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Cina : nelle stive del miracolo "Volontari per essere sfruttati"
Publie le mercoledì 30 giugno 2004 par Open-Publishing
di Pierre Haski
Salari miserabili, assenza di sindacati : fuggono dalle campagne e sono milioni
a far funzionare la
macchina industriale.
I tre giovani sono a tavola davanti a un piatto di spaghetti saltati, gli occhi
incollati al televisore che trasmette uno di quei serials storici che entusiasmano
i Cinesi. E’ l’ora della pausa pranzo nella loro fabbrica di tastiere per computer,
che si
trova dall’altro lato della strada, in un quartiere industriale della periferia
di Shenzhen, la “zona
economica speciale” del Sud della Cina.
Fra un momento questi giovani, da 20 a 21 anni, tutti e tre figli di contadini
ed originari dell’isola di Hainan, nel Mar della Cina meridionale, andranno a
fare la siesta prima di riprendere il lavoro alle 17, fino alle 23. La mattina
hanno già lavorato cinque ore e passano complessivamente dieci ore e mezza davanti
alle loro macchine, occupate, alternativamente, da
un’altra squadra di operai. Qui non ci sono le 3 x 8,
ma le 2 x 10.30… Un ritmo seguito sette giorni su sette, salvo i giorni festivi
e tre settimane di vacanze al momento del Nuovo Anno cinese, per rientrare in
famiglia. « Possiamo prendere due o tre
giorni se vogliamo, ma non saremo pagati », precisa
uno di loro.
Il loro salario ? Per questa settimana di 73 ore, più
del doppio della durata del tempo di lavoro legale in
Francia (ormai puramente teorico per due terzi dei
lavoratori dipendenti : NdT), avranno fra 600 e 900
yuan (fra 60 e 90 euro) al mese, secondo la loro
produttività. Il loro salario é composto da un minimo
fisso, di cui ignorano l’ammontare, e da premi legati
al numero di pezzi prodotti. Vivono in dormitori da
dodici letti, dentro la fabbrica, in un immobile
vetusto, facilmente identificabile dagli innumerevoli
pantaloni e camice che asciugano alle finestre. Devono
pagare l’acqua e l’elettricità che consumano…
Non si troverà in questi giovani il minimo sentimento
di ingiustizia o di rivolta. Anche quando fanno
notare, con un’aria timida, che i loro dormitori non
sono « granché » o che il loro salario « non é molto
alto »… Non si lamentano, e l’idea di rivendicare
migliori condizioni di lavoro e di vita visibilmente
non li ha neppure sfiorati. « Non abbiamo mai visto il
padrone », dice uno di loro, come per scusarsi.
Tra fabbrica e dormitorio. La loro vita si svolge da
due anni in questo perimetro preciso, fra la fabbrica
e il loro dormitorio da un lato della strada, dietro
un cancello metallico ben sorvegliato da un guardiano,
e questa bettola che fa degli spaghetti deliziosi per
5 yuan (0,50 euro), dove possono guardare la TV. Venti
metri più in là, un commerciante astuto ha installato
cinque telefoni su una tavola, che permettono ai
giovani migranti di chiamare regolarmente le famiglie
nei loro lontani villaggi. Sono decine di milioni
(ufficialmente 130 milioni, senza dubbio molti di più)
quelli che, come loro, fanno girare a pieno ritmo la
macchina industriale cinese, sfruttabili a piacimento,
senza il minimo ricorso al sindacato, che é la cinghia
di trasmissione del Partito comunista (o meglio,
sedicente tale : NdT). Non costituiscono ancora la
nuova classe operaia del paese : li si chiama i
mingong, gli « operai-contadini », che fuggono dalla
miseria delle campagne per guadagnare del denaro in
città, dove non hanno radici e non trovano molta
simpatia.
« I migranti sono un asso nella manica per Shenzhen,
perché lavorano duro per un salario molto basso. Sono
volontari per essere sfruttati », commenta, serissimo,
un giornalista locale. A 39 anni, é un simbolo del
successo di questa città creata di sana pianta
vent’anni fa da Deng Xiaoping, il « padre » delle
riforme economiche cinesi : ha il suo appartamento, la
sua 4 x 4, va in vacanza nel Tibet con gli amici e
trova, in generale, che tutto va bene in Cina. Quando
gira fra le torri spettacolari di questa città,
spuntata come un fungo, di sei o sette milioni di
abitanti, che fa attualmente grandi sforzi di
abbellimento, non puo’ fare a meno di dire quanto é
fiero di viverci… « Volontari per essere sfruttati » ?
I tre giovani della fabbrica di tastiere descrivono il
loro soggiorno a Shenzhen come « un’esperienza del
mondo ». Hanno lasciato il loro villaggio dove non c’é
abbastanza terra per tutti, ma sono pure scappati
dall’influenza della famiglia, dal peso delle
tradizioni.
Serbatoio di mano d’opera. Questi giovani non sanno
ancora se desiderano restare in città o se torneranno
un giorno nel loro villaggio con le poche economie che
la loro vita austera avrà permesso di realizzare.
Evidentemente hanno un complesso d’inferiorità
rispetto ai cittadini che impedisce di vedere il loro
futuro fra questi nuovi ricchi arroganti e radiosi.
Ma, secondo tutte le previsioni, qualcosa come 200
milioni di contadini si stabiliranno nelle città
cinesi nel corso dei prossimi vent’anni, abbandonando
una terra che non puo’ far vivere i 900 milioni che la
coltivano attualmente.
La forza dell’economia cinese risiede in questo
immenso serbatoio di mano d’opera : quando i tre
giovani operai della fabbrica di tastiere ne avranno
abbastanza del loro miserabile salario o della vita
piatta che offre loro la periferia della città, quando
torneranno a casa o tenteranno la fortuna altrove, ci
saranno migliaia di candidati che sgomiteranno per
prendere il loro posto. Dal più profondo della Cina,
verranno, « volontari per essere sfruttati » fuggendo
da condizioni di vita miserabili o desiderosi di
raccogliere, a loro volta, le briciole del boom
economico cinese. Briciole, é vero, più attraenti di
quel che lasciano dietro di loro.
Tradotto dal francese da Karl e Rosa
26.06.2004
Collettivo Bellaciao