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Sono un golpista, giustizialista e culturalmente arretrato, ma - francamente - me ne infischio

Publie le martedì 29 luglio 2008 par Open-Publishing

Sono un golpista, giustizialista e culturalmente arretrato, ma - francamente - me ne infischio

di Franco Ferrari

Il Congresso del PRC è finito. Ha prevalso, seppur di poco, una proposta politica che ha unito tutte le mozioni tranne quella di Vendola. Convergenza che ha consentito l’elezione di Paolo Ferrero a segretario del Partito.

Ero tra i delegati che hanno sostenuto questa opzione. Non poteva che essere così essendomi riconosciuto dall’inizio nella mozione "Rifondazione Comunista in Movimento". Dagli interventi degli esponenti della seconda mozione prima e durante il Congresso ho potuto apprendere di essere - fondamentalmente - un golpista e un giustizialista e soprattutto di essere "culturalmente arretrato".

Un golpista perché ho condiviso l’idea che il Segretario nazionale e la segreteria dovessero presentarsi dimissionari dopo il tracollo elettorale. Ma soprattutto che andasse evitata qualsiasi operazione che determinasse nei fatti un processo irreversibile di superamento di Rifondazione Comunista, così come era stato annunciato pubblicamente nei mesi precedenti e con più forza durante la campagna elettorale.

Un giustizialista perché mi sembrava corretta l’idea di partecipare, seppur criticamente, alla manifestazione di Piazza Navona contro la politica di Berlusconi sulla giustizia. L’attacco a Piazza Navona e a Di Pietro sono diventati uno dei tratti distintivi degli interventi dei sostenitori della mozione due al Congresso. Nemmeno Berlusconi ha ricevuto tante contumelie.

La mia opinione è che su questo punto i dirigenti della seconda mozione sono andati persino al di là del ridicolo. Si poteva del tutto legittimamente dissentire sulla partecipazione alla manifestazione di Piazza Navona, peraltro una delle poche iniziative di opposizione al governo che si siano viste dopo le elezioni. Ma si è arrivati al punto di presentare Di Pietro come un infrequentabile reazionario (basti risentire l’intervento di Migliore). Non tanto sulla base del merito della manifestazione romana contro Berlusconi, quanto di cose dette e fatte negli anni scorsi, come ad esempio il voto contrario all’istituzione della Commissione sul G8 di Genova.

La lunga lista delle malefatte di Di Pietro, finiva regolarmente con la domanda retorica: "che cosa c’entriamo noi con Di Pietro?". Domanda curiosa visto che con Di Pietro abbiamo costituito l’Unione e poi siamo stati insieme al Governo. Come mai non ci siamo accorti di stare insieme ad un pericoloso populista di destra per tutto quel tempo? Perché non l’abbiamo considerato un infrequentabile quando votò contro la Commissione per Genova (anzi saremmo stati disponibili a stare altri tre anni al governo con lui) e oggi pensiamo che non si possa fare insieme, e ognuno nella propria autonomia politica, una battaglia comune contro alcune delle leggi di Berlusconi?

O forse si ritiene che sia giustizialista opporsi alle leggi di Berlusconi sulla giustizia? Eppure non siamo in presenza solo di norme "ad personam", di autotutela personale, siamo di fronte alla realizzazione di una idea compiuta di giustizia di classe. Una visione della giustizia nella quale la Magistratura è riportata ad essere strumento di tutela quasi esclusiva delle classi dominanti. Perché non dovremmo opporci a tutto questo?

Golpista, giustizialista, ma soprattutto culturalmente arretrato. Questa è stata la chiave di tutto il giudizio politico di Vendola e dei suoi durante e soprattutto alla fine del Congresso quando si delineava la loro sconfitta. Chi non condivide l’idea che sia finita l’esperienza della rifondazione "comunista" e si apra la stagione della rifondazione "della sinistra" non è semplicemente uno che propone un’altra strategia politica (magari sbagliata e da contestare, ma legittima) ma è un "arretrato", uno rimasto al novecento, un nostalgico, un identitario che si vuol chiudere nel fortino e via banalizzando.

Questo armamentario dialettico, per chi ha vissuto la fine del PCI, non è inedito. Erano le stesse cose che ci dicevano allora gli occhettiani e i miglioristi (non nel senso di seguaci di Gennaro Migliore). In questo modo si cancellano le ragioni dell’altro a prescindere dai contenuti. Non c’è più confronto fra due (o più) strategie politiche ma è il "culturalmente arretrato" che non si piega al "destino manifesto" mostratogli dal "culturalmente avanzato".

Alla fine del Congresso, Vendola e i suoi hanno dichiarato - più o meno alla lettera -"la storia di Rifondazione siamo noi". Il Marchese del Grillo in uno stile sicuramente rimproverabile di "plebeismo" avrebbe tradotto in "Mi dispiace, ma io so’ io, e voi nun siete n’cazzo!".

Colpito anch’io dal virus dell’arretratezza culturale posso consolarmi pensando che, conti alla mano, fra il Congresso di Venezia e quello di Chianciano sono fra gli 8.000 e i 10.000 gli iscritti di Rifondazione Comunista che allora si riconobbero nella proposta di Bertinotti e oggi hanno voltato le spalle a Vendola. Sicuramente per ragioni politiche, ma anche perché colpiti sempre più negativamente dall’arroganza di un gruppo dirigente che non accetta nemmeno di misurarsi alla pari con proposte politiche diverse dalle proprie ed eventualmente di perdere.

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