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Cesare Battisti: come sottrarsi al terrorismo di Stato

Publie le lunedì 23 agosto 2004 par Open-Publishing

di Giuseppe Genna

Se confermata, la fuga dello scrittore Cesare Battisti dalla Francia
catapulta l’uomo direttamente nella leggenda e aggiunge un capitolo
di pura letteratura civile ed epica alla nostra storia nazionale,
lasciando però un marchio indelebile sulla delenda storia
continentale, per i motivi che vedremo. Andiamo con ordine. Cesare
Battisti, che doveva sottostare all’obbligo di firma al
commissariato del IX Arrondissement parigino ogni sabato, non si è
presentato né ieri né - finora - oggi. Si attendeva il verdetto sul
ricorso in Cassazione, avanzato dai due storici avvocati di
Battisti, dopo l’incredibile sentenza favorevole all’estradizione
verso l’Italia, che con nonchalance giuridica la Corte francese
aveva comminato lo scorso 30 giugno all’italiano, sollevando ondate
di protesta da parte degli strenui difensori della parola data da
François Mitterrand. Nessuno si attendeva una soluzione tanto
repentina e sconvolgente (sul piano storico), nemmeno gli amici più
intimi di Cesare Battisti. Con una mossa tanto inaspettata, Cesare
Battisti sacrifica la sua vita emotiva (a Parigi lascia due figlie,
l’attuale compagna, l’ex moglie a lui molto attaccata) per
scegliere, come ha detto Oreste Scalzone, "il verde della vita
contro il grigio della sottomissione". Questo sul piano personale.
Su un ben diverso piano, Battisti in fuga ricopre di ridicolo (un
tragico ridicolo) il governo italiano e l’istituzione francese,
oltre che tutti gli orgiasti della diffamazione mediatica che lo
hanno dipinto come un mostro. Così facendo, l’autore de L’ultimo
sparo impedisce in maniera abissale la più vergognosa azione di
freezing criminale sulla storia italiana degli ultimi trent’anni e
sulla memoria collettiva di un’intera nazione. Fedele alla sua unica
ossessione, che è la letteratura, cioè la leggenda, Battisti vi si
tuffa a corpo vivo. Ecco perché.

L’Italia brianzola, quella che Guarda stupefatta i sigilli
parlando bosino e quella del ministro dell’Inferno Pisanu, esce con
le ossa rotte dalla vicenda Battisti. Inizialmente, con tutta
probabilità, tenendo conto della tempesta perfetta mediatica
scatenata contro Cesare Battisti qui da noi, assisteremo a
un’ulteriore demonizzazione del personaggio: verrà verosimilmente
coperto di insulti, invocazioni alla vergogna, accuse di cinismo in
linea con il suo onirico profiling da serial killer, mentre gli
operatori si scateneranno nell’estrarre dai parenti delle vittime
(vittime, sia ribadito, non di Battisti, a detta dello stesso
scrittore) gli ultimi rivoli di dolore trasmutati in rabbia senza
soluzione. Passerà anche quest’ondata che, ahimè, non è anomala, coi
tempi berlusconi che corrono alle nostre latitudini. E poi, per
incanto, ecco cosa succederà: il silenzio. Il silenzio è un sintomo
della vergogna. Vergogna che assalirà anzitutto il ministro della
Giustizia, l’autentico protagonista di questa vicenda di vergognoso
impedimento alla soluzione del quindicennio tragico di Piombo.

Grazie al ministro Castelli, l’Italia è l’unica nazione del patto
europeo a non avere concesso l’ok allo spazio giuridico
continentale - una decisione che blocca processi importanti, a
carico di cariche altrettanto importanti. In dissintonia con questa
scellerata tattica, il ministro si è valso della collaborazione del
suo omologo francese, un uomo per nulla per bene che si chiama
Perben, il quale è arrivato a inventarsi, per tradurre inizialmente
in carcere Battisti, l’accusa per aggressione di un vicino dello
scrittore italiano. Ma, della Francia, sequitur. Torniamo al nostro
ministro. Coerente esponente del forcaiolismo di marca briantea e
protagonista di un manifesto ideologico dello stesso, il ministro
italiano della Giustizia ha inteso riaprire nel modo più crudele una
questione storica che stenta a essere storicizzata: quella degli
anni del terrorismo. Ha scatenato un’incredibile campagna di odio
ciecamente vendicativo nei confronti di un uomo - un uomo che aveva
accettato l’invito francese a rifarsi una vita entro la legalità e
che aveva rispettato questo patto.

Il ministro italiano, con una
mossa tanto devastante, ha sortito effetti che hanno completamente
annullato vent’anni di storia: ha riaperto le ferite dei parenti
delle vittime, ignorati appunto per un ventennio dallo Stato, dando
loro l’occasione di ripiombare in stati emotivi che pertengono
l’attualità bruciante di quando subirono il lutto e non il presente
che stanno vivendo; ha radicalizzato le posizioni, alzando quote di
ansia e di conflitto in Italia; ha messo a dura prova i rapporti che
l’Italia intrattiene con la Francia; ha colpito un individuo
pienamente recuperato a quella che le democrazie accolgono come
esistenza sociale integrata, mettendo a repentaglio il recupero
esistenziale emotivo e cognitivo di un individuo condannato in
contumacia da un pentito poco attendibile; ha riaperto violentemente
la questione dell’irreversibilità del processo in contumacia,
probabilmente il capitolo più vergognoso della giurisprudenza
italiana, condannato dai più autorevoli organismi internazionali; ha
mostrato fino a che punto il governo attuale controlli e orchestri
le azioni degli organi di stampa; ha dichiaratamente enunciato il
principio della vendetta postuma, facendo egli parte di un’alleanza
che propugna la guerra preventiva; ha attaccato il direttore del più
importante quotidiano d’Oltralpe, prendendo spunto da una vicenda
che nulla c’entrava col caso Battisti, suscitando reazioni indignate
ovunque; ha seppellito la questione della grazia a Sofri,
approfittando della riapertura sbilenca della questione dei Settanta
e irridendo al Capo dello Stato.

Ora, la fuga di Battisti lascia il
ministro da solo col cerino più corto in mano. Qualunque decisione
il ministro prenda dopo la fuoriuscita di Battisti sarà interpretata
come reazione alla fuga dello scrittore. Se il ministro scatenerà,
come qualcuno paventa, una caccia all’esule in Francia, egli
mostrerà il fianco a chi lo accuserà, legittimamente, di reagire con
rabbia istituzionale all’esito della vicenda Battisti - nel senso
che trascinerebbe le nostre istituzioni nella rabbia. Il re è nudo.
Battisti gli ha strappato tutti i vestiti di dosso. Per questo,
Cesare Battisti entra nella leggenda.

Chi esce dal caso Battisti con le ossa frantumate da fratture
multiple è la Francia. La pavidità del complesso intero della
magistratura di Parigi è stata emblematica di un asservimento vile,
totale e vergognosissimo al potere politico, essendo questo
altrettanto vergognosamente teso a fare un favore al governo
reazionario italiano, mangiandosi un protocollo di legge rispettato
da nove premier transalpini in più di vent’anni. La dottrina
Mitterand non è affatto di Mitterand: è la dottrina dello Stato
francese tutto, qualunque premier l’ha applicata per questi due
ultimi decenni. "Honte!" è stato il grido lanciato in aula alla
lettura della sentenza favorevole all’estradizione di Battisti in
primo grado. La Francia esce dal caso Battisti sepolta dalla
vergogna. La Francia non è più terra di libertà, non è più la patria
della parola data e rispettata. Sia sottolineato che l’estradizione
di Battisti, a distanza di quasi quindici anni dal suo arrivo a
Parigi, era possibile perché Battisti aveva accettato un invito da
parte dello Stato francese.

Poteva continuare il suo esilio nelle
Americhe, ma accettò il patto con Parigi. Quindici anni dopo,
cambiando il governo, cambia tutto. Uno stato di cose che grida
vendetta al cospetto d’iddio, se non fosse che e Battisti e chi l’ha
difeso sono lontani mille miglia dalla tentazione della vendetta. La
Francia non è stata in grado di imporre all’Italia nemmeno il
cambiamento dei protocolli sull’ingiusto processo a Cesare Battisti.
Una sconfitta totale, bruciante, storica. Dall’Italia era evidente
che non sarebbe giunta risposta all’invito di rifare un equo
processo a Battisti (accusato, ricordiamo,
dall’inattendibile "pentito" Mutti, che ha accollato a Battisti,
essendo questi assente, tutti i delitti dei PAC, senza che nessuno
lo sbugiardasse, nonostante le palesi contraddizioni e i
ripensamenti di Mutti stesso in corso di processo, oltre che, in più
casi, le ammissioni del medesimo circa le attribuzioni di
responsabilità a Battisti di fatti di cui non era responsabile, solo
perché, essendo egli assente, era comodo attribuirle a lui). Rifare
il processo a Battisti sarebbe stato ridicolo: ventidue anni dopo i
fatti cosa può ricordare un pentito?

Ecco, il punto è proprio
questo: il ridicolo di un processo rifatto a più di vent’anni è
proporzionale al ridicolo di una questione storica ciclopica
dissepolta a più di vent’anni di distanza. La Francia non se l’è
sentita di dire no a Berlusconi. E, più grave, è andata incontro a
ciò che gli intellettuali francesi hanno denunciato nel corso di
questa vicenda: il potere politico, per assentire alla richiesta del
governo Berlusconi, ha attuato il modello di atteggiamento che
Berlusconi applica alla magistratura italiana.

Evitare
l’importazione del virus berlusconiano: era l’approccio fondamentale
di chi si è mobilitato a favore di Battisti a Parigi. Il virus
berlusconiano: cioè, pressioni in vista della sottomissione del
legislativo all’esecutivo. La sentenza di primo grado enuncia questo
principio esplicitamente: i magistrati chinano il capo davanti a
considerazioni politiche e lo dichiarano a chiare lettere. L’unica
componente che ha retto in Francia, sottraendosi a una vergogna che
per anni condizionerà il giudizio sulla nazione di Chirac, è stato
il comparto intellettuale. Da Daniel Pennac a Bernard Henri-Lévi, i
più prestigiosi intellettuali francesi hanno gridato allo scandalo,
evocando la Comune di Parigi a simbolo di quanto accadeva: evocando,
intendo, l’esito giudiziario post-Comune come esempio di superamento
del trauma storico.

Un coraggio che gli intellettuali italiani non
hanno dimostrato, a parte luminose eccezioni come Erri De Luca. Una
nazione messa sotto scacco, seppure al prezzo dell’abbandono di
un’esistenza ormai solida e integrata, di una famiglia, di affetti e
amicizie. Battisti ha sacrificato molta parte di se stesso con la
sua fuga, ma ha coperto la Francia di merda. Per questo, Battisti
entra nella leggenda.

Il forcaiolismo e l’opinionismo italiani (totalmente coincidenti,
in questo caso) escono dalla vicenda Battisti nella maniera
peggiore. Il sisma mediatico instillato nel Paese attraverso
operazioni lautamente pagate e criminali (foto in prima pagina di un
Battisti splatter e distorto; infinite litanie giustizialiste a
sproposito; interviste lacrimevoli; opinioni sgradevoli a favore
della legge del taglione; distorsione scientifica della verità
storica e di quella umana di Battisti) è stato senza precedenti,
almeno negli ultimi vent’anni di vita del Paese. La condanna
arrogante, preconcetta, disastrosamente imbevuta di sangue, è stata
propalata attraverso una mobilitazione mediatica inarginabile. Con
Battisti a fare da emblema a una situazione storica complessa, non
ancora digerita dalle genti italiane - condannare Battisti a marcire
in cella equivaleva a condannare in blocco tutti i movimenti dei
Settanta/Inizio Ottanta.

La virulenza dell’operazione mediatica era
pari soltanto alla sua fragilità: davano per certo l’esito,
sbranavano il cadavere via etere. La fuga di Battisti restituisce i
media alla loro dimensione: sono, il più delle volte, falsificazioni
e auguri. Non penetrano il livello denso ed effettivo del reale.
Berciano, strillano, uccidono linguisticamente. Ma basta una mossa
storica per relegarli al loro destino di bollettini postumi, che
arrivano sempre in ritardo e tutt’al più possono sperare come
sperano certi spettatori davanti a un film horror. Non c’è
opinionista giornalista politico, tra quelli intervenuti sul caso
Battisti, che esca pulito da questa vicenda. Leggere la spietatezza
delle parole di Violante, che negava la possibilità futura di
un’amnistia, all’indomani della fuga di Battisti fa ridere e
piangere. Anche per questo svelamento del falso generalizzato e
dell’inanità storica della spettacolarizzazione codina, Battisti è
nella leggenda.

La costituzione delle gabbie giuridiche continentali esce dal caso
Battisti con il grado di posata serietà dell’ultimo dei pagliacci. I
tecnocrati di Bruxelles, che stanno approfittando del
condizionamento planetario attraverso la sigla vuota
del "terrorismo" internazionale, si vedono mutilati del primo
risultato concreto a cui avrebbe portato il nuovo regime giuridico
che si sta per applicare in Europa e che coincide con l’abbattimento
totale delle garanzie. Battisti ha pagato (e altri, dopo di lui,
pagheranno) una deriva criminale e neoconservatrice, che si basa
sulla demonizzazione di chiunque attraverso la
dicitura "terrorista". Tale dicitura nasconde verità scomode: la
prima delle quali, per esempio, è che l’occidente è in guerra da
anni. Ogni risposta bellica alla battaglia generalizzata scatenata
dall’occidente viene tacciata di terrorismo. I teorici hanno
lanciato l’allarme: la situazione è quella di guerra asimmetrica,
non di terrorismo. Ma ai poteri forti e tecnocratici fa comodo
ignorare le cassandre.

L’uso inflazionato e drammatizzato della
nozione di "terrorismo" è ciò che ha coinvolto Battisti in una
vicenda in cui il governo italiano si è sentito legittimato a
riprendere per i suoi comodi una terminologia accusatoria che era
vecchia di più di vent’anni. L’unica garanzia, a questo punto, è
sottrarsi a questo protocollo di indiscriminata violazione dei
diritti individuali e collettivi. Il che è ciò che Battisti ha
fatto. Per questo entra nella leggenda.

Come prevedeva Valerio Evangelisti, gli indegni protagonisti della
vicenda Battisti (indegni tutti, tranne Battisti stesso) sono ora a
rischio. Poiché Battisti è certo che verrà ricordato come una
leggenda, gli Spataro i Violante i Castelli i Pisanu i Perben e
tutti gli altri malpensanti mantengono, a differenza di Battisti, il
culo al caldo ma, esattamente come Battisti, entrano anche loro
nella leggenda. Nel senso che ci entrano da Barkilphedro, da Frollo,
da Gollum. Rischiano, cioè, di restare memorabili per la vergogna e
l’idiozia, nella trattazione che gli scrittori (di cui Battisti è
parte integrante e, a questo punto, ancor più apicale) potrebbero
lasciare a futura memoria. Ci stiamo lavorando. Avendo costruito una
leggenda, Battisti ha contribuito al contrattacco letterario. E’
nella leggenda anche per questo.