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Una strage di lavoratori

Publie le martedì 23 settembre 2008 par Open-Publishing

Una strage di lavoratori

di Enrico Pugliese

L’assassinio per mano della camorra di sei immigrati a Castelvolturno e le successive manifestazioni hanno dato la stura a tutti i luoghi comuni sulla situazione degli immigrati, sul loro ruolo e la loro condizione in quell’area ricca devastata del litorale di Napoli e Caserta, teatro della strage. Comincerei da qualche punto fermo.

Non si è trattato - sembra ormai assodato - di un regolamento di conti. Questo è invece quel che si è detto subito, quello che in tutti gli ambienti di destra (e in larghi ambienti di sinistra) si è pensato e si continua irresponsabilmente a scrivere. Come ha ben mostrato ieri su La Repubblica Giuseppe D’Avanzo che pure non esclude che per uno o due ci possa essere stato un qualche coinvolgimento in minori attività di spaccio - l’indifferenza per le orribili condizioni di sfruttamento, la mancanza di rispetto della vita umana, condita dal disprezzo di stampo razzista per questa gente, hanno reso possibile quella situazione talché non dovrebbe destare meraviglia il fatto che una banda di camorristi possa «pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno».

Alla domanda retorica su quanto valga un nero la risposta di D’Avanzo è «niente». E perciò davvero non c’è da scandalizzarsi «se duecento di questi niente hanno gridato per il pomeriggio la loro rabbia». Basterebbe la lettura dell’editoriale di D’Avanzo, oltre che la buona inchiesta a caldo del manifesto , e chiudere il discorso qui, se non ci fosse una invasione di luoghi comuni anti-immigrati negli organi di informazione anche quelli più seri. E allora è necessario ancora qualche ulteriore chiarimento. Così, ad esempio, la tesi del regolamento dei conti è fatta propria dal vescovo di Capua in una ineffabile intervista su La Stampa .

Il prelato ci informa del fatto che trattasi di un regolamento di conti anche se «è difficile dire di che natura esso sia». Ma su altre cose il prelato non ha dubbi. Si tratta di nigeriani che rappresentano il nucleo più consistente, a suo avviso, «del litorale domizio da Ischitella a Pescopagano». E in molti hanno parlato di nigeriani, per poi scoprire che tra le vittime della strage non ce ne erano. Ma qualche responsabilità - ci informa il prelato (e non è il solo) - i nigeriani ce l’hanno, eccome: «I nigeriani sono gente intelligente ma dedita piuttosto alla droga e alla prostituzione».

L’affermazione è grossa e l’intervistatore cerca di dare una possibilità di chiarimento al vescovo. Ma non c’è nulla da fare: «Sono solo loro a darsi alla droga e alla prostituzione». Amen. Dopo queste gravi affermazioni e tanto allarmismo il vescovo ci spiega che gli immigrati - esclusi i cattivi di cui sopra - «partono alle cinque del mattino dai casolari dell’entroterra dove abitano in quattro in una stanza e vanno a cercare lavoro nelle piazze dei paesi».

E Guido Ruotolo nella pagina accanto ci illustra il come si tratta di lavoratori e fornisce informazioni sulle loro condizioni di vita e di lavoro. Insomma i messaggi - su La Stampa come su altri giornali - appaiono largamente contraddittori. Comunque, l’impressione che resta al lettore o al telespettatore alla fine di tutto è quella di una situazione orribile, dove però orribili sono anche gli immigrati, come dimostrano le violenze alle quali essi si sono dati.

E le violenze sarebbero state appunto un indicatore del fatto - che innocenti o no - si trattava di gentaglia. I nemici degli immigrati - quelli che predicano contro l’immigrazione clandestina (come se in Italia ce ne fosse mai stata altra) - comunicano che, se non c’è controllo, questi poveri disperati finiscono per ingrossare le fila della criminalità organizzata. In questo caso si è visto però che le vittime ingrossavano solo le fila del lavoro nero. E il lavoro nero c’è nelle aziende dei padroni, dei camorristi orrendamente sfruttatori e dei padroni non camorristi parimenti sfruttatori.

Ma perché quegli immigrati stanno lì per quei lavori e in quelle condizioni? Ce lo spiega un po’ proprio il prelato di cui sopra. «Il territorio è stato devastato, le paludi bonificate durante il fascismo sono diventate discariche abusive» e così via di seguito. Io ci andrei un po’ più piano. La bonifica (comprensoriale e aziendale) - prima, durante e dopo il fascismo - ha cambiato il volto agricolo di quelle che una volta erano le terre dei Mazzoni. La nuova agricoltura intensiva ortofrutticola in terre una volta poco abitate richiede mano d’opera che deve venire per forza dall’esterno (prima i caporali la portavano da altre zone della Campania).

La mano d’opera straniera migrante (con i suoi disperati bisogni) è quella più adeguata perché più flessibile e meno costosa. Proprio come nella ricca agricoltura della California che ha braccianti più poveri dei nostri. Perciò a Castelvolturno o a Villa Literno o a Casal di Principe troviamo i ganesi, gli ivoriani, oltre a qualche nord africano, i nigeriani e tutti gli altri lavoratori a giornata. Poi c’è anche la camorra, le discariche abusive e quant’altro. Ma quella è un’altra storia.

La povera gente che è stata uccisa - gli immigrati del Ghana, del Togo etc. - era da noi per lavorare punto e basta. E se - fatto grave e disperante - se la prende generalmente con i bianchi. La cosa deve fare ulteriormente pensare: si sta creando un solco gravissimo che si può colmare solo con la solidarietà e che invece si allarga con i pregiudizi.

Il Manifesto