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Considerazioni sull’atteggiamento da prendere sul terrorismo

Publie le giovedì 18 marzo 2004 par Open-Publishing

La poderosa campagna mediatica sul “terrorismo internazionale” avviata in seguito agli attentati
di Madrid si inserisce in un lungo martellamento che ha fatto breccia anche nella sinistra e nel
nostro stesso partito, per esempio introducendo il concetto di una “autonomia del terrorismo”, non
più vi-sto come reazione sbagliata a qualcosa (una guerra, un’occupazione, ecc.) ma come qualcosa
di e-terno e autogenerato. Al massimo si parla di “spirale” tra guerra e terrorismo, mettendoli
sullo stes-so piano anche cronologico... Per reazione, ci sono anche sciagurati (per fortuna pochi)
che esitano a condannare atti che non hanno nulla di difendibile e che per giunta sono molto
sospetti.

Non pensavo tuttavia di dover leggere un editoriale come quello firmato da Gennaro Migliore per
“Liberazione” del 12 marzo, che dava per scontata la responsabilità dell’ETA, su cui era stato ben
più prudente Cossiga. Un po’ di istinto di classe, avrebbe dovuto far diffidare delle veline del
potere (siano quelle di Ana Palacios o di Pisanu). Un atteggiamento come il suo, nel 1969, dopo la
bomba alla Banca dell’Agricoltura, avrebbe portato (e portò effettivamente più d’uno...) a
scagliarsi subito contro "il ballerino anarchico" e il terrorista anarco-insurrezionalista Pinelli...
Sarebbe meglio ricordarsene in questi giorni in cui l’ennesima sentenza della magistratura di
classe ha cancellato quel poco di verità che si era tentato di scoprire su Piazza Fontana.

Le lettere su “Liberazione”, il giorno successivo, se la prendevano solo con Aznar per la campagna
di intossicazione. Possibile che nessuno si sia accorto che anche Migliore aveva attribuito
all’ETA quello che era probabilmente responsabilità del governo, per omissione di controlli o peggio?
An-che l’intervista di Guido Caldiron ad Alfonso Botti portava per giunta in quella direzione, in
con-traddizione con i dubbi espressi anche su molti organi di stampa borghesi più intelligenti.
Insomma, per capire, dovremo essere costretti a basarci sul Manifesto o sul Corriere? Questo tra
l’altro il 13 ha pubblicato senza commenti una lucida analisi dei servizi israeliani, che
sostenevano che la rivendicazione firmata da al-Qaeda era verosimilmente stata scritta da europei. Dato che
non rientra nella logica dell’ETA (o di qualsiasi altra organizzazione che usa il terrore per
farsi propa-ganda) attribuire ad altri le proprie azioni, non è difficile pensare che negli attentati
ci sia stato lo zampino dei servizi segreti spagnoli, con la stessa logica di quelli russi alla
vigilia delle elezioni in cui lo sconosciuto Putin, oscuro delfino dell’ormai odiato Eltsin, riuscì
a trionfare su pericolosi con-correnti.

Naturalmente non vuol dire che dovevamo dichiarare solennemente su “Liberazione” che sono loro i
responsabili... Come sempre in questi casi, non possiamo sapere con certezza oggi (e
presumibil-mente non sapremo mai, come è accaduto per l’11 settembre) chi è stato il vero organizzatore degli
attentati, possiamo solo verificare le incongruenze delle versioni ufficiali.
La pista basca subito suggerita da Aznar e “avvalorata” da un misterioso ritrovamento di un’auto
con 500 kg di esplosivo pochi giorni fa, è stata subito smentita dai rappresentanti (in esilio)
dell’ETA, che hanno ricordato che questa organizzazione ha sempre preavvertito i civili che pote-vano
essere coinvolti, e non li ha presi mai deliberatamente come bersaglio. Si capisce l’interesse del
governo a suggerire questa pista, alla vigilia di elezioni in cui il PS, suo principale rivale, è
stato accusato di voler trattare con l’ETA, mentre Izquierda Unida viene presentata addirittura
come complice.

Il governo spagnolo ha premuto anche sul Consiglio di Sicurezza ottenendo che si
copris-se di ridicolo approvando all’unanimità una condanna fulminea dell’ETA, che è stata votata
oltre che dalla Francia, anche dalla Cina e dalla Russia di Putin, a cui qualcuno del PRC attribuisce
un ruolo progressista... D’altra parte Putin ha addebitato sempre ai ceceni “associati a al-Qaeda”
quegli attentati che pure essi smentivano categoricamente, ma che sono invece stati determinanti
per la sua elezione.
Va detto (in polemica con chi viceversa si è sbilanciato in senso opposto, facendone l’apologia),
che se la pista dell’ETA è poco verosimile, naturalmente non si può neppure escludere
categoricamente che si possa scoprire che una frangia impazzita di questa organizzazione (in crisi in parte
per suoi errori, in parte per la ferocia con cui è stata decapitata dalla repressione che ha sempre
usato ogni mezzo anche illegale), possa aver partecipato agli attentati magari fornendo la
manovalanza, facili-tata da qualche infiltrazione degli organi di sicurezza statali, che spesso “lasciano
le redini larghe” a terroristi che potrebbero controllare a vista, per lasciargli fare qualche
azione che può tornare co-moda al regime.

Ci sono parecchi precedenti storici, a partire dall’utilizzazione del capo della sezione
terrorista del partito socialrivoluzionario, Evno Azef, da parte del ministro degli interni russo von
Plehve. Azef poteva portare a termine clamorosi attentati contro altri ministri (per consolidarne il
prestigio di ef-ficace terrorista), con il solo impegno a far fallire gli attentati contro lo zar e
lo stesso Plehve. Tut-tavia, forse perché era ebreo e voleva vendicarsi contro il ministro per
l’organizzazione dei pogrom, forse perché spinto da altri dirigenti del ministero degli interni
ostili a Plehve, mancò alla parola e lo lasciò uccidere. Solo allora venne fuori il suo ruolo di
terrorista al servizio del potere... Ma ci sono molti altri casi assai più recenti...
In ogni caso se l’ETA ha visto ridursi in parte il suo peso, e ha visto emergere nuove generazioni
con deformazioni militariste e scarsa attenzione alle conseguenze politiche di ogni gesto (come
cer-te uccisioni mirate di modesti politici locali o di giornalisti rei di aver espresso critiche
severe nei suoi confronti) risultati spesso gravemente controproducenti, ciò si deve alla durezza
della repres-sione, iniziata da con i GAL, veri squadroni della morte, promossi e protetti dal
“socialista Felipe Gonzalez, e proseguita da Aznar, che ha stracciato tutti gli accordi di tregua
proposti - e rispettati - dall’ETA in diversi periodi.

Colpendo ogni ipotesi di dialogo e di accordo
sul modello irlandese, Aznar ha deliberatamente messo in difficoltà l’ala più moderata e riflessiva
dell’ETA, facendo irro-bustire quella che spingeva per l’esasperazione dello scontro. Comunque,
ripetiamo, l’ETA in quan-to tale, è sicuramente estranea agli attentati.
Vediamo le altre ipotesi circolate. La prima rivendicazione di al-Qaeda da Londra non è in sé del
tutto probante: prima di tutto organizzazioni in difficoltà (e al-Qaeda lo è, se si pensa che
dall’11 settembre 2001 in poi non è stata in grado di sferrare nessun colpo, anche se le sono stati
attribuiti in tutto il mondo attentati di vario genere e diversissima origine) hanno spesso
l’abitudine a rivendi-care quello che sembra utile alla loro autopropaganda, anche senza sapere chi è il
responsabile. Na-turalmente non è escluso che l’attentato sia stato opera di un gruppo islamico
nato e irrobustitosi sotto l’impressione delle aggressioni imperialiste in Afghanistan e Iraq.

Nel
suo libro recentissimo, uscito nell’ottobre del 2003, il gen. Fabio Mini osservava lucidamente che
con la guerra in Afghani-stan “paradossalmente potremmo trovarci nelle condizioni di aver risolto
il problema della forma-zione dei quadri di Al Qaeda per i prossimi venti anni. (...) Il rischio
reale è l’incremento della po-tenzialità clandestina e la dispersione dei centri del terrore. Questo
ovviamente nell’ipotesi che la rete di Al Qaeda fosse diffusa, organizzata, efficiente e nel
massimo del proprio vigore e della pro-pria virulenza come si è supposto e come molti stanno cercando
di dimostrare.”(p.197)
D’altra parte, osserva il generale, “anche se la rete non fosse stata il gioiello di
organizzazione cri-minale e ideologica che oggi si crede e si fosse trovata nella sua fase discendente e
conclusiva, il problema non sarebbe più semplice. Senza la preventiva capacità di controllare il tessuto
esterno, la rottura del bubbone afghano ha provocato la dispersione fisica e ideologica del
terrorismo e del po-tenziale antioccidentale in ogni parte del mondo”.

E’ possibile quindi che, pur non
facendo parte in senso stretto dell’attuale “rete di al Qaeda”, qualche elemento che è stato in
contatto con essa quan-do era nata in funzione antisovietica si sia messo in proprio. Ma come
trovare mezzi così imponenti e tanti esecutori fidati in un paese controllato da una Guardia Civil ben
organizzata e senza scrupo-li? I dubbi restano. Esemplare la cautela con cui Stefano Chiarini ha
trattato l’argomento sul “Mani-festo” del 13. In ogni caso deve essere chiaro che al-Qaeda, sempre
che esista ancora davvero, non ha nulla a che vedere col movimento operaio e neppure con i
movimenti di liberazione.
Resta anche l’ipotesi di un’iniziativa dei servizi segreti, che sorprendentemente non viene
formula-ta apertamente quasi da nessuno, ma che ha qualche verosimiglianza. Abbiamo già detto che le
ri-vendicazioni provano poco (fabbricarne una è ovviamente più facile che trovare le persone adatte
per un compito così sporco, senza rischiare che un giorno abbiano crisi di coscienza e lascino
trape-lare qualcosa).

L’analogia con le tecniche di Putin è illuminante: gli attentati di Madrid sono
avve-nuti appena due giorni prima della fine della campagna elettorale, e hanno avuto il risultato
di so-spenderla, lasciando la parola al solo governo. Strana combinazione! Molti commentatori in
Spagna hanno scritto che il risultato più probabile poteva essere un afflusso molto massiccio di
elettori alle urne sotto l’impulso emotivo. Nelle ultime elezioni il 30% non aveva votato. Un grande
afflusso, osservava amaramente una giornalista della radio basca, avrebbe potuto probabilmente
arginare il declino del PP di Aznar, e ridimensionare la prevista rimonta del partito socialista.
Poi ci sono state anche le manifestazioni di protesta sotto le sedi del Partito Popolare, in parte
spon-tanee e in parte promosse del partito socialista, che tuttavia hanno toccato direttamente
poche deci-ne di migliaia di persone, mentre milioni di elettori erano raggiunti solo dalle parole
del premier u-scente e – ancor più scandalosamente – da quelle del suo successore designato.

In
confronto la tri-partizione italiana degli spazi televisivi (un terzo al governo, un terzo alla
maggioranza di governo, un terzo risicato all’opposizione, con dentro un 2% al PRC, e facendo parlare
soprattutto Rutelli, Fassino, o la Melandri) è roba da dilettanti! Ma con milioni di persone nelle
piazze, una minoranza attiva può farsi sentire, pur essendo esclusa dei media.
Conclusione: non sappiamo ancora nulla di certo, se non che c’è stato chi ha voluto intorbidare le
acque, come in Italia al tempo della strategia della tensione, come negli USA dopo l’11 settembre.
Anche se “a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre ci si coglie”, come usa dire un grande
e-sperto di queste cose, Andreotti, bisogna essere ugualmente cauti nel mettere i sospetti nero su
bianco. Non ci sono e non ci saranno mai, quasi sicuramente, prove. Per questo è meglio evitare di
esporsi a una smentita o a un processo traendo avventatamente conclusioni verosimili ma non
do-cumentabili.

Abbiamo invitato sempre alla prudenza anche quando abbiamo passato in rassegna i libri sull’11
settembre: quelli che si sono affrettati a tirare conclusioni si sono esposti a smentite, anche se
per il rimanente 90% delle pagine dicevano cose sacrosante e documentate sulle incongruenze delle
ver-sioni ufficiali. Continuiamo a usare questo metodo, e speriamo che non ci siano i soliti ingenui
che si facciano smentire, avvalorando così involontariamente le versioni del potere.
Comunque, ancora una volta, tutto questo ha poco a che fare col reale dibattito in corso nel
movi-mento operaio, da fare seriamente, non sulla fantapolitica. Il problema vero che abbiamo non è
quello di individuare i responsabili di questo o quell’atto, ma quello di decidere l’atteggiamento da
prendere nei confronti di veri movimenti di liberazione, in Palestina o in Iraq, che scelgono le
forme di lotta che sono alla loro portata, e che vengono liquidate come terrorismo anche quando non
lo sono e a volte sono effettivamente di tipo terroristico, ma non possiamo condannarle senza
cercare di capire da cosa nascono.

Non possiamo soprattutto confonderci con la canea urlante che grida
“al terrorismo” anche di fronte a ogni legittima azione militare contro militari (compresa quella
di Nas-siryia). Per poter mantenere a testa alta questo atteggiamento scomodo, dobbiamo prendere
netta-mente le distanze da quelle azioni che non sono giustificabili in nessun modo, e non hanno
nulla a che vedere con la lotta di liberazione di popoli oppressi. Mi sembra che le bombe ai
pendolari di Madrid rientrino perfettamente nella casistica, non meno dell’attacco alle Due Torri, per
cui pure qualcuno aveva sciaguratamente e insensatamente gioito, scambiando queste imprese criminali
per un apporto alla causa della liberazione dei popoli.