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Baghdad, kamikaze contro cinque chiese cristiane

Publie le domenica 1 agosto 2004 par Open-Publishing

di Toni Fontana

Salto di qualità del terrorismo nell’Iraq in guerra. Con un devastante attacco coordinato kamikaze hanno compiuto stragi tra i fedeli cristiani che uscivano dopo la messa celebrata in cinque chiese di Baghdad e Mosul. I morti sono almeno quindici, i feriti decine. La raffica di attentati apre un nuovo fronte nell’Iraq in fiamme, è la prima volta che il terroristi prendono di mira la comunità cristiana con l’obiettivo di innescare la guerra di religione e la resa dei conti tra le diverse componenti del paese. Tutto ciò avviene mentre le tappe indicate dall’Onu per il «periodo di transizione» saltano una dopo l’altra. L’offensiva dei registi del terrore si inserisce nel vuoto lasciato dalla decisione del governo di rinviare a data da destinarsi la «conferenza nazionale» che doveva eleggere il primo «parlamento» iracheno. Non solo manca un accordo tra le comunità, ma, con la nuova offensiva, il terrorismo punta a scardinare i fragili equilibri fin qui raggiunti. Il primo kamikaze si è fatto esplodere nei pressi della chiesa armena del quartiere di Karrada, un tempo uno dei più ricchi di Baghdad e oggi popolato da una borghesia, in parte cristiana, impoverita e terrorizzata. Gli altri attacchi sono avvenuti ad intervalli di 15 minuti uno dall’altro. Il secondo kamikaze ha seminato la morte tra i fedeli che uscivano dalla chiesa cattolica di rito siriaco. Negli stessi momenti altre due esplosioni sono avvenute nei pressi di due chiese cattoliche di Mosul, la grande città dell’estremo nord iracheno sede della più importante minoranza cristiana dell’Iraq. Almeno in un caso gli attentatori hanno utilizzato mortai con i quali hanno bersagliato i fedeli che uscivano dai luoghi di culto dopo aver assistito alle funzioni religiose. Dopo gli attacchi a Mosul vi sono stati altri due attentati a Baghdad dove sono stati presi di mira una chiesa ed un convento caldei. Una delle chiese colpite si trova nel quartiere meridionale di Doura; l’attentatore si è scagliato a forte velocità con un’auto imbottita di esplosivo contro la folla riunita nel sagrato. I morti sono almeno 12; nel complesso l’ondata di attentati ha provocato almeno 15 vittime, ma molti feriti sono in gravi condizioni.

L’attacco terroristico apre dunque una nuova ferita nell’Iraq insanguinato. Negli anni del regime di Saddam la comunità caldea (maggioritaria tra i circa 800mila cristiani dell’Iraq) ha goduto della «tutela» di Tareq Aziz, il ministro e vice-premier che, poche settimane prima dell’inizio della guerra del 2003, venne a pregare tra i frati di Assisi. Con la caduta del regime e l’inizio dell’occupazione i caldei, che in massima parte popolano i quartieri più ricchi o meglio meno poveri della capitale, sono stati abbandonati al loro destino. Gli amministratori americani hanno deciso di inserire solo personaggi di modesto profilo nei vari governi ad interim e la componente cristiana è rimasta così priva di rappresentanza. Schiacciati tra le pretese egemoniche della maggioranza sciita e la ribellione armata dei sunniti, i cristiani rischiano da ieri l’annientamento ad opera dei terroristi che puntano sulla destabilizzazione e la guerra «tutti contro tutti».

Il primo commento licenziato dalla sala stampa del Vaticano definisce «terribile e preoccupante» quanto è accaduto in Iraq. L’offensiva dei kamikaze non si è limitata ieri ai luoghi di culto. Ieri mattina, alcune ore prima delle esplosioni nelle chiese, un attentatore suicida si è fatto saltare nei pressi di una base della Guardia Nazionale, il nuovo esercito iracheno. Le sentinelle si sono accorte del pericolo, ma hanno sparato quando era ormai troppo tardi; quattro di loro sono morte. I feriti sono più di 50. Il panorama delle azioni terroristiche si completa con un attacco compiuto con una bomba contro un convoglio Usa nella capitale con un bilancio di almeno due morti tra i civili. Un militare statunitense è stato ucciso a Samarra, ad un centinaio di chilometri a nord della capitale. Il bollettino di guerra non si esaurisce tuttavia con l’elenco delle azioni dei kamikaze.

Tra sabato notte e ieri si è svolta l’ennesima battaglia di Falluja con un bilancio approssimativo di 10 morti, tutti iracheni. Le notizie sull’accaduto sono frammentarie e censurate dai comandi Usa. Di certo sono entrati in azione sia i cacciabombardieri che i carri armati americani che, appoggiando i soldati sul terreno, hanno scatenato una vera e propria offensiva nel santuario della lotta armata con l’obiettivo di annientare i gruppi di insorti. L’accanimento delle forze statunitensi contro la città nella quale sarebbe nascosto anche il super-ricercato Al Zarqawi non sta però dando i frutti sperati. La resistenza delle organizzazioni armate è ancora molto forte, dei capi terroristi non vi è alcuna traccia e, nel frattempo, i bombardamenti massicci hanno provocato decine di vittime (almeno 40 tra i civili) ed hanno in tal modo aumentato il consenso del quale godono gli insorti.

Notizie contraddittorie infine dall’altro fronte iracheno, quello dei sequestri di persona. Uno dei due libanesi sequestrati nei giorni scorsi, Vladimir Damaa, è stato liberato, mentre sulla sorte dei sette camionisti catturati nelle scorse settimane si sono inseguite voci incontrollate. Nel corso della giornata la loro liberazione era apparsa certa al punto che a Nairobi (tre ostaggi sono kenioti) una fonte del governo ha addirittura annunciato che i sette erano già stati abbandonati dai sequestratori. Successivamente lo sceicco sunnita, che sta svolgendo il ruolo di mediatore nella trattativa, ha detto che non vi erano prove dell’avvenuta liberazione e che le negoziazioni proseguivano.

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