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Bertinotti: «Unità sul ritiro»

Publie le sabato 2 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


Il segretario del Prc: «Accusarci di collaborazione col governo è ideologico
e pregiudiziale. Il ritiro delle truppe non basta, ma è una condizione necessaria.
Ds e Margherita devono ribadire la mozione unitaria. Oggi l’opposizione rischia
l’evanescenza»


di ANDREA COLOMBO

Rifondazione comunista e i partiti della sinistra ulivista si apprestano a presentare
una nuova mozione sul ritiro delle truppe. Ds e Margherita frenano, mentre da
sinistra non si placano le polemiche contro il Prc per l’accordo con il governo
nei giorni del sequestro delle due Simone. Critiche che Fausto Bertinotti respinge
in blocco.

Bertinotti, ieri Casarini ha usato parole molto forti, accusandoti di «collaborare
con chi la guerra la fa dall’inizio». Cosa gli rispondi?

Francamente questo agomento della collaborazione con il governo denota un rifiuto
pregiudiziale e ideologico di capire, o anche solo di fare i conti con i fatti.
La «collaborazione», se così la si vuol chiamare, c’è stata sul salvare alcune
vite umane. A questo fine era necessario interloquire con i paesi arabi, instaurare
un dialogo interreligioso, costruire condizioni ambientali che permettessero
la trattativa. Questa influenza positiva del nostro atteggiamento poteva essere
messa in discussione fino a qualche giorno fa, non più dopo la liberazione.

Le esitazioni dei Ds sul ritiro sembrano avvalorare queste critiche?

Però l’obiezione è rivolta a noi, che invece abbiamo già chiesto il dibattito parlamentare e riproposto la mozione sul ritiro delle truppe, non ai Ds. La posizione della Quercia, poi, non è cambiata in seguito a questa vicenda. Hanno avuto le stesse incertezze prima, durante e dopo il sequestro.

Cosa pensi della proposta di puntare su un «piano di pace» invece che sul ritiro delle truppe avanzata dal segretario diessino?

Sul ritiro delle truppe c’è evidentemente un dissenso tra noi. Per il resto anche io penso che non ci si debba fermare al ritiro, e infatti la nostra mozione non si ferma al ritiro. Lo considera una condizione necessaria ma non sufficiente. C’è invece un punto di convergenza sulla ipotesi di conferenza internazionale, tanto più dopo l’iniziativa francese che è importantissima.

E sullo scopo della conferenza c’è intesa?

Non del tutto. La conferenza dovrebbe lavorare per mettere fine alla guerra. Quindi dovrebbe ottenere che tutte le truppe che stanno facendo la guerra si ritirino e siano rimpiazzate da truppe di paesi non coinvolti nella guerra. Naturalmente sotto l’egida dell’Onu.

Fassino, come il governo e come la stessa amministrazione americana, insiste sulle elezioni di gennaio in Iraq. Tu cosa ne pensi?

Sono un passaggio obbligato. Ma per essere decentemente assunte come momento significativo devono avvenire in condizioni, se non di occupazione del tutto cessata, quanto meno in via di conclusione. Mi sembra invece che a questo passaggio si stia attribuendo un carattere salvifico, come si era già verificato in occasione della costituzione del governo Allawi. Sembrava che alla nascita del governo dovesse automaticamente conseguire un decrescere della guerra, del terrorismo e della guerra civile. Non è successo, perché se il popolo iracheno non vive il governo come suo ma come longa manus degli Usa non serve a niente. Lo stesso identico discorso vale per le elezioni.

Un altro discorso fatto dalle forze moderate dell’opposizione è quello sulla possibilità/necessità di influire sulla linea del governo italiano, modificandola. Ti sembra credibile?

Bisogna provarci, ma secondo me il legame con l’amministrazione Usa è portante nella strategia del governo italiano. Dunque un cambio di linea è difficilissimo. Certo, sotto la spinta degli eventi, una differenza nel linguaggio del governo italiano c’è stata, ma sempre in un quadro di piena compatibilità.

Torniamo all’opposizione. Per il momento non sembra che le forze moderate intendano rinnovare la mozione sul ritiro...

Dobbiamo ambire a portare tutte le opposizioni a convergere su una richiesta che è in assonanza con quella della maggioranza del paese. Non mi rassegno a una spaccatura dopo che il ritiro è stato chiesto unitariamente in una situazione che era migliore di questa. Chiedo: cosa è cambiato oggi per non rinnovare quella richiesta? La stessa modifica nel linguaggio, se non nella politica, del governo dovrebbe incoraggiare l’opposizione a proseguire sulla sua strada, non spingerla ad annacquare le sue posizioni.

Appena liberate le Simone, Berlusconi ha lanciato il suo appello per estendere la «collaborazione» ad altri settori, come le riforme istituzionali. C’è il rischio che nel centrosinistra qualcuno risponda a questo richiamo?

Secondo me no. Può essere il sogno centrista di qualcuno, ma non è praticabile. Il mio timore non è un pasticcio ma l’indeterminatezza nella costruzione di un effettivo programma d’opposizione. Il rischio è che l’opposizione continui a essere evanescente, troppo divisa e fatua nelle motivazioni di queste divisioni, e così induca una sfiducia nella politica. La deriva consociativa è un pericolo irreale. Il carattere evanescente dell’opposizione, invece, è il pericolo reale.

Da dove si potrebbe partire per rovesciare questa tendenza?

Io partirei da una piattaforma comune per il no alla finanziaria. Se l’opposizione, insieme con la mobilitazione per la pace, riuscisse a intercettare le prime mobilitazioni spontanee contro la finanziaria, sarebbe un passo nella giusta direzione.

Intanto la prima riunione di tutta l’opposizione, fissata per il 4 ottobre, sembra slittata...

Sì, ma credo che ci sarà una riunione qualche giorno dopo. E forse con elementi di maggiore pregnanza concreta.

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