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Allarme amianto al banco di sicilia a Palermo: quarantotto morti sospette

Publie le mercoledì 25 agosto 2004 par Open-Publishing

Allarme amianto al Banco di Sicilia Palermo, l’azienda ammette: il centro elettronico è pieno di materiale cancerogeno. Quarantotto morti sospette

di ALFREDO PECORARO, PALERMO

Sono stati a contatto con l’amianto per 35 anni, ma non lo sapevano. Anzi, più volte, negli ultimi quattro anni, il Banco di Sicilia aveva rassicurato i sindacati che in modo ufficiale avevano chiesto controlli nell’edificio che ospita il centro elettronico del BdS, in via Adria a Palermo. All’improvviso, però, la doccia fredda: l’amianto c’è. Eccome. C’è nella «tompagnatura» dell’intero edificio, nella pavimentazione in mattonelle di vinile o linoleum, nell’intercapedine, nelle tubazioni, nelle guarnizioni delle caldaie e dei camini. Tanto che lo stesso Banco di Sicilia, controllato da Capitalia, in una nota informativa avverte i lavoratori «di non procurare in alcun modo forature, abrasioni, strofinamenti, lacerazioni attraverso affissioni, chiodi, punteruoli e altri attrezzi affilati alle pareti di tompagnamento esterno dell’edificio e della pavimentazione che possano causare indebolimento della superficie compatta dei materiali contenenti asbesto».

Il tipo di asbesto trovato è il «crisotilo», il cosiddetto amianto bianco, tra la tipologia di «asbestosi» più diffusa (le altre sono l’amosite, o amianto bruno, e il crocidolite, o amianto blu) e, secondo diversi studi scientifici, altamente cancerogena. Se respirate le fibre di «crisotilo» possono provocare fibrosi polmonari e mesotelioma. Subito dopo i risultati degli esami, Beniamino Anselmi, amministratore delegato del BdS, ha convocato le Rsa assicurando che al più presto saranno effettuati i lavori di bonifica. Ma tra i 300 dipendenti dell’Usit monta la paura. Solo negli ultimi anni, secondo la Fabi, sono 48 i dipendenti del centro elettronico morti per tumore. E adesso il sindacato chiede che si accerti se le morti siano riconducibili all’amianto contenuto nei manufatti dell’edificio. «E’ evidente - dice Carmelo Raffa, coordinatore nazionale della Fabi/Banco di Sicilia - che siamo molto preoccupati.

Bisogna fare chiarezza su questa vicenda, vogliamo sapere perché solo ora l’azienda informa i dipendenti della presenza dell’amianto, quando fino a ieri aveva negato l’esistenza di materiali cancerogeni dopo le nostre continue sollecitazioni». L’ultima rassicurazione del Banco, ricordano le Rsa dei sindacati di categoria Fiba-Cisl, Fisac-Cgil e Uilca, «risale allo scorso 4 dicembre a chiusura della semestrale»: anche in quel caso l’azienda negò la presenza del materiale cancerogeno.

Il Banco di Sicilia comunque tende a minimizzare: «le procedure utilizzate» per il campionamento «e i risultati finali hanno evidenziato allo stato l’assenza di microfibre aerodisperse in tutti i locali di lavoro fuori terra, negli interpiani e nei locali tecnici dei piani cantinati». Una tesi che non convince i lavoratori. «Nella struttura dell’edificio - dicono le Rsa - sono stati fatti negli anni continui interventi di ristrutturazione che hanno interessato la suddivisione interna dei locali, il rivestimento dei pavimenti e delle pareti, l’eliminazione della cosiddetta "lana vetro" delle doghe del tetto, senza sospendere l’attività lavorativa e senza nessun intervento di prevenzione per la tutela della salute dei lavoratori».

Totà Marfia, segretario della Rsa Fisac-Cgil si chiede «dove erano e cosa verificavano i responsabili aziendali e in particolare quello preposto alla sicurezza dei dipendenti, quando più volte insieme ad altre organizzazioni sindacali abbiamo denunciato la presenza di amianto». «Chiediamo all’amministratore delegato e al nuovo direttore del servizio amministrazione e Manutenzione Immobili - dice Francesco Re, segretario del coordinamento della Fisac Cgil - incondizionata collaborazione con le istituzioni competenti per fare chiarezza sulle cause di decesso per malattie tumorali o di contrazione delle stesse che possono avere interessato i lavoratori». Quindi, la Fisac solleva un sospetto. «Non vorremmo - avverte Re - che all’eventuale danno alla salute dei lavoratori si aggiungesse, come conseguenza, la beffa della soppressione del centro elettronico a seguito del processo di societarizzazione già preannunciato da Capitalia».