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A TUTTA MANETTA

Publie le martedì 24 agosto 2004 par Open-Publishing

di ANDREA COLOMBO

Ipolitici italiani, in stragrande maggioranza, fanno tutti un doppio lavoro: all’attività politica affiancano quella di guardie carcerarie in pectore. Quando grava nell’aria l’olezzo di galera, le pur lievi differenze tra i due poli scompaiono per trasformarsi in identità completa. E’ stato così ai tempi non lontani della sciagurata campagna contro l’«emergenza microcriminalità», e poi di nuovo in occasione delle manovre congiunte atte a vanificare l’«indultino». E’ ancora così in quest’estate del 2004, con le forze maggiori di destra e di sinistra che si coalizzano per esorcizzare ogni proposta di amnistia. «Non basterebbe a risolvere il problema delle prigioni», ripetono concordi diessini e berluscones, nazionalalleati, leghisti e margheritini. In effetti servirebbe solo a rendere meno insopportabili le condizioni in cui versano alcune decine di migliaia di detenuti. Faccenda secondaria.

Il copione si ripete quando dai detenuti stipati nelle patrie galere si passa al latitante Cesare Battisti. Il ministro della giustizia accusa la sinistra europea «di difendere assassini e latitanti». I rappresentanti italiani della stessa sinistra passano al contrattacco e addossano al guardasigilli leghista la responsabilità di essersi fatto scappare il serial killer. Se la Lega avesse vistato il mandato europeo, il turpe Battisti starebbe già dietro le meritate sbarre. Nobile competizione.

Sarebbe il caso di fare chiarezza. Il fatto strano, nella vicenda che riguarda l’ex leader dei Pac, non è la fuga del medesimo, comprensibile per chiunque e giustificata dal diritto elementare a evitare la galera se appena possibile. E’ la determinazione degna di miglior causa con la quale il governo italiano persegue l’obiettivo di incarcerare un signore che ha rotto ogni ponte con il suo passato e che non rappresenta da decenni alcun pericolo per l’ordine pubblico, né italiano né francese. Un uomo la cui biografia «criminale» andrebbe inscritta, interpretata e giudicata nel quadro di una fase storica lontana e passata. Superata per tutti tranne che per i politici italiani.

Neppure le argomentazioni del ministro degli interni Pisanu, pur di tutt’altro livello rispetto agli sbraiti del collega guardiasigilli, valgono a controbilanciare la palese necessità di chiudere anche nelle aule di tribunale un capitolo che nella storia del paese è chiuso da un’eternità. Il rischio di una nuova ondata terroristica, che potrebbe risultare incoraggiata dal’«impunità» di Battisti, è, se non inesistente, certo inattuale. Lo dimostra il recente pentimento della neo brigatista Cinzia Banelli, che sta ai pentimenti degli `80 come la ripetizione in farsa alla tragedia originale. La deposizione di Antonio Savasta, nel 1982, portò a un paio di migliaia di denunce. In quella della «compagna So», non c’è una sola denuncia nuova.

Non si tratta di reticenza: è solo che il «nuovo terrorismo», fatti salvi i lutti e le tragedie che ha prodotto e può ancora produrre, è una faccenda più che marginale, limitata a pochi singoli individui. Per dargli qualche spessore occorre scomodare l’anarco-insurrezionalismo, poco più di una leggenda metropolitana.

Sarebbe già qualcosa se la ferocia con cui il nostro governo e la nostra opposizione inseguono un manipolo di persone che non rappresenta più alcun pericolo si spiegasse con una semplice, ancorché selvaggia, sete di vendetta. Ma il ministro padano non è un giustiziere della notte. E’ un cacciatore di teste che insegue la preda sperando di incassare in cambio, al posto della taglia, un gruzzolo di voti sonanti.

Purtroppo non sono migliori né più nobili le motivazioni di quei partiti d’opposizione che lo inseguono e di fatto lo spalleggiano, anch’essi a caccia di voti forcaioli. Pardon: moderati.

http://www.ilmanifesto.it/oggi/art6.html