Home > Arrestato Thatcher jr, golpista
Le forze speciali sudafricane incarcerano il figlio dell’ex lady di ferro, con l’accusa di aver dato assistenza logistica al putsch fallito nel marzo scorso in Guinea equatoriale. Il suo nome si unisce alla lunga lista di «cani da guerra» alla sbarra nello Zimbabwe e a Malabo per questa intricata vicenda
Iron baby Scarso negli affari, mediocre a scuola, ha costruito una fortuna colossale grazie alle possenti raccomandazioni materne. Fuggito dagli Stati uniti perché rincorso dal fisco, vive in Sudafrica 170 giorni l’anno per non pagare le tasse
di STEFANO LIBERTI
Lo hanno arrestato alle sei del mattino. Un reparto degli Scorpions (le forze speciali sudafricane) ha bussato alla porta della sua esclusiva villetta di Cape Town e ha intimato a Mark Thatcher di seguirlo. Accusato di aver violato la South Africa’s Foreign Military Assistance Act (la rigida legge anti-mercenariato approvata dal governo post-apartheid di Pretoria), l’uomo è stato sbattuto in una cella sovraffollata, dove - poco avvezzo alla consuetudine del carcere - è stato rapidamente derubato di scarpe, giacche e telefono cellulare. Nel pomeriggio, è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di due milioni di rand (300mila dollari) e invitato a ripresentarsi in Tribunale alla fine di novembre. Ricco businessman e figlio della celebre «lady di ferro», Thatcher è l’ultima vittima dell’intricato complotto internazionale venuto alla luce il 7 marzo scorso, quando un gruppo di settanta mercenari è stato bloccato all’aeroporto di Harare mentre si dirigeva verso la Guinea equatoriale per compiere un colpo di stato contro il presidente Teodoro Obiang Nguema. Un’operazione ardita, in cui sono intervenute diverse figure di primo piano di quel torbido mondo rappresentato dalle «società di sicurezza» moderne: del commando fermato in Zimbabwe faceva parte Simon Mann, ex membro delle Sas e fondatore della celebre azienda di mercenariato Executive outcomes (Eo). Il più piccolo manipolo gemello (15 persone), bloccato poco dopo a Malabo, capitale della Guinea, era invece guidato da Servaas Nicolaas «Nick» Du Toit, ex membro delle forze speciali sudafricane. Entrambi i gruppi di «cani da guerra» sono ora sotto processo: il primo è alla sbarra nello Zimbabwe, il secondo a Malabo.
Ed è proprio a partire dai processi che la vicenda sta cominciando a mostrare i suoi risvolti più inattesi, andando a coinvolgere nomi sempre più eccellenti. Già all’indomani della scoperta del plot, era uscito quello di Ely Calil - businessman anglo-libanese noto per le sue spregiudicate frequentazioni africane, nonché amico di Severo Moto. Subito dopo, era stata la volta di alcuni esponenti di spicco dell’establishment tory britannico: Thatcher appunto e David Hart, ex consigliere privato della «lady di ferro» riciclatosi nella vendita di materiale militare. I tre sono stati tirati in ballo dallo stesso Mann: a quanto scriveva The Observer a fine luglio, l’ex testa di cuoio britannica era riuscita a far pervenire un messaggio alla moglie dalla sua cella, in cui la pregava di mettersi in contatto con Calil, Thatcher e Hart. «L’unica cosa che può tirarci fuori è una potente raccomandazione. Abbiamo bisogno dell’influenza di Smelly (Ely Calil ndr), Scratcher (Mark Thatcher ndr) e David Hart, che devono intervenire con tutta la loro influenza. Se inizia il processo, siamo fottuti». Il processo è poi cominciato; i tre hanno deciso più o meno di abbandonare Mann al suo destino (a quanto scrive ancora il detenuto «gli avvocati non hanno ottenuto risposta da Smelly e Scratcher, il quale gli ha chiesto di richiamare alla fine del Gran Premio!»). Ed è quindi probabile che, a quel punto, Mann abbia voluto trascinare con sé nella polvere i suoi ex sodali, primo fra tutti Thatcher, suo vicino di casa a Hout Bay, ricco sobborgo di Cape Town.
Se rimane un dubbio su chi abbia fatto la soffiata, resta il fatto che già da alcuni mesi la partecipazione di Thatcher all’operazione non era più un segreto per nessuno: ampiamente riportata dai giornali inglesi, era stata citata dallo stesso presidente della Guinea equatoriale. In un’intervista concessa al mensile Jeune Afrique-l’Intelligent durante una sua visita a Parigi, Obiang aveva detto che «alcuni elementi sembrano indicare che il figlio dell’ex primo ministro Margaret Thatcher, Mark Thatcher, possa essere coinvolto nel golpe». Obiang ha anche parlato del coinvolgimento di «un ex ministro della Thatcher», di cui ha preferito non fare il nome, riferendosi con ogni probabilità allo stesso Hart.
Ma qual è il ruolo del figlio della ex lady di ferro in questa vicenda? A quanto emerge dai primi riscontri, avrebbe dato assistenza logistica e finanziaria al gruppo dei golpisti. In particolare avrebbe fornito loro armi, violando la legge sudafricana che vieta ai residenti di prendere parte in attività militari all’estero. Particolarmente dura nei confronti dei mercenari, che imperversano nel paese dopo la smobilitazione dei vari reparti di forze speciali creati dal governo dell’apartheid (gran parte del commando di Mann proveniva dal famigerato battaglione Buffalo), Pretoria ha deciso di usare le maniere forti: ha annunciato a più riprese che non chiederà l’estradizione dei suoi cittadini incriminati in Zimbabwe e Guinea equatoriale (a meno che essi non vengano condannati a morte) e sta portando avanti un’azione a tutto campo contro queste imprese di sicurezza - solo mercoledì scorso gli Scorpions di Cape Town avevano fatto irruzione nella sede di una società chiamata International Intelligence Risk Management e nella residenza del suo proprietario, arrestando quattro persone.
L’azione contro baby Thatcher si inserisce probabilmente in questa offensiva e mira a inviare un segnale di avvertimento alle decine di businessmen che hanno avviato aziende di quel tipo nel nuovo «paese arcobaleno», reclutando i vari cani da guerra rimasti a spasso. In questo senso, gli interessi della Guinea equatoriale - emirato petrolifero amministrato con pugno di ferro dal satrapo Obiang - e quelli del Sudafrica - interessato a eliminare la sua fama di «santuario» per mercenari di ogni sorta - sono venuti a coincidere. Difficile invece che gli altri big names implicati nell’affaire siano toccati: è assai poco plausibile che le autorità spagnole e britanniche daranno seguito al mandato di arresto internazionale emesso il 26 luglio scorso dal governo equato-guineano contro Severo Moto, Ely Khalil e David Hart. Fintanto che rimangono in Europa, i tre possono continuare a dormire sonni tranquilli.