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Al-Jazeera: spia della vulnerabilità della politica americana
Publie le domenica 15 agosto 2004 par Open-Publishing
di Stefano Corradino
La lotta al terrorismo era un giusto obiettivo ma la guerra preventiva un grande
sbaglio. La situazione irachena in questo momento è di pericolosa instabilità.
Aver costretto-Al Jazeera a tacere è un grave errore perché rende l’informazione
monca. Ferdinando Pellegrini, l’inviato Rai testimone diretto dell’attacco americano
al 14° piano dell’Hotel Palestine di Baghdad nell’aprile dello scorso anno analizza,
in un’intervista ad Articolo21 la fase critica in Iraq e alcuni possibili, scongiurabili
sviluppi.
L’offensiva americana si è scagliata contro Najaf, la città santa irachena, roccaforte della rivolta sciita. Che peso ha, questo ennesimo attacco, da un punto di vista materiale e simbolico?
Gli americani e le forze dell’Alleanza stanno cercando di impedire un’avanzata della rivolta, delle forze che tentano di ostacolare la “normalizzazione”. Le truppe Usa hanno affermato che non entreranno mai nella moschea ma gli attacchi massicci delle ultime ore con bombardamenti dal cielo e da terra non lasciano ben sperare. Quando Moqtada Al Sadr lancia l’appello ai suoi miliziani, affinchè resistano anche qualora dovessero ucciderlo, ci da il segno dell’estremo pericolo in cui versa questa operazione bellica, di cui non si vede alcuna conclusione all’orizzonte. E la “resistenza”, da un lato degli estremisti sciiti e dall’altro dei sunniti, indica che l’operazione americana non è riuscita. Gli americani non hanno saputo dare al Paese quel minimo di stabilità che gli avrebbe permesso di riprendersi.
Questo probabilmente non gli giova neanche da un punto di vista elettorale...
Le elezioni avranno luogo tra 6 mesi e gli americani stanno tentando il tutto per tutto. La campagna elettorale è già in corso. Per Bush, un mantenimento della tensione - tra l’altro le truppe non sono più fresche stando lì ormai da un anno e mezzo - non favorisce affatto la sua campagna elettorale. Kerry potrebbe essere avvantaggiato.
Un’altra gatta da pelare potrebbe essere rappresentata dall’Iran, nemico storico degli Usa (che gli Usa hanno combattuto servendosi di Saddam...). Le autorità iraniane hanno annunciato ieri una serie di manifestazioni contro l’intervento americano a Najaf. I cortei, ha reso noto l’ufficio per la Propaganda Islamica di Teheran, sfileranno oggi dopo la tradizionale preghiera del venerdì. Che ruolo potrebbe avere l’Iran in questa situazione?
Il rapporto tra Iran e Iraq è certamente da non sottovalutare. Gli iraniani vedrebbero senz’altro di buon occhio la nascita di un paese, se non proprio islamico quantomeno vicino a un Islam non oltranzista ma almeno comunque fedele ai dettami religiosi dello sciismo. E l’Iran è ancora uno dei “diavoli”, un Paese canaglia che secondo gli americani è parte integrante di quell’asse del terrore su cui Bush ha puntato in questo quadrienno di presidenza.
Gli sciiti sono maggioranza, tuttavia Moqtada Al Sadr rappresenta solo una minoranza.
E’ così, ma c’è un elemento che dovrebbe far riflettere: l’Ayatollah Sistami, fino ad oggi è rimasto silenzioso e probabilmente sta aspettando cosa succederà nelle prossime settimane per assumere un atteggiamento preciso. Sistami è un personaggio-simbolo degli sciiti. Vivere, lavorare e gestire una scuola coranica a Najaf lo rende come una sorta di Papa per i cattolici. E una sua reazione potrebbe condizionare ulteriormente la situazione.
Insomma, l’occupazione irachena doveva servire a sconfiggere il terrorismo, isolare “i rivoltosi”, impiantare nel Paese un governo più “occidentale”, ricreare condizioni di serenità politica, economica, sociale. Tutti obiettivi falliti...
La lotta al terrorismo era giusta e corretta. Profondamente sbagliato è stato il modello di lotta al terrorismo. Il terrore non si combatte con le guerre. Né in Afghanistan, né in Iraq né con eventuali possibili altre guerre preventive. Questo è l’errore fondamentale della presidenza Bush ma anche di tutto l’entourage della Casa Bianca. Un establishment che peraltro non ha subito variazioni: Dick Cheney è ancora vicepresidente. Rumsfeld ha ancora grossa voce in capitolo, Condoleeza Rice è uno dei “falchi” più accreditati alla Casa Bianca mentre Colin Powell, che aveva espresso le sue perplessità (ma è sempre un generale...) continua ad essere minoranza.
In questo quadro che importanza riveste l’informazione? La decisione di chiudere per un mese gli uffici di Al-Jazeera a Baghdad, per molti osservatori internazionali manda un messaggio inquietante a tutti coloro che sperano che la democrazia possa prendere piede in Iraq e nella regione.
Sia per la “resistenza” sciita che per quella sunnita l’informazione ha un ruolo fondamentale: la chiusura di Al Jazzera dimostra quanto sia vulnerabile la campagna del premier Allawi per cercare di portare un “ordine politico” all’interno di un Paese che quest’ordine sembra non volerlo.
L’informazione quindi, per il momento, è monca. Al Jazzera poteva dare informazioni importantissime da ogni parte del paese avendo collaboratori in tutte le città, e in questo momento deve tacere. Gli altri organi di informazione non possono garantire che un’informazione del tutto incompleta: quelli locali sono quasi tutti finanziati dagli americani e quelli internazionali hanno evidenti difficoltà nell’accedere alla realtà dei fatti.
Questa situazione getta un’ombra pesante per il futuro. Se le cose dovessero ulteriormente peggiorare da chi potremmo essere puntualmente informati?
Se Najaf dovesse cadere e Falluja, a nord, e gli attacchi americani dovessero proseguire in altre zone non so quanto riusciremmo a sapere. E quindi si rischia l’ennesima avanzata senza testimoni fino a quando qualcuno non si deciderà a parlare e a farci sapere cosa sarà accaduto realmente.