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#19O, non finisce oggi e non è finita qui

par Checchino Antonini

Publie le lunedì 21 ottobre 2013 par Checchino Antonini - Open-Publishing

Tutto ricomincia dove si frantumò due anni fa. Da S.Giovanni decine di migliaia raggiungono Porta Pia e rimontano le tende: «E’ solo l’inizio»

Tutto è cominciato dove s’era frantumato due anni prima, in piazza San Giovanni. Era il 15 ottobre 2011.

Stavolta, la notte era stata piena di musica e di danze dopo lo sciopero generale del sindacalismo combattivo ma anche piena di ansie e domande. La blindatura della città era stata ostentata con dispendio di mezzi ed energie da parte dello stesso prefetto, che aveva gestito al peggio gli eventi legati alla morte di Priebke, per conto di un governo tra i peggiori che la storia della Repubblica ricordi. Tra ieri e oggi è scesa in piazza l’unica opposizione reale con l’ambizione di unificare le lotte. Un progetto che non poteva non infastidire chi, finora, s’è vantato nel mondo della calma piatta che faceva seguito a ogni gesto di macelleria sociale di questo o di quel governo. La casta delle polizie ha mostrato i muscoli, ha operato arresti alla vigilia del corteo ai danni di persone che non avevano commesso reati, ha dettato veline a giornalisti compiacenti - grandi e piccole firme - descrivendo scenari da incubo e la città, lungo il percorso del corteo aveva tratti spettrali con manipoli di armati in borghese o in assetto di guerra a guardia di palazzi del potere che sarebbe bastato inchiavardarli per renderli impenetrabili.

Saracinesche abbassate, viabilità stravolta, annunci choc che si sarebbero interrotte le comunicazioni tra cellulari e che gli ospedali avrebbero dovuto riservare decine e decine di posti letto per le conseguenze della mattanza annunciata.

Ad aprire il corteo uno stuolo di cameramen e fotoreporter affamati di scontri. Dietro di loro il ritmo incessante dei tamburi della Murga e le performance dell’Ottobrata romana. I primi sono il sambodromo dell’Ex Snia e i secondi sono una performance del Forte Prenestino: con una coreografia ben studiata compongono parole d’ordine aprendo e chiudendo gli ombrelli. "No Tav", "No Muos", "Redistribuire tutto", reddito, casa fino a "Idrante non ti temo".

Intanto dietro il tir si va formando la testa del corteo, una moltidudine di donne e uomini, italiani e migranti, che hanno occupato una casa o stanno per farlo, in mezzo a loro le bandiere No Tav. Dall’amplificazione si sente dire: «Non finisce oggi e non finisce qui, questo è solo l’inizio!». E la marcia ha il suo inizio: «Occupamo tutto, occupamo tutto!».

E’ un proletariato composito e frammentato durante questa guerra del capitale alle conquiste sociali. Una guerra che, fino ad ora, questo proletariato sta perdendo.

Al centro del corteo le parole d’ordine sono le stesse ma il piglio è più serrato ancora. La grande testa di questo corteo è stato un puzzle di soluzione lentissima ma alla fine studenti, precari, centri sociali, sindacati di base, movimenti territoriali e infine le organizzazioni politiche scendono per Via Merulana con un corteo «pacifico, di massa, militante, autodifeso». La variabile che può impazzire, a questo punto, sembra essere solo la questura che consente ai fascisti di Casapound di schierarsi con mazze e caschi a guardia dell’edificio che Alemanno gli voleva regalare con i soldi dei romani.

Il corteo è intelligente e ci mette un minuto a capire che è una provocazione. La colonna sonora, dopo due ore, è ancora la Murga ma quando si entra in Piazza della Repubblica si sente solo il rumore del tir. Sta per iniziare l’assedio. E’ un corteo inedito anche nel percorso, è un percorso difficile perché gli obiettivi sensibili sono incastonati in strade quasi senza vie di fuga. Ma il corteo circonda il ministero dentro cui si gestisce la crescita della miseria che ciascuno dei manifestanti sperimenta sulla propria pelle. Vola qualche petardo, parte una carica a uso e consumo delle telecamere e il governo può sbandierare dodici fermi nei tg di prima serata che sembrano stregati da poche immagini con cui tentano di spiegare un corteo che non vogliono o non possono capire: gli ultimi che marciano con i penultimi e con i migranti sono un paesaggio difficile da concepire per chi alimenta da anni i conflitti orizzontali per celare la guerra di classe.

Nelle strade umbertine tra i ministeri e Porta Pia le grida rimbombano di più, dal terrazzo di uno stabile in piazza Indipendenza si affacciano decine di immigrati a salutare il corteo. E’ uno dei palazzi occupati l’altro giorno nello tsunami per il diritto all’abitare. Ma i cameramen sembrano ipnotizzati da qualcuno che si tira su il foulard e si abbassa il cappuccio della felpa mentre i manifestanti capiscono che praticamente s’è arrivati in fondo a uno dei cortei più difficili degli ultimi anni. Forse un nuovo inizio.

Alle spalle una coltre di fumo che si dissolve è tutto ciò che resta di qualche bomba carta che ha fatto il suo bum davanti al portone dell’ambasciata di Germania. Diamine, non è forse la locomotiva tedesca ad affamare il Sud dell’Europa?
L’ultimo ostacolo è la minacciosa guarnigione di armati a difendere il palazzo di Trenitalia, un altro degli attori di questa tragedia, controparte in Val Susa e, negli ultimi giorni, negatrice della libertà di movimento proprio di questi manifestanti che intanto hanno raggiunto il ministero delle Infrastrutture, si arrampicano sul monumento al bersagliere e, quando ormai è spuntata la luna piena, montano i loro igloo per attendere l’indomani e pretendere un incontro con il governo.

Nessuna traccia di carrelli della spesa da usare come armi o dell’idropulitrice di cui aveva scritto un giornalista blasonato recependo le confidenze delle sue fonti con la barba finta. Spunta invece (una manna per gli inviati di guerra al seguito dei manifestanti) una bomba carta con dentro un proiettile. Davvero esiste? E chi aveva interesse a far trovare una bomba carta in una zona che per quattro giorni è stata setacciata dai professionisti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, svuotata di ogni automobile e di ogni altro possibile ostacolo per i "nostri" ragazzi che si sono fatti le ossa nei teatri della guerra globale?

Ma forse, a questo punto della notte, è più interessante chiedersi come continuerà a crescere - e che fare ciascuno dei soggetti per questo movimento che s’è saputo sottrarre alla lugubre ritualità del riot e che non ha nulla da perdere se non le proprie catene.

http://popoff.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=88986&typeb=0