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Bertinotti: Una vecchia parola come "comunismo’ ci aiuta a ripensare il futuro
Publie le mercoledì 22 settembre 2004 par Open-Publishing
di Cristiano Pini
Alice intervista Fausto Bertinotti: “Oggi la democrazia è ridotta ad un simulacro.
I movimenti stanno cambiando la testa della gente. La politica deve mettersi
alla loro altezza. La sinistra deve vivere nel popolo e con il popolo”.
On. Bertinotti, soprattutto a sinistra si parla molto di crisi della
democrazia e di nuove forme di rappresentazione democratica. Quale è il suo pensiero
a riguardo cosa
Penso che stiamo vivendo una condizione in cui la democrazia è ridotta ad un
simulacro. Non parlo solo dell’Italia, perchè sarebbe troppo facile. In generale,
dopo la grande esperienza di democrazia di massa conseguente alla vittoria sul
nazi-fascismo attraverso la quale le masse sono entrate in politica grazie ai
partiti, ai sindacati e alle cooperative ecc., la democrazia rappresentativa è andata
in crisi; oggi è moribonda.
Un Parlamento comunque in Italia continua ad esserci a rappresentanza di tutti gli elettori?
In realtà in Parlamento non esiste perché è chiamato a fare da spettatore delle scelte del governo. La democrazia è soverchiata dal potere gigantesco delle grandi comunicazioni di massa. Molti poteri degli stati nazionali sono stati loro sottratti dal Fondo Monetario Internazionale, dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. La Banca Centrale Europea decide la politica monetaria senza alcun tipo di rappresentatività. Si è tornati, insomma, all’epoca dei mercanti del ’500 quando qualcuno stampava moneta senza il controllo del decisore pubblico. Il pubblico è stato desertificato e il mercato ha preso il posto della politica. Viviamo in una democrazia dimezzata.
Il diritto al voto è rimasto, no?
Si, certo, siamo ancora chiamati a votare; ma perché tanta gente ci va sempre meno?
Perché?
Perché sente la povertà della possibilità di incidere. Penso che oggi le forze che si oppongono a Berlusconi abbiano come compito fondamentale quello di ricostruire la democrazia nel nostro Paese. Ricostruire la democrazia in una scuola, in un luogo di lavoro, in un ospedale, nella vita quotidiana; devo poter dire con il mio voto se quel contratto che ha fatto il sindacato mi va bene oppure no. Devo, per esempio, con il bilancio partecipativo, essere chiamato a decidere su alcune scelte amministrative.
Un’utopia....?
In un solo giorno 120 milioni di persone hanno manifestato contro la guerra e contro Bush da Seattle a Parigi. Si è manifestato contro la violenza del capitalismo del mercato, ma anche per dire che un mondo migliore è possibile. I movimenti stanno cambiando la testa della gente. Siamo noi, è la politica che deve mettersi all’altezza di questi movimenti; è la politica che deve trovare un nuovo linguaggio... e la prima parola di questo nuovo linguaggio è “partecipazione democratica”. Le sinistre possono nutrire grandi ambizioni di cambiamento, ma esse possono essere reali solo ad una condizione: che la sinistra viva nel popolo e con il popolo; questo lo si può fare solo con lo sviluppo della democrazia. Il problema si è posto non solo per la guerra, ma anche in termini di amministrazione di governo a Genova (per la privatizzazione delle dighe n.d.r.) o più recentemente a Scanzano o ad Acerra. In quest’ultimo caso viene proposto un inceneritore e la popolazione si ribella: un popolo intero prende coscienza di sé e del suo rapporto con il territorio e dice no. Allora gli viene presentata un’ opportunità sotto forma di ricatto: noi vi offriamo un inceneritore o una raccolta di scorie nucleari e vi garantiamo che entrerete nel ciclo di sviluppo del mondo.
Come si risolve questo contrasto?
Io penso con la democrazia. Dove c’è un contrasto bisogna affidare la parola al popolo che si assume la responsabilità della scelta.
Mi sembra una soluzione troppo “facile”.
No. Noi abbiamo il problema di sottrarci da quello che sembra essere lo stato di necessità. La globalizzazione come “magnifiche sorti e progressive” non funziona, non porta riduzione delle distanze tra il nord ed il sud del mondo, illude che domani con la new economy ci sarà un lavoro più bello per tutti. La globalizzazione è fallita miseramente e drammaticamente, anche attraverso la guerra, rivelando il suo volto regressivo. Domanda: dopo la vittoria sul nazi-fascismo è vero o non è vero che i nostri figli per la prima volta stanno peggio della generazione precedente? Non tanto dal punto di vista economico, ma certamente per la precarietà e per incertezza del futuro. In questa condizione il potere non ha più la forza di convincimento. Non convince più il discorso “affidati alla globalizzazione” e il suo “pensiero unico”.
Un fallimento a tutto campo, quindi, quello della globalizzazione...
Questa globalizzazione è una grande rivoluzione tecnologica e scientifica che, per la prima volta nella storia moderna, invece di consentire il progresso sociale produce la regressione fino a mettere in discussione i destini dell’umanità. La globalizzazione impone “o mangi dalla finestra o salti dalla finestra”. Alla Bosh o alla Siemens ti ricatta: o accetti di far crescere l’orario di lavoro senza aumentare lo stipendio o noi spostiamo la fabbrica in Romania o in Bulgaria. E così il ricatto di moltiplica su scala mondiale. La nostra non è una posizione ideologica. Il problema che abbiamo di fronte è uno sviluppo capitalistico che produce crisi ed instabilità. Per questa ragione io penso che per affrontare i problemi di un nuovo sviluppo dobbiamo tornare a ragionare su un’antica questione: come si fa ad uscire dall’organizzazione sociale capitalistica? Una vecchia parola come “comunismo” ci aiuta oggi a ripensare il futuro.
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