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Il paradosso di festeggiare con le armi

Publie le lunedì 5 giugno 2006 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Guerre-Conflitti

La pace, le missioni militari in Medioriente e la contro-manifestazione pacifista del 2 giugno. Ne parliamo con Tonio Dall’Olio, presidente di Pax Christi

di Angelo Notarnicola

Tonio Dall’Olio è presidente di Pax Christi, movimento cattolico per la pace. Da sempre in prima fila nella lotta alle ingiustizie e alle guerre, è promotore, con Don Ciotti, Gino Strada e padre Alex Zanotelli, di un appello alle istituzioni perché ritirino i nostri contingenti militari dall’Iraq e dall’Afghanistan.

Alla vigilia del 2 giugno, festa della Repubblica, decidiamo di incontrarlo e di rivolgergli alcune domande.

Quale significato assume oggi la parola “pace”?
 Credo che la definizione data qualche anno fa da Don Tonino Bello sia oggi più profonda e vera. Egli definiva la pace: “Convivialità delle differenze”. Ci rendiamo conto che di fronte a quelli che predicano scontri di civiltà e a coloro che li mettono in atto, la pace è quella capacità di fare giustizia tra persone diverse per etnia, per cultura. Convivialità vuol dire proprio questo: “capacità di conviviare tra diversi”.

Sei stato promotore con padre Zanotelli, Gino Strada e Don Ciotti di un appello per il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq e dall’Afghanistan. Sei soddisfatto delle risposte giunte dalla istituzioni?
 Finora non ne sono giunte molte. C’è stata un’iniziativa originale - per dire la verità - del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che ci ha invitato e ci ha voluto incontrare. Le altre istituzioni - e mi riferisco soprattutto alla compagine governativa - hanno dato dei segnali molto chiari rispetto al ritiro delle truppe dall’Iraq e meno per quanto riguarda l’Afghanistan. Su quest’ultimo punto però tutti quanti dovremmo fare il mea culpa, perché anche il movimento pacifista non ha prestato tutta l’attenzione che avrebbe dovuto su questo scenario di guerra. L’ha considerato, in qualche modo, una guerra già terminata o uno scenario di serie B rispetto a ciò che in realtà era e continua ad essere. In Afghanistan c’è una situazione davvero preoccupante. Occorre quindi un’analisi completa, precisa, attenta sul significato della presenza delle truppe straniere e quindi italiane in Afghanistan. Credo che in questo ci sia una linea di confronto piuttosto profonda tra le istituzioni e il movimento pacifista.

Nel caso dell’Iraq l’intervento militare è avvenuto in modo unilaterale e in spregio del diritto internazionale, mentre in Afghanistan le nostre truppe sono state inviate solo in seguito ad una risoluzione dell’Onu. Non credi che ci sia una differenza sostanziale tra i due interventi militari?
 No, credo invece che si debba uscire da questo circolo vizioso per cui si crea quasi un meccanismo automatico. Bisogna ricordare che il 7 ottobre gli Stati Uniti hanno bombardato e invaso la sovranità nazionale dell’Afghanistan senza chiedere il permesso di nessuno. Solo dopo, le Nazioni Unite hanno deciso di mettere una sorta di toppa a questa situazione senza però mai arrivare a sanzionare il comportamento statunitense. L’Italia dovrebbe giocare, a livello internazionale, un ruolo altro e anche più alto. Il nostro Paese dovrebbe avanzare in prima battuta la carta delle Nazioni Unite, facendo applicare l’Art.7 che prevede - è vero - anche l’uso della forza, ma soltanto all’interno di un quadro di polizia internazionale.

In un’intervista, hai dichiarato di voler blindare l’Art. 11 della nostra Costituzione in cinque punti. Perché?
 Non è una mia proposta. Proviene da uno studio di “Diritti democratici” - Domenico Gallo in primis - che già da tempo chiedevano una legge. Hanno proposto addirittura un’iniziativa popolare. Volevano qualcosa che desse la certezza che l’Art.11 fosse pienamente rispettato.

Perché cosa c’è che non va nell’Art.11?
 Da parte mia l’Art.11 non lascia spazio ad altre interpretazioni. E’ l’unica volta in cui la Carta costituzionale adotta il termine “ripudio” che è qualcosa di più di divieto, di rifiuto. E’ qualcosa di più profondo del semplice prendere le distanze. E’ proprio un ripudio, quindi una roba da volta stomaco. Secondo me quindi non ci sarebbe nessun problema a lasciare l’Art.11 così com’è. Ma, evidentemente se l’Italia è entrata direttamente, con le proprie truppe, negli ultimi anni in diversi scenari di guerra è perché è possibile interpretare l’Articolo in maniera diversa da quello che è il suo significato autentico. Noi non dobbiamo consentire che ci sia questa possibilità.

Un’ultima domanda. Dove sarai il 2 giugno, festa della Repubblica?
 Sarò con molti altri a Ponte Sant’Angelo a manifestare pacificamente per una Repubblica che non si lasci rappresentare dalle armi. Noi tutti siamo convinti - penso anche gli stessi soldati - che le armi sono l’estrema ratio, l’elemento meno onorabile di ciò che abbiamo come Repubblica. Ostentarle mi sembra davvero un controsenso. Per cui le contro-manifestazioni di quel giorno, che saranno assolutamente non violente, più che altro dimostrative, tenteranno di far capire che in una casa uno non deve mettere in mostra immediatamente la toilette ma è più giusto che mostri il salotto buono, la cucina. Festeggiare la Repubblica, che ha tanti valori e ha tanti aspetti rappresentativi - penso alla scienza, la letteratura e tutte le arti -, con parate militari è davvero un controsenso. Faremo di tutto per lanciare un segnale che abbia un significato alternativo.

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