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Conflitti d’interessi, crisi economica e partecipazione democratica
Publie le venerdì 20 febbraio 2004 par Open-Publishingdi Mara Muscetta*
I conflitti di interesse apparsi in Italia sono in realtà "epidemici", come
dice Guido Rossi, e devono essere inscritti in un contesto globale, perché
l’impresa ha radicalmente mutato la sua struttura, come é apparso anche in
occasione dei crack Parmalat e Cirio.
L’ impresa a rete consente uno scarica barile dei buchi, dei falsi in
bilancio e delle truffe molto sofisticato e praticamente incontrollabile
allo stato attuale del diritto internazionale sulla materia. I paradisi off
shore hanno favorito questi trapassi opachi di immensi capitali , a danno
della collettività, e allora, se le regole vanno riscritte non é solo per
il nostro paese: occorre ormai guardare ad orizzonti sovranazionali,
europei e mondiali.
Le riforme già realizzate in Usa dalla S.e.c, dovrebbero trovare un
corrispettivo in Europa, attraverso la creazione di una nuova agenzia
europea di controllo, e sul piano mondiale, attraverso la riforma delle
agenzie economiche delle U.N. (FMI e B.M.), come propongono i più validi
economisti americani Tobin, Stiglitz, e Rifkin.
Appare più che mai indispensabile colmare il vuoto di giurisprudenza apparso
in seguito ai veloci cambiamenti strutturali dell’economia, e le prossime
elezioni europee sono un’occasione preziosa per poter disegnare sul piano
giuridico internazionale, un modello economico alternativo, più rigoroso,
trasparente, più umano e rispettoso dei diritti, capace di imporsi nel
mondo per combattere gli squilibri, le ingiustizie interne e internazionali,
il terrorismo e le sue cause.
L’Ulivo e i suoi Riformisti, per essere credibili, devono partire da li’
per correggere la vistosa asimettria tra potere economico, tecnologico e
informativo da un lato e la partecipazione democratica dall’altro.
"All in all, United for the Olive Tree is a necessary but not sufficient
condition for a centre-left victory ...". Su questo punto sono d’accordo con
la valutazione di un amico giornalista britannico.
Credo che l’ aspetto più debole della Convention e dell’operazione Prodi sia
stato questo: se da un lato é stata dichiarata la fine del pensiero unico
all’anglosassone, dell’Ulivo prima maniera, dall’ altro sono stati
promessi, sia da Amato che da Fassino, indispensabili interventi sul
welfare, gli ammortizzatori sociali e le tutele, senza che fossero peraltro
indicati i modi di reperimento delle risorse necessarie. Giovanna Melandri
ha dichiarato, perfettamente consapevole: tutto questo costa ! Giusto.
Esaminiamo allora i non-detti della Convention, evento mediatico di
"rassemblement", necessario per far cessare, almeno in apparenza i contrasti
tra forze in campo, ma destinato a restare un gran fuoco di artificio se non
si prenderanno di petto i grandi problemi. In un momento di grave crisi
recessiva per l’ economia italiana ed europea, poco si potrà fare
ricorrendo ad un ripristino corretto della leva fiscale, poco popolare in
questo momento.
Ed allora la riscrittura delle regole e la difesa della legalità a tutto
campo, nei suoi aspetti nazionali e internazionali, proposta da Di Pietro e
dalla sinistra DS, sono il vero enjeu della prossima campagna elettorale in
Europa. Il ruolo che i paradisi fiscali hanno avuto nel furto delle risorse
sottratte al welfare é un problema centrale, sul quale, per le prossime
elezioni europee, ci saranno due strategie a confronto.
La politica di questo governo lascerà in eredità un debito pubblico
maggiorato e prezzi alle stelle. Appare verosimile quindi un nuovo ritorno
all’austerity, che, da sempre, costituisce il leit-motif dell’ascesa al
potere della sinistra: rimediare ai buchi di bilancio.
Le regole del mercato sono state violate in Italia, in Francia e altrove,
perché sono venute a mancare le funzioni di regolazione, di controllo e di
indirizzo. Ci sono state da un lato bolle speculative e bancarotte
fraudolente, e dall’altro scippo di risorse sottratte alla fiscalità. E il
potere politico se non ha assecondato la tendenza, come é accaduto anche in
Francia con il caso Vivendi, non ha nemmeno fatto opera di prevenzione.
La crisi dei rapporti fra poteri istituzionali in Francia non é casuale
perché anche lì le collusioni impresa-politica hanno assunto dimensioni
pericolosamente opache. La magistratura, quando ha il coraggio di fare il
suo
mestiere, appare pericolosa e e nemica (come é già stato nel caso Elf, al
tempo di Eva Joly e del ministro socialista Dumas, e com’è di recente
apparso
nel caso Juppé, per le implicazioni delle imprese parigine nel finanziamento
illegale all’RPR).
Anche negli Stati Uniti si sono manifestati analoghi fenomeni. La rete di
rapporti collusivi fra imprese e politica ha avuto pesanti riflessi in
politica estera, fino all’uso della forza militare (il migliore esempio é
l’azione dell’Hulliburton, già largamente perseguita in Usa per problemi di
gestione irregolare, che, guidata personalmente dal vicepresidente Cheney,
ha approfittato della spedizione militare in Irak per sequestrare le risorse
petrolifere irakene, impedendo il ritorno dell’Onu e bloccando di fatto la
restituzione agli Irakeni delle loro risorse). La proliferazione del
terrorismo che é sotto gli occhi di tutti testimonia della drammaticità del
problema.
Il 18 % di preferenze conseguite da Howard Dean nelle campagne delle
primarie in Usa, ha messo in evidenza la necessità per i cittadini di
partecipare alla vita politica, se non vogliono essere espropriati del loro
diritto a pesare nelle grandi decisioni economico-politiche del paese,
spesso assunte da lobby oligarchiche a proprio esclusivo vantaggio, talvolta
nel danno generale.
E questo vale anche da noi.
* gia’ direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Marsiglia
by Bollettino Osservatorio