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Che fare di fronte a scandali come la Parmalat?

Publie le sabato 21 febbraio 2004 par Open-Publishing

Dal giornalino “Controcorrente” del circolo Università di Lecce stralciamo un pezzo sulla
Parmalat, scritto con un’altra ottica.

Che fare di fronte a scandali come la Parmalat?

Anche sullo scandalo Parmalat la sinistra non è stata in grado di intervenire, e ha lasciato
spazio alla demagogia del governo, che annuncia “d’ora in poi” controlli severi. E prima, perché non
sono stati fatti da nessuno dei governi che si sono succeduti da decenni?
L’impossibilità che l’apparato statale (a partire dalla Guardia di Finanza) controlli
efficacemente senza farsi tentare dalle lusinghe di chi può guadagnare miliardi con l’illegalità, e può
distribuirne qualcuno a chi dovrebbe controllare, se chiude gli occhi, era già stata colta da Marx, e da
tutto il movimento operaio prima che i suoi dirigenti si impegolassero nella gestione del sistema
accettando le briciole che venivano offerte loro in cambio del silenzio.

Eppure il rimedio, anche senza una rivoluzione ci sarebbe: il controllo operaio. Infatti i
capitalisti truffano lo Stato, evadono il fisco, spostano miliardi da un paese all’altro per fini
speculativi, ma hanno sempre bisogno di esecutori materiali, scelti tra i dipendenti più fidati, che
tacciono, ma sanno molto.
Prima che Tonna fosse arrestato, a Collecchio un gruppo di donne (lavoratrici della Parmalat o
mogli di impiegati) incontrò in un supermercato la moglie dell’ex direttore amministrativo e la mise
in fuga lanciandole decine di Tetrapak. Perché? Lo si è capito dopo qualche giorno, quando Tonna
si è costituito e si è saputo che la sua gentile signora aveva collaborato a far sparire somme
ingenti.

La Guardia di Finanza non lo sapeva, le lavoratrici si.
Nella storia delle lotte operaie ci sono tanti casi in cui dal basso, da dentro, si sono
smascherate le menzogne del padrone. Ma per rendere sistematicamente possibile il controllo operaio
bisognerebbe battersi per strappare una legge che rendesse impossibile licenziare il lavoratore che ha
denunciato una illegalità, un’evasione. Oggi parlarne sembra una fantasticheria, ma sarebbe l’unica
strada da seguire, se si volesse fermare le evasioni, gli svuotamenti delle casse di un’azienda
per preparare una bancarotta fraudolenta, o anche per identificare la destinazione di capitali e
macchinari spostati in altra parte del mondo.

Naturalmente, oggi è difficile solo parlarne, e l’idea appare impraticabile anche a quel che resta
della sinistra, e certo lo è, se si pensa agli schieramenti parlamentari. Ma si tratta di far
campagna su certi temi per contrastare spiegazioni e soluzioni proposte da “Lorsignori”. E, prima
ancora, ci vorrebbe una forte campagna di educazione dei lavoratori per spezzare l’omertà, spiegando
che tacere sullo svuotamento progressivo di un’azienda non la salva.
Oggi, in questo contesto in cui gran parte della stessa sinistra è diventata interclassista o
filopadronale, queste non sono certo proposte “tecniche” per una legge possibile oggi, ma solo
l’indicazione di un percorso basato sul recupero di una coscienza di classe, unica salvaguardia per i
lavoratori.

Sono indicazioni di compiti per una sinistra che voglia essere tale, non illusioni in un
provvedimento legislativo in sé risolutivo. Ai tempi tanto esecrati del primo “Novecento” questo tipo di
proposte si chiamavamo “obiettivi transitori”. La crescita dei bolscevichi tra il febbraio e
l’ottobre del 1917 si è basata su obiettivi di questo genere, non su un presunto uso e abuso della
violenza, come oggi si sostiene, e non solo da destra!

P.S. Se invece di liquidare sommariamente Lenin e la sua proposta, ridotta alla “presa del Palazzo
d’Inverno”, sulle orme dei DS, si volesse fare i conti con quel che ha veramente pensato e
scritto, basterebbe leggere, accanto al dimenticato “Stato e rivoluzione”, anche un testo scritto negli
stessi giorni dell’estate 1917, “La catastrofe imminente e come lottare contro di essa”, in cui
senza fare “ideologia astratta” si rispondeva all’inquietudine popolare per l’aumento dei prezzi e le
speculazioni finanziarie. E si indicavano appunto una serie di “obiettivi transitori”.