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di John
Pilger
Gli invasori dell’Iraq hanno dilaniato il tessuto di una nazione che
era sopravvissuta a Saddam Hussein, questa è una guerra di liberazione dove noi
siamo i nemici. Noi che abbiamo portato in Iraq una violenza quotidiana e omicida
che supera quella di qualsiasi tiranno che
non ha mai promesso una falsa democrazia.
Quattro anni fa ho viaggiato per tutto l’Iraq, dalle colline nella zona nord
curda, dove è sepolto San Matteo, al cuore della Mesopotamia, Baghdad e a sud
nella regione sciita. Raramente mi sono sentito così sicuro come in questi paesi.
Una volta ero nel colonnato di Edoardo, che si trova nel mercato dei libri a
Baghdad, e un giovane uomo mi gridò qualcosa sulle sofferenze che le sua famiglia
aveva dovuto sopportare durante l’embargo imposto dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.
Quello che è successo dopo è un atteggiamento tipico degli iracheni, un passante
ha calmato l’uomo mettendogli un braccio intorno al collo, mentre un altro è venuto
subito al mio fianco. “Perdonalo” mi disse rassicurandomi, “non associamo le
persone occidentali alle azioni dei loro governi, sei il benvenuto.
Durante una di quelle aste malinconiche della sera, dove gli iracheni vanno a vendere i loro averi perché spinti dal bisogno urgente, una donna con due neonati stava a guardare mentre i suoi passeggini venivano venduti per pochi spiccioli e un uomo, che aveva collezionato colombe da quando aveva 15 anni, era lì per vendere il suo ultimo uccello con la sua gabbia; nonostante tutto le persone continuavano a ripetermi: “tu sei il benvenuto”. Tanta benevolenza e dignità erano spesso espresse da quegli esuli iracheni che odiavano Saddam Hussein e si opponevano sia all’assedio economico che all’assalto angloamericano della loro terra natia. Migliaia di queste persone contro Saddam hanno marciato contro la guerra a Londra, con dispiacere dei guerrafondai che non hanno mai capito la dicotomia dei principi da loro professati.
Se io dovessi rifare lo stesso viaggio in Iraq oggi, probabilmente non ritornerei vivo, i terroristi esteri lo hanno confermato. Con le armi più letali che si possano comprare per miliardi di dollari, le minacce dei loro generali cowboys e la brutalità e il panico che hanno causato le loro fanterie, più di 120.000 di questi invasori hanno dilaniato il tessuto di una nazione, che era sopravvissuta agli anni di Saddam Hussein e ne hanno distrutto le produzioni artigianali. Hanno portato in Iraq una violenza quotidiana e omicida che supera quella di qualsiasi tiranno che non ha mai promesso una falsa democrazia.
Amnesty International ha denunciato come le forze guidate dagli Stati Uniti abbiano “sparato agli iracheni durante le dimostrazioni, torturato e maltrattato i prigionieri, arrestato persone senza motivo, trattenendole arbitrariamente, demolito case per vendetta e di punizione collettiva”.
A Fallujah i marines americani, descritti come “particolarmente precisi” dal loro psicopatico portavoce, avrebbero massacrato un numero di persone che arriverebbe a 600, stando ai direttori degli ospedali locali. Queste azioni sono state fatte con aerei e artiglieria pesante scaricata nelle aeree urbane, come ritorsione per l’uccisione dei quattro mercenari americani. Molte delle persone morte a Fallujah erano donne, vecchi e bambini. Solo i network televisivi arabi, fra cui Al-Jazeera, hanno mostrato la gravità effettiva di questo crimine, mentre le televisioni anglo americane hanno continuato a trasmettere e ad amplificare le bugie della Casa Bianca e di Downing Street.
“Scrivendo esclusivamente per l’Observer prima dell’incontro fai-o-disfa di questa settimana con il Presidente George Bush”, diceva l’11 aprile il giornale inglese che una volta era il portavoce del partito liberale del premier, “[Tony Balir] ha dato il suo massimo appoggio alle tattiche statunitensi in Iraq... dicendo che il governo non si tirerà indietro dal suo ‘impegno storico’ nonostante gli sforzi degli ‘insorgenti e dei terroristi’.”
Il fatto che quell’ “esclusivamente” non sia stato presentato come una parodia mostra come i motori della propaganda, che aiutarono la diffusione delle bugie di Blair e di Bush sulle armi di distruzione di massa in Iraq e sui collegamenti con al-Qaeda da quasi due anni, siano ancora attivi. Sugli aggiornamenti della BBC e su Newsnight i “terroristi” di Blair fanno ancora notizia; della causa principale e della fonte del terrorismo stesso, invece, non se ne parla. Invece questi sono gli invasori stranieri che, a oggi, dando credito ad Amnesty e ad altre associazioni, hanno già ucciso almeno 11.000 civili. Il quadro generale, considerando anche i soldati, potrebbe arrivare a 55.000.
Un sentimento nazionalista che, da più di un anno, si è sviluppato in Iraq e che ha unito almeno 15 dei maggiori gruppi politici, la maggior parte dei quali di opponevano al vecchio regime, è stato soppresso e poi giustificato tramite l’utilizzo di un lessico menzognero inventato da Washington e da Londra, e riportato incessantemente alla maniera della CNN. “Gli ultimi fedeli a Saddam”, “i tribali” e i “fondamentalisti” sono accezioni dominanti, mentre all’Iraq viene negato il retaggio di una storia alla quale gran parte del mondo moderno è legato. La “storia del primo anniversario”, tratta di una votazione che fu tutta una barzelletta. Votazione dalla quale emerse che metà degli iracheni si sentivano meglio sotto l’occupazione, è una questione da sviluppare. La BBC e le altre reti se la sono bevuta appieno. Se volete conoscere la verità, io vi raccomando i resoconti giornalieri della coraggiosa giornalista Jo Wilding, un’osservatrice inglese dei diritti umani a Baghdad (www.wildfirejo.blogspot.com).
Ancora adesso, col propagarsi delle sommosse, ci ritroviamo con delle criptiche scimmiottature dell’ovvio: questa è una guerra di liberazione nazionale e il nemico siamo “noi”. Ciò diventa eclatante con l’invasione dei professionisti al Sydney Morning Herald. Questi ultimi hanno espresso “sorpresa” per l’unione degli Sciiti e dei Sunniti, mentre un giornalista, corrispondente per il giornale a Baghdad, ha recentemente scritto di “come quei bulli dei soldati statunitensi si stiano facendo nemici i loro amici iracheni” e di come lui e il suo autista siano stati trattati dagli americani. “Ti sbatto all’altro mondo in un lampo, figlio di puttana!” ha detto un soldato al reporter. Che questo sia solo un assaggio del terrore e dell’umiliazione che gli iracheni debbano soffrire ogni giorno è chiaro; ciò nonostante il giornale ha pubblicato delle viscide immagini di soldati americani addolorati, invitando ad avere misericordia per un invasore che ha “sbattuto all’altro mondo” migliaia di uomini, donne e bambini innocenti.
Quello che continuiamo a fare noi dell’Occidente imperialista, ha scritto Richard Falk, professore di Relazioni Internazionali a Princeton, è diffondere “secondo una giustizia, una morale e una legalità unilaterali, immagini positive di valori occidentali e di innocenza ora in pericolo, e che, per questo, giustificherebbero una campagna di violenza senza restrizioni”.
Quindi il terrorismo degli stati occidentali viene cancellato, ci siamo muniti di un manipolo di giornalisti occidentali che scusano o minimizzano le “nostre” colpe, che sono comunque atroci; i nostri morti sono contati, i loro no, le nostre vittime sono degne, le loro no.
Questa è una vecchia storia, ci sono stati molti iracheni, o come li chiama Blair “persone che lottano contro la storia”, che si sono ribellati ai “terroristi”. Prendete ad esempio il Kenya degli anni 50, la versione accettata è ancora oggi vista con favore nell’occidente – prima fu resa popolare dai giornali, e poi nei libri e nei film, e, come per l’Iraq, è una bugia. “L’obbiettivo che ci siamo prefissati”, dichiarò il governatore del Kenya nel 1955, “è di civilizzare una grande massa di esseri umani che versano in uno stato morale e sociale primitivo”. Il massacro di migliaia di nazionalisti, che non furono mai chiamati nazionalisti, era una strategia del governo inglese. Il mito dell’insurrezione keniota fu che i Mau Mau portarono “un terrore infernale” fra gli eroici coloni bianchi. In effetti i Mau Mau uccisero 32 europei, questi morti però erano da rapportare con gli almeno 10.000 kenioti uccisi dagli inglesi, i quali avevano anche costruito dei campi di concentramento dove le condizioni di vita erano così dure che in un solo mese morirono 402 detenuti. Torture, fustigazioni e abusi su donne e bambini erano all’ordine del giorno. “Le prigioni speciali”, scrisse lo storico imperiale V.G. Kiernan, “erano probabilmente simili a qualsiasi campo nazista o giapponese”, ma niente di questo fu riportato. Il “terrore infernale” era unilaterale: quello dei neri contro i bianchi. Era difficile non cogliere il messaggio razzista.
In Vietnam fu la stessa storia. Nel 1969 la scoperta del massacro americano del villaggio di My Lai fu descritto dalla copertina del Newsweek come una “tragedia americana”, e non una tragedia vietnamita. Ci furono molti massacri come quello di My Lai e, al tempo, quasi nessuno di questi fu riportato.
La vera tragedia sui soldati che portavano avanti un’occupazione coloniale fu anch’essa soppressa. Più di 58.000 soldati americani furono uccisi in Vietnam; lo stesso numero, secondo uno studio dei veterani, morì una volta che furono tornati in patria. Il dottor Doug Rokke, direttore del progetto della milizia statunitense sull’uranio impoverito a seguito dell’invasione del Golfo nel 1991, stima che oltre 10.000 truppe americane sono morte come risultato di questa guerra, molti dei quali a causa della contaminazione. Quando gli chiesi della sorte degli iracheni, alzò gli occhi e scosse la testa: “l’uranio solido è stato usato nelle bombe”, disse, “decine di migliaia di iracheni, uomini, donne e bambini, sono stati contaminati. Negli anni 90, a un symposium internazionale, ho visto ufficiali iracheni avvicinarsi agli ufficiali del Pentagono e al Ministro della Difesa e chiedere, supplicare, affinché li aiutassero nella decontaminazione. Gli iracheni non avevano usato l’uranio, non era fra le loro armi, li ho visti mentre esponevano il loro caso, descrivendo le morti e le orribili deformazioni, e li vidi quando furono snobbati. E’ stato patetico”. Durante l’invasione dello scorso anno, sia gli americani che le forze inglesi hanno usato di nuovo bombe all’uranio, lasciando aree intere così “colme” di radiazioni che solo delle equipe militari di sorveglianza con le loro tute protettive si possono avvicinare. Nessuna avvertenza o aiuto medico è stato dato ai civili iracheni, migliaia di bambini giocano in quelle zone. La “coalizione” si è rifiutata di permettere all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica di mandare degli esperti in loco ad accertarsi se questa sia ciò che Rokke descrive come “una catastrofe”.
Quando si decideranno, coloro che ne hanno il dovere, a riportare in modo equo gli eventi e a narrare in modo corretto di questa catastrofe? Quando investigheranno la BBC e gli altri sulle condizioni di circa 10.000 iracheni trattenuti nei campi di concentramento americani in Iraq, senza nessuna accusa, molti dei quali sono torturati? E quando si preoccuperanno di spiegare le recinzioni col filo spinato intorno a interi villaggi iracheni? Quando si decideranno, la BBC e gli altri, a smettere di parlare del “passaggio alla sovranità irachena” previsto per il prossimo 30 giugno, quando non ci sarà alcun passaggio? Il nuovo regime sarà un fantoccio, con ogni ministro controllato dagli ufficiali americani, e con la sua falsa milizia e le sue false forze di polizia, comandate dagli americani. Una legge fatta da Saddam, che vieta i sindacati per i lavoratori pubblici, resterà attiva, i capi dell’infame polizia segreta di Saddam, la Mukhabasat, si occuperanno della “sicurezza dello stato”, sotto la direzione della CIA. I militari statunitensi avranno lo stesso accordo sullo “status delle forze” che impongono a tutte le nazioni ospitanti le loro 750 basi intorno al mondo, che li lascia in totale potere a tutti gli effetti. L’Iraq sarà una colonia statunitense, proprio come Haiti. E quando si decideranno i giornalisti ad avere il coraggio professionale di riportare il ruolo cardine che Israele ha avuto in questo grande disegno coloniale del Medio Oriente?
Un paio di settimane fa, Rick Mercier, un giovane columnist per il Free-lance Star, un piccolo giornale della Virginia, ha fatto quello che nessun altro giornalista ha fatto in quest’ultimo anno. Si è scusato con i suoi lettori per la parzialità con cui aveva riportato gli eventi relativi all’attacco in Iraq. “Scusate, abbiamo lasciato che rivendicazioni infondate facessero da supporto alla nostra copertura”, ha scritto. “Scusateci, abbiamo lasciato che una banda di persone che inseguono i loro interessi in Iraq ci prendesse in giro. Scusateci se abbiamo creduto alle dichiarazioni che Colin Powell fece alle Nazioni Unite... Forse faremo un lavoro migliore con la prossima guerra”.
Ben fatto Rick Mercier, ma ascolta il silenzio dei nostri colleghi su entrambi i lati dell’Atlantico. Nessuno si aspetta che Fox, o Wapping o il Daily Telegraph cedano. Ma che fine ha fatto David Astor, faro del liberalismo, e l’Observer, che si oppose all’invasione dell’Egitto nel 1956 e alle bugie che la volevano supportare? L’Observer non solo ha appoggiato l’assalto illegale e non provocato dell’Iraq, ma ha anche aiutato a creare quell’alone di bugie con cui Blair se l’è potuta cavare con i suoi crimini. La reputazione dell’Observer, e il fatto che ha occasionalmente pubblicato materiale mitigante, significa che le bugie e i miti sono diventati veritieri. Una storia messa in prima pagina ha dato credito alla rivendicazione fasulla secondo la quale l’Iraq era il mandante degli attacchi all’antrace negli USA. L’articolo era pieno di tutte quelle “fonti dei servizi segreti” occidentali, di tutti quegli uomini di paglia e di tante allusioni. Nella “ricerca” di due pagine di Davi Rose che portava il titolo “La connessione irachena” si lasciava nei lettori l’impressione che Saddam Hussein fosse stato anche complice degli attacchi dell’11 settembre 2001. “Ci sono dei momenti nella storia”, scrisse Rose, “in cui l’uso della forza è sia giusto che sensato. Questo è uno di quei casi”. Lo vada a dire a quegli 11.000 civili morti, signor Rose.
Si dice che ora gli ufficiali inglesi in Iraq descrivano le “tattiche” dei loro colleghi americani come “spaventose”. No, l’intera natura dell’occupazione coloniale è da ritenersi spaventosa, come direbbero anche le famiglie dei 13 iracheni uccisi dai soldati inglesi che hanno citato in giudizio il governo inglese. Se gli alti ufficiali delle forze inglesi capissero che in tutto questo c’è il marchio del loro passato di colonizzatori, e che in questo marchio c’è, non lo dobbiamo scordare la sanguinosa ritirata inglese dall’Iraq di 83 anni fa, sussurrerebbero all’orecchio del piccolo Wellington-*****-Palmerston al numero 10 di Downing Street: “Andiamocene prima che ci buttino fuori”.
Tradotto da Cora Ferroni per Nuovi Mondi Media
Fonte: http://pilger.carlton.com/
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04.06.2004
Collettivo Bellaciao