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Anniversario della morte di Augusto Cesar Sandino

Publie le domenica 22 febbraio 2004 par Open-Publishing

Settant’anni fa cadeva, sotto i colpi dei militari di Somoza, Augusto
Cesar Sandino,
padre dell’indipendenza nicaraguense.

Alle sue gesta si ispirò poi il
Fronte sandinista Il generale degli uomini liberi Nella tarda serata
del 21 febbraio 1934 un’auto ministeriale con autista e cinque
passeggeri correva nell’umida notte di Managua dal palazzo
presidenziale alla casa del ministro Sofonias Salvatierra. Oltre al
ministro erano a bordo Augusto Cesar Sandino, il "generale degli
uomini liberi", suo padre Gregorio e due suoi ufficiali Estrada e
Umanzor, di ritorno da una cena offerta dal presidente Sacasa, nel
corso della quale si era discusso degli esperimenti di agricoltura
collettiva a favore dei contadini poveri e del ruolo della Guardia
nazionale, formalmente forza armata nicaraguense in realtà fedele solo
al suo comandante, Anastasio Somoza, di cui tutti conoscevano i legami
con il governo Usa.

Quella sera Sandino era tranquillo, certo di aver
dato al suo paese, dopo oltre sette anni di guerriglia del suo
"ejercito defensor de la soberania nacional de Nicaragua",
indipendenza e pace: gli americani se ne erano andati e il nuovo
presidente, per quanto debole, offriva garanzie alle quali il generale
aveva creduto fino a far disarmare i suoi.

Perciò fermò la reazione dei suoi compagni quando un plotone di
soldati bloccò la macchina; chiese solo, inutilmente di essere messo
in comunicazione con Sacasa e con Somoza. Disarmati e gettati
brutalmente su un camion Cesar Sandino, Estrada e Umanzor furono
trasportati nella località periferica detta la Calavera e fucilati.

Meno di due anni dopo Somoza era presidente di un paese terrorizzato e
dolente: la guardia nazionale aveva massacrato non solo i sandinisti
ma interi villaggi contadini, primo fra tutti Wiwili, principale
esperimento di agricoltura collettiva dove nessuno dei trecento
abitanti scampò all’eccidio. Il presidente Sacasa chiese la punizione
degli assassini e ottenne qualche bugia, si rivolse a Washington
denunciando le simpatie naziste, peraltro non nascoste, di Somoza e
delle sue camicie azzurre, senza risultato. Non gli resterà che
salvarsi la vita con una fuga in Salvador.

Il "generale degli uomini liberi" (la definizione è di Henry
Barbousse) era nato il 18 maggio 1895 nel villaggio di Niquinohomo
nella montuosa regione Las Segovias dall’incontro fra un piccolo
proprietario terriero, Gregorio Sandino, e una ragazza india,
Margarita Calderon. Una relazione non coronata da matrimonio ma
Gregorio riconobbe il figlio e lo portò nella sua casa considerandolo
al pari dei fratelli legittimi, uno dei quali, Socrates, sarà legato a
Cesar da una profonda amicizia e combatterà al suo fianco.

Cesar Sandino ragazzo e adolescente, assisté alla caduta del
presidente Zelaya, liberale blandamente progressista ma geloso
dell’indipendenza del suo paese, al primo sbarco dei marines Usa a
sostegno del colpo di stato del partito conservatore, alla ribellione
del generale indio Zeledon, schiacciata nel sangue. Giovane e già
esperto meccanico nel 1920 fu coinvolto in una rissa e costretto ad
espatriare in Honduras, in Guatemala, e infine in Messico a Tampico,
città operaia con una vivace presenza sindacale, dove ebbe la
possibilità di dare uno sbocco politico alle sue confuse idee di
giustizia sociale e indipendenza nazionale, scoprendo il legame fra i
discorsi di Simon Bolivar, letti nella biblioteca paterna e le
miserabili condizioni di vita di sua madre. Individuò anche il nemico
da battere, l’imperialismo Usa.

Con questo bagaglio, più qualche risparmio ed una pistola, nel 1926
tornerà nel Nicaragua ancora una volta invaso dai marines accorsi a
sostenere i conservatori minacciati da una rivolta liberale.

Cesar Sandino fu accolto con diffidenza da patrioti sinceri che
volevano l’indipendenza nazionale ma mantenendo ben ferme le
distinzioni di classe: «Terra ai contadini» è una parola d’ordine
"bolscevica" e i bolscevichi non hanno buona fama nella borghesia
latino americana.

Rispondono invece con slancio, contadini operai e ragazze di vita di
Puerto Cabezas, con l’aiuto dei quali vengono recuperati fucili e
munizioni gettati in mare per ordine degli statunitensi. Di queste
armi e di trecento uomini è fatto il nucleo iniziale dell’esercito
sandinista che ha nel suo programma politico, oltre alla fine di ogni
intromissione militare, politica e economica degli Usa in Nicaragua, la
riforma agraria, il controllo del lavoro di donne e minori,
l’istruzione e la sanità pubbliche e gratuite.

Aderiscono i vecchi militanti delusi dai vecchi capi nazionalisti,
uomini e donne dei villaggi indios depredati, operai, studenti e anche
rivoluzionari provenienti da tutta l’area latino-americana, tra i
quali il salvadoregno Farabundo Martì, più tardi fondatore del partito
comunista del suo paese e fucilato dal dittatore Martinez. «Avremo in
Nicaragua il nostro trionfo definitivo» scrive Sandino «con cui si
accenderà la miccia dell’esplosione proletaria contro gli imperialisti
della terra».

Contro l’esercito rivoluzionario si scatena la guardia nazionale
voluta ed armata dagli Usa ma la guerra di guerriglia ha l’appoggio
degli uomini, delle donne, dei ragazzini dei villaggi di montagna
mentre la notizia delle sue vittorie si diffonde nel mondo e il
"generale degli uomini liberi" entra nella storia del movimento
operaio e proletario.

Non sarà una sconfitta militare a determinare la caduta di Sandino ma
il tradimento di una borghesia per la quale l’indipendenza nazionale
vale infinitamente meno dei propri privilegi e il nemico principale
non è l’invasore ma il proprio popolo. Il pur progressista governo
messicano negherà il suo appoggio e le calunnie su un presunto
tradimento di Sandino troveranno credito perfino nei partiti comunisti
della regione e nella Terza internazionale che lo accuserà di essere
«un piccolo borghese nazionalista che si è venduto facendo fallire la
rivoluzione».

Come in Italia, come in Germania in tempi e modi diversi, un governo
sinceramente democratico del quale facevano parte molti uomini onesti,
aprì le porte alla dittatura rimanendone travolto. La famiglia Somoza
restò al potere fino al 19 luglio 1979, quando il Fronte di
liberazione nazionale che portava il nome di Sandino guidò la
rivoluzione vittoriosa per finire a sua volta sconfitto, dopo pochi
anni di una faticosa e esaltante costruzione di una realtà più giusta.
Sconfitto dalla stessa borghesia che aveva ucciso la speranza dei
cileni e come il Cile il Nicaragua tornò nel "cortile di casa" degli
Stati Uniti.