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Anche i bloggers digiunano: la solidarietà per i detenuti palestinesi passa per il web
Publie le venerdì 27 agosto 2004 par Open-Publishingdi ma.ta.
La solidarietà per lo sciopero della fame intrapreso dai detenuti palestinesi, che va avanti dal 15 agosto, passa anche per il web. E si esprime con lo stesso strumento: il digiuno. La mailing list Arab Nationalist ha indetto, per la giornata del 26 agosto, uno sciopero della fame di ventiquattro ore. L’appello non è caduto nel vuoto e ha raccolto diversi consensi. Anche in Italia. La web community Bloggersperlapace ha aderito all’iniziativa. «La grave situazione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane induce noi, persone comuni e membri della comunità Bloggersperlapace all’adesione fisica e morale allo sciopero della fame a sostegno dei diritti violati dei prigionieri palestinesi», si legge nel comunicato diffuso da Loredana Morandi, fondatrice della comunità bloggista-pacifista.
Il sostegno ai detenuti palestinesi non si ferma qui, però. Altre associazioni sono pronte a mobilitarsi. Si sta creando una vera e propria staffetta, spontanea, della solidarietà. Il 30 agosto digiuneranno gli attivisti del Movimento di Solidarietà Internazionale (ISM), nel quale militava Rachel Corrie, la giovane americana schiacciata da un bulldozer israeliano nella striscia di Gaza mentre cercava di impedire che le case palestinesi venissero abbattute. «Probabilmente alcuni di noi - si legge nel comunicato di Bloggersperlapace - aderiranno anche alla giornata promossa dall’ISM».
Le condizioni umilianti dei prigionieri politici palestinesi sono note a tutti. Oltre alle ispezioni corporee e alle barriere che impediscono ai detenuti di avvicinare i loro congiunti, dopo il 15 agosto, data in cui è iniziato nelle prigioni di Eshel, Nafha e Hadarim lo sciopero della fame da parte di 1500 detenuti, le autorità carcerarie israeliane hanno introdotto nuove misure restrittive della libertà personali. Si sta parlando della rimozione di radio e televisioni nelle celle, della soppressione della distribuzione dei giornali e della vendita di sigarette.
Un vero e proprio embargo. Ma la novità è rappresentata dalla raccapricciante tortura psicologica dei barbecue. Infatti, per scoraggiare i detenuti - in numero crescente - che aderiscono alla protesta estrema del digiuno, i secondini si sono improvvisati cuochi e imbandiscono banchetti a base di carne alla brace davanti alle celle, esibendosi poi nell’atto di mangiare. Il responsabile delle carceri israeliane, Sharon Gutman, ha di fatto confermato l’esistenza della pratica, utilizzata a suo tempo anche dagli inglesi, nei confronti dei detenuti dell’Ira. «Non è la nostra politica ufficiale, ma è possibile che in alcune prigioni le guardie lo facciano, come iniziativa personale», ha detto Gutman.
Un’altra emergenza è quella sanitaria. I digiunanti non potranno essere ricoverati in ospedali israeliani. Per loro verranno allestiti ospedali da campo. «Il ricovero di detenuti palestinesi in ospedali israeliani potrà avvenire solo in casi davvero estremi, sporadici» ha dichiarato il ministro della Sanità Dany Naveh, esponente del Likud, il partito di Sharon. Il ministro della Sicurezza Interna, Zahi Hanegbi, sempre del Likud, ha detto riferendosi ai prigionieri: «Per quel che mi riguarda possono anche morire di fame». L’intervento, brutale, qualifica lo status dei prigionieri palestinesi, considerati terroristi dal governo Sharon. «Non siamo disposti - ha detto il ministro Naveh - a mettere in pericolo la vita dei nostri malati o delle equipes mediche per via di quegli assassini».
L’organizzazione israeliana Physicians for Human Rights, da sempre attiva nel campo dei diritti dei prigionieri palestinesi, denuncia la politica «illegale» condotta negli istituti di detenzione e punta l’indice contro i dottori del servizio carcerario, che «sfidano l’etica medica e dimenticano che la loro responsabilità primaria è verso i pazienti e non verso i loro superiori gerarchici». Anche se poi l’organizzazione smorza la nota di biasimo, sostenendo che i medici carcerari sono costretti a lavorare sotto pressione, anteponendo il rispetto gerarchico nei confronti dei superiori ai principi etici che dovrebbero ispirare la loro professione.
Inoltre, il gruppo Physicians for Human Rights denuncia il silenzio assordante che segue a ogni suo rapporto. «Le nostre lettere non ricevono quasi mai risposta», si lamenta il gruppo, critico nei confronti dell’ostinazione delle autorità israeliane a portare avanti, in tema di reclusione, la politica del pugno di ferro. E una certa ostinazione si nota anche nei media, che danno poco peso alla vicenda. Un esempio: un Tg della Rai, il giorno dell’inizio del digiuno dei carcerati palestinesi, ha mandato in onda un servizio sulla presunta scoperta, avvenuta a Gerusalemme, della tomba di Giovanni Battista, proprio nel momento in cui tutti i più grandi canali d’informazione internazionali rendevano pubblica la protesta e lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi, al quale aderisce anche Marwan Barghouti, figura di spicco di Al Fatah e simbolo della lotta contro l’occupazione israeliane dei Territori. Ma i blog, a volte, servono anche per abbattere i muri di gomma.
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