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SU IRAQ E AFGHANISTAN FACCIAMO LE PRIMARIE

Publie le mercoledì 24 maggio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Internazionale USA

Anche la Cia non ci vuole a Nassiriya e la missione a Kabul è cambiata

di Gigi Malabarba

Al di là della propaganda dell’amministrazione Bush e del Pentagono, gli Stati Uniti tentano di uscire dal pantano iracheno con iniziative apparentemente contraddittorie tra loro: dalla guerra sporca con stragi e assassini mirati, istruiti dagli uomini di Negroponte, fino all’apertura di negoziati con settori della guerriglia per cercare di ottenere una riduzione del conflitto armato almeno in alcune aree del paese.

E tra i gruppi insorgenti più significativi figurerebbero anche quelli con cui italiani, francesi e tedeschi hanno trattato per il rilascio degli ostaggi.

Il Pentagono a suo tempo, si ricorderà, accusò in particolare l’Italia di foraggiare per questa via il terrorismo sunnita. Oggi la Cia chiede una diretta collaborazione proprio per quel canale di contatto aperto dalla squadra di Nicola Calipari con l’odiata guerriglia; e lo chiede a chi quei negoziati li condusse in prima persona, guardando di buon occhio un’eventuale espansione della presenza in teatro dell’intelligence del nostro paese. Di quella militare, asserragliata dentro Camp Mittica, non gliene importa invece granchè, proprio perché inutilizzabile sul fronte e anch’essa percepita come forza di occupazione dalla popolazione...

Due sono le conseguenze immediate, se le tesi americane sono fondate: 1) ritirare le truppe è l’unica cosa seria da fare e in fretta: un ritiro graduale che superasse i 60 giorni necessari per il trasporto degli apparati sarebbe un suicidio; 2) una presenza civile di poche decine di tecnici sarebbe impensabile senza una scorta simile a quella attuale. A meno di ridurla alla tutela degli affari petroliferi dell’Eni (la megaraffineria a Nassiriya), per cui - come dicono tutti i militari - bastano 800-1000 uomini. E’ questa la ’ricostruzione’ di cui parla il nuovo governo di Romano Prodi o non sarebbe meglio chiamarla la fetta di torta neocoloniale che interessa il nostro paese in concorrenza con gli alleati?

Se in Iraq la nostra partecipazione alla guerra ha i limiti esposti, in Afghanistan le nostre truppe sono impegnate ormai da tempo in combattimenti e in azioni d’attacco crescenti. Se il teatro di guerra afgano-iracheno è unico da sempre per angloamericani e seguaci di Al Qaeda e dei Taleban, ora anche la distinzione tra missione Isaf e Enduring Freedom è sostanzialmente sparita e la richiesta di ’enforcing’ all’Italia e alla Nato nel Sud del paese ci sta coinvolgendo nell’escalation di guerra guerreggiata in assoluto più consistente dalla fine della seconda guerra mondiale.

Anche l’impegno dei nostri aerei Amx d’attacco e di mezzi corazzati più adeguati risulta quindi inevitabile, insieme all’incremento delle truppe italiane nella zona di guerra.

Se sul serio si crede a una nuova fase politica fondata sulla ’pace preventiva’ e se si pensa alla partecipazione diretta delle persone nelle decisioni fondamentali del governo, occorre darsi una mossa: perché non ci proponiamo di realizzare le primarie sull’appello di Ciotti, Dell’Olio, Strada e Zanotelli entro giugno? Lo può decidere l’Unione o lo può autogestire il movimento.

Non è problema mio o del Prc o di quel centinaio di parlamentari che ricostituiranno il Forum pacifista il voto sul rifinanziamento delle missioni militari in Iraq e Afghanistan. E’ il punto dirimente sull’avvio o meno di una politica di pace da parte del nuovo governo. Vogliamo o no metterci in connessione sentimentale col popolo che ripudia la guerra, che va persino al di là del ’nostro’ popolo?