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Chalabi e Garber forniscono nuovi indizi sulla guerra
Publie le venerdì 5 marzo 2004 par Open-PublishingWASHINGTON - Per coloro che stanno ancora ponendosi mille interrogativi circa i veri motivi dell’invasione americana dell’Iraq undici mesi fa, questa settimana sono stati offerti degli importanti indizi, passati curiosamente quasi inosservati, da due protagonisti degli eventi che hanno immediatamente preceduto la guerra.
Entrambi gli indizi tendono a confermare il sospetto sempre piú forte che la volonta’ guerresca dell’amministrazione Bush aveva poco o niente a che fare con i pericoli posti dalle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, o con i suoi presunti legami con gruppi terroristici come Al Qaeda - le due principali ragioni per l’invasione fornite al Congresso e al pubblico americano.
Dichiarazioni rilasciate separatamente da Ahmed Chalabi, presidente dell’Iraqi National Congress (INC), e da Jay Garner, generale in pensione, che e’ stato responsabile per la pianificazione e per la gestione della ricostruzione postbellica dal Gennaio al Maggio 2003, suggeriscono che dietro la guerra c’erano altre motivazioni, meno pubbliche, nessuna delle quale aveva niente a che vedere con l’autodifesa, sia essa preventiva o meno.
La dichiarazione di Chalabi, su cui i neoconservatori e i falchi di destra nel Pentagono e nell’ufficio del vicepresidente Dick Cheney ripongono ancora le loro speranze per una transizione che proteggerà i molti interessi di Washington in Iraq, sarà certamente di grande interesse per le commissioni del Congresso che stanno indagando sul perché le informazioni confidenziali sulle armi di distruzione di massa prima della guerra fossero così lontane dalla realtà.
Nel corso di un’intervista incredibilmente franca con il ’Daily Telegraph’ di Londra, Chalabi ha detto che era disposto ad assumersi la piena responsabilità per il ruolo dell’INC nel fornire informazioni fuorvianti e dissidenti al presidente George W. Bush, al Congresso e al pubblico statunitense per persuaderli che Hussein rappresentava una grave minaccia per gli Stati Uniti che doveva essere affrontata con grande urgenza.
Il Telegraph ha riferito che Chalabi si e’ semplicemente scrollato di dosso le accuse che il suo gruppo aveva deliberatamente tratto in inganno l’amministrazione. "Nell’errore siamo eroi", ha detto.
"Per quel che ci riguarda, abbiamo avuto pieno successo", ha detto al giornale. "Quel tiranno di Saddam Hussein e’ stato deposto e gli americani sono a Baghdad. Quel che e’ stato detto prima non importa. L’amministrazione di Bush sta cercando un capro espiatorio. Se vuole, siamo disposti a pagarne le conseguenze".
E’ stata un’ammissione incredibile, destinata sicuramente ad alimentare il sospetto su Capitol Hill che Chalabi, il cui INC nell’ultimo decennio ha ricevuto milioni di dollari dai contribuenti statunitensi, abbia di fatto cospirato con i suoi sostenitori dentro e fuori l’amministrazione per portare gli Stati Uniti in guerra con pretesti che questi sapevano essere falsi, o avevano ragione di supporre tali.
Anzi, e’ sempre piú evidente che i disertori forniti dall’INC sono stati la fonte delle informazioni piú spettacolari e dettagliate - anche se completamente false - sui presunti programmi di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, non solo per i servizi segreti statunitensi ma anche per i media istituzionali americani, specialmente il ’New York Times’, secondo un articolo pubblicato recentemente sul New York Review of Books.
All’interno dall’amministrazione, Chalabi ha lavorato piú strettamente con coloro che avevano appoggiato la sua causa per dieci anni, particolarmente i neoconservatori attorno a Cheney e Rumsfeld - il vicesegretario della Difesa Paul Wolfowitz, il sottosegretario della Difesa Douglas Feith e il capo dello staff di Cheney, I. Lewis Libby.
L’ufficio di Feith era la sede dell’ufficio per i piani speciali (OSP) il cui personale, composto da due persone, e le cui dozzine di consulenti avevano il compito di rivedere le informazioni confidenziali non filtrate per trovare le prove piú evidenti che Hussein rappresentava un’urgente minaccia per gli Stati Uniti.
L’OSP lavorava anche con il Defence policy board (DPB), un gruppo selezionato costituito principalmente da falchi neoconservatori e presieduto fino a prima della guerra da Richard Perle, un amico di vecchia data di Chalabi.
I membri del DPB, particolarmente Perle, l’ex-direttore della CIA James Woolsey e il vecchio portavoce della camera bassa Newt Gingrich, hanno svolto un ruolo di primo piano nel pubblicizzare sui media i report dei disertori dell’INC e altre presunte prove elaborate dall’OSP che facevano apparire Hussein il piú temibile possibile.
Chalabi ha partecipato persino in una riunione segreta del DPB pochi giorni dopo gli attacchi del 11 settembre alle Torri gemelle e al Pentagono, nel corso della quale il principale argomento di discussione, secondo il ’Wall Street Journal’, era come gli attacchi potessero essere usati come un pretesto per attaccare l’Iraq.
L’OSP e un gruppo parallelo sotto la supervisione di Feith, il Gruppo di valutazione contro-terroristico, sono diventati i principali bersagli degli investigatori del Congresso, secondo degli assistenti di Capitol Hill, mentre questa settimana circolavano voci non confermate che alcuni membri del DPB sarebbero anch’essi indagati.
La domanda, naturalmente, e’ se gli individui coinvolti fossero stati essi stessi convinti da quanto Chalabi e l’INC hanno detto loro, o se abbiamo collaborato consapevolmente nel distorcere le informazioni riservate al fine di far entrare il paese in guerra per i propri fini.
Sembra che Chalabi, la cui famiglia, secondo rivelazioni di questa settimana, ha degli interessi in una società che ha già ottenuto piú di 400 milioni di dollari in contratti di ricostruzione, stia segnalando la sua disponibilità ad assumersi tutta la colpa, o il merito, per le informazioni difettose.
Ma una delle ragioni per andare in guerra e’ stata suggerita abbastanza direttamente da Garner - che ha lavorato a stretto contatto con Chalabi e la stessa schiera di falchi nel periodo precedente la guerra e durante le prime settimane dell’occupazione - in un’intervista a ’The National Journal’.
Alla domanda su quanto tempo le truppe statunitensi sarebbero rimaste in Iraq, Garner ha risposto: "Spero che restino lì a lungo", e ha quindi paragonato gli obiettivi degli USA in Iraq alle basi militari statunitensi nelle Filippine tra il 1898 e il 1992.
"Una delle cose piú importanti che possiamo fare adesso e’ cominciare a ottenere i diritti per costruire le basi con (le autorità irachene)" ha detto. "E credo che otterremo i diritti di costruire basi nel Nord e nel Sud... probabilmente vorremo mantenere almeno una brigata".
"Guardiamo alle Filippine a cavallo del ventesimo secolo: erano una stazione di rifornimento del carbone per la marina, e questo ci ha consentito di mantenere una grande presenza nel Pacifico. Ecco cosa sarà l’Iraq nei prossimi decenni: la nostra stazione di rifornimento che ci garantirà una grande presenza in Medio Oriente," ha aggiunto Garner.
Mentre gli strateghi militari statunitensi suggeriscono da tempo che uno degli obiettivi principali della guerra fosse stabilire diverse basi in Iraq, particolarmente dato l’attuale ripiegamento dall’Arabia Saudita, Garner e’ il primo ad affermarlo esplicitamente.
Fino ad ora, i capi militari statunitensi hanno suggerito che hanno bisogno di mantenere una presenza militare semplicemente per garantire la stabilità per molti anni, durante i quali anticipano di ridurre gradualmente le loro forze in campo.
Se davvero l’idea di Garner e’ rappresentativa del pensiero del suo vecchio capo, allora la lotta ancora in corso tra Cheney e il Pentagono da una parte, e il dipartimento di Stato dall’altra, su quanto controllo Washington e’ disponibile a cedere alle Nazioni Unite per la transizione a un governo iracheno diventa piú comprensibile.
Cedere troppo controllo, particolarmente prima che si raggiunga un accordo per le basi con l’autorità irachena che assumerà il controllo il 30 giugno, renderˆ molto meno probabile la creazione di basi militari statunitensi permanenti.
– Dawn/The Inter Press News Service.
Traduzione di melippa