono impegni su carta che producono pochi incassi.

I governi europei hanno poche illusioni sul regime iracheno e capiscono le opportunità che si aprirebbero con un cambiamento. Il destino della Festa di Ba’ath in Iraq (e della sua gente) è meno importante per loro del destino delle Nazioni Unite. Sono preoccupati per l’unilateralismo rampante statunitense e per le conseguenze dei sogni di Wolfowitz ; e l’ONU rimane loro unico modo per contenere l’America ’guerrafondaia’. Ma questo non vuole dire che le élite dal nostro lato dell’Atlantico hanno interessi fondamentalmente diversi da quegli degli Usa, hanno solo modi diversi per realizzarli. Se il Consiglio di Sicurezza vota a favore dell’attacco, gli europei s’allineeranno a Washington e spereranno in una breve, incisiva, guerra contenibile. Non è un contrasto, ma un sistema di potere ibrido : Gli Stati Uniti rimescolano le carte, l’Europa tenta di ricomporre il mazzo ­ facce opposte della stessa medaglia.

Messages