Home > Ancora sulla non violenza

Ancora sulla non violenza

Publie le giovedì 12 febbraio 2004 par Open-Publishing

Non mi pare che il dibattito sulla non violenza stia dando buoni risultati. Chi lo segue con
attenzione e magari anche con passione, rischia d’ammalarsi di fegato. Ogni volta che i luoghi comuni e
le interpretazioni fantasiose della storia paiono superate ecco che appare un articolo che obbliga
a ripartire da capo. Ho l’impressione che un dibattito come questo, che si sviluppa a questo modo,
serva a poco. Anzi, che provochi danni e null’altro.
Mi rifaccio all’articolo di Nicotra che a me pare un concentrato di non conoscenza preoccupante
(visto che è responsabile pace del partito verrebbe da dirgli: santo iddio, un peu de souplesse
camarade Alfio!)

Lasciamo perdere i giudizi su Bush, la violenza secolare dell’olvido (o che è?), Guantanamo
abbinato a Cesare Beccaria (anche perché per le accuse mossegli dagli Stati Uniti, per quei detenuti di
Guantanamo, Beccaria riteneva “giusta” la pena di morte).
Ma come si fa a dire che “lo zapatismo ci ha insegnato che anche quando l’uso delle armi diventa
necessario esso serve soltanto per riprendersi la parola”? Io non voglio contestare la scelta degli
zapatisti di tenersi le armi per garantirsi la parola ma questo urlo di Alfio mi pare vada oltre,
indichi un valore universale, un indiscutibile principio etico. Il guaio per Alfio che prima e
anche ora c’è qualcuno nel mondo che le armi le tiene anche per difendere qualcos’altro oltre alla
parola. Non deve farlo?

Alfio insiste “bisogna rompere lo schema della violenza necessaria” e giù una tirata su Bush e il
terrorismo, due mali che si tengono. Non è questo il problema: su questo siamo tutti d’accordo.
Magari si può aggiungere, come commento, che si potrebbero usare questi spazi del giornale per
scrivere qualcosa di più utile.
E altro quel che va dibattuto. Alfio riconosce che la resistenza all’invasore è legittima visto
che “il diritto di resistenza è sancito dalle convenzioni internazionali”. Brutto modo di affermare
questo santo diritto: perché se le organizzazioni internazionali non si fossero pronunciate non lo
sarebbe stato? Ma il vero nodo per Alfio è la resistenza irachena che non può essere difesa perché
“c’è tutto di tutto, compreso un sorgente fascismo arabo che punta alla confessionalizzazione
dello stato per meglio dominare i popoli ed impedire una equa e solidale ripartizione delle ricchezza”
perché “è fatta con le modalità come quelle dei kamikaze” che ovviamente sono “ inaccettabili“.

C’è una disumanità in queste ultime affermazioni così secche che sconcertano: io sono d’accordo
con il rispetto e, direi, la lievità, con la quale Ingrao si è pronunciato, proprio sul nostro
giornale, su questo dramma che coinvolge centinaia, forse migliaia di giovani oppressi.
Ma come è possibile davanti ad un gesto, drammatico, sconvolgente, come quello di ragazzi e
ragazze che si imbottiscono di esplosivo e si fanno esplodere l’unica cosa che si riesca a dire sia
questa? Ma forse gli unici kamikaze da rispettare sono Pietro Micca, o Sansone, e l’unico terrorista
da ricordare con orgoglio è Oberdan.
E poi, via con la storia che pare scritta dagli esperti del realismo sovietico: “la resistenza del
Cln che aveva un progetto di costruire una Italia democratica che arrivasse a scrivere nella su
carta costituente il ripudio della guerra”. Ma che è questa roba? Ma lo sa Alfio perché solo in tre
costituzioni del mondo, quella italiana, quella tedesca e quella giapponese, c’è il ripudio della
guerra?

Ma lo sa quanti erano i partigiani e i capi partigiani che avevano un progetto un po’ più
rosso di quel che dice lui? Che nel mezzo della resistenza italiana ci fu Yalta, arrivò l’ordine
del generale Alexander di tornare a casa? Lo sa che la Resistenza fu una guerra civile? Che
l’attentato a Gentile provocò drammatiche lacerazioni nelle stesse file della Resistenza?
E ancora ma perché, prima di parlare del Vietnam, uno non si legge la storia delle guerre
vietnamite, degli ultimi cinquant’anni per rendersi conto di quante lacerazioni, errori, cambiamenti di
strategia portarono alla fine alla cacciata delle truppe americane?
E che c’entra quel riferimento a Lotta Continua e alla rivoluzione khomeinista? La battaglia degli
ayatollah sciiti, potrà non piacere agli illuministi ma ha tradizione antimperialista di lunga
data più coerente, mi sia consentito, di quella, in certi periodi storici, del partito comunista
iraniano. Insomma non è un caso che la cacciata dello scià del 1979 vide alla testa della rivolta
popolare Komeini e non il Tudeq. Nessuno pretende che tutti leggano Moderm Iran Since 1921 ma almeno
il fumetto della Marjane Satrapi va letto!

Io penso che la scelta della non violenza (due parole non una) qui, nel mondo occidentale, sia una
scelta da mettere neanche in discussione. Che siano un errore politico quelle forme di violenza
che avvengono oggi in tutti i cortei del mondo occidentale e che giustificare queste mini violenze
col fatto che “i veri violenti sono i nostri avversari”, sia una difesa d’ufficio che parecchie
volte sarebbe bene non essere obbligati a fare.
Il problema della violenza, a mio avviso, va affrontato nello stesso modo che lo affrontano i
nostri avversari (questo è un linguaggio militare che non piace? Chi ha queste ubbie trovi il termine
più appropriato). A me pare di dire una ovvietà ma un governo borghese che vuol mantenere il
consenso, un consenso a certi valori ma anche ad un sistema fondato sul lavoro precario, la riduzione
delle retribuzioni, il taglio alle pensioni sa che deve esercitare un certo grado di violenza. Ma
appunto perché vuol mantenere certi valori si pone sempre, di principio, il problema del livello
accettabile della violenza da parte della maggioranza dei cittadini. L’obiettivo è tenere assieme
violenza e consenso di massa.

Noi dobbiamo sforzarci di imparare a fare come loro. A volte sono loro ad andare di fuori e
perdono il consenso (Genova docet). A volte sono i nostri e il rischio di finire in una dinamica
disastrosa c’è tutto: la storia italiana degli ultimi trent’anni è un monito micidiale.
Questa deriva si può evitare se conosciamo un po’ la storia, se siamo realisti, nel senso di non
scambiare i nostri sogni per la realtà, e abbiamo in testa dove vogliamo andare.
L’etica, come la morale aiutano poco, anzi, forse sono comportamenti che sarebbe bene contrastare
con la massima decisione (si pensi ai kamikaze).