Home > BALDONI UCCISO : il nostro dolore non sia veleno
BALDONI UCCISO : il nostro dolore non sia veleno
Publie le sabato 28 agosto 2004 par Open-PublishingLa prima vittima della guerra è la verità; l’arma più potente il controllo dell’informazione.
Solo partendo da queste premesse si può provare un ragionamento su ciò che sta accadendo in Iraq.
Se vogliamo evitarci il destino disegnato da Orwell dobbiamo assolutamente cercare di far rimanere la mente fredda anche in presenza del peggio del peggio.
Non dobbiamo, infatti, mai dimenticare che di fronte a noi non c’è una spontanea catena di eventi da commentare ma il dispiegarsi di strategie, di piani, di teorie che hanno messo in conto le nostre emozioni e su queste lavorano.
Insomma, per dirla tutta, gli uomini di pace dovrebbero essere più freddi, lucidi e determinati degli uomini che hanno pianificato e che gestiscono questa orrenda carneficina.
Se non sarà così è probabile che le gocce di veleno che quotidianamente vengono versate nelle vene del nostro popolo non troveranno gli antidoti necessari e quindi faranno effetto.
Per questo, cercando di non cadere nello speculare errore di quel complottismo che sopravvaluta costantemente i propri avversari, dobbiamo fare forza su noi stessi, e provare a dare una ragione del tremendo lutto che ci ha colpito questa settimana.
L’uccisione di Baldoni sembra, infatti, insensata se la vediamo dal punto di vista di una possibile gestione “politica” dei sequestri in Iraq.
Non ha senso uccidere un uomo di pace, un coraggioso giornalista che era in Iraq solo per descrivere le sofferenze di quel popolo, per farne capire le ragioni. Non hanno nemmeno senso i tempi e le modalità della gestione del sequestro rispetto agli obiettivi formalmente proclamati dagli assassini.
Per ottenere un effetto significativo sull’opinione pubblica servivano più tempo ed una gestione “politica” del sequestro. Invece tutto è precipitato in poche ore dentro una atmosfera agostana e distante.
Certo la casualità può ovviamente averci messo del suo ma ciò che conta sono gli esiti dei fatti e come questi sono gestiti dai protagonisti o da chi si inserisce sopra gli eventi. E’ quindi molto importante capire quali effetti si cerca di indurre sull’opinione pubblica con questo omicidio.
Il messaggio è abbastanza chiaro. Non si fanno distinzioni. L’obiettivo è l’Italia e non una sua parte. La guerra è totale e barbara.
Rispetto alla gestione dei primi ostaggi ed anche al cosiddetto ultimatum di ferragosto la situazione è cambiata. Prima questi assassini (o chi si maschera dietro a loro) indicavano come obiettivo quello di una modifica della situazione politica italiana al fine (presunto) di ottenere il ritiro delle truppe di occupazione.
Ora l’uccisione di Baldoni sembra volerci dire che la fase è cambiata e che tutti noi, come italiani, siamo obiettivi utili, persino quando, come Baldoni appunto, operiamo concretamente per soluzioni di pace.
Inoltre l’uccisione di un giornalista indipendente, di uno che le notizie se le andava a cercare e non le chiedeva agli addetti militari o alle fazioni, è un messaggio altrettanto chiaro ed esplicito.
L’effetto cercato è il compattamento del campo avverso, il prevalere di una logica tribale e di guerra, lo sgretolarsi del fronte della pace in nome di un comune nemico “barbaro”. Ed immediatamente la “logica” degli assassini ha trovato corrispondenza tra chi, qui da noi, cerca di far vivere il proprio fondamentalismo al punto da scatenare una miserabile speculazione sull’ostaggio “pacifista” e di “sinistra”.
Questa schema lo conosciamo bene. E’ molto simile a quello che ha mosso il nostro terrorismo interno e, anche in quel caso, è stato molto utile a coloro che i terroristi dicevano di voler abbattere al punto che si è parlato a lungo di una “manina” che ne muoveva i fili.
Ora cosa stia succedendo realmente in Iraq lo sanno (forse) solo i servizi segreti di tutto il mondo che affollano la Mesopotamia. Queste strutture sono le sole che hanno le informazioni necessarie per sapere o provare a capire chi siano realmente i protagonisti che si mascherano dietro i cappucci neri.
Detto tutto questo è quindi ancora più evidente che l’agenda del popolo della pace non deve essere condizionata da questi eventi, pur terribili e drammatici. Lo dico anche nel caso che gli eventi siano “utili” a dimostrare le nostre ragioni. Noi dobbiamo proseguire, più determinati che mai, nel chiedere l’uscita dalla guerra e quindi il ritiro dei militari italiani.
Una grande, forte manifestazione nazionale per il ritiro è oggi l’antidoto più efficace per neutralizzare il veleno e rimettere in moto energie positive che impediscano alla logica della guerra di prevalere nei nostri cuori prima che nelle nostre teste.
Vediamoci quindi presto a Roma e sino ad allora tutti a raccogliere le firme sulla petizione per il ritiro.
Iacopo Venier
Responsabile Politiche Internazionali
Partito dei Comunisti Italiani