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Costo del lavoro troppo alto? Seguite tutti l’esempio delle Banche, ma ..

par adalberto scotti

Publie le domenica 19 maggio 2013 par adalberto scotti - Open-Publishing

... senza imbrogliare i dipendenti! (parte prima)

L’imbroglio del “Piano Welfare”, le responsabilità sindacali e i lavoratori ingannati

(la presente costituisce la sintesi di un elaborato molto più ampio e articolato pubblicato sul blog: (http://adalbertoscotti.altervista.org/limbroglio-del-piano-welfare-ovvero-la-creativita-delle-banche-le-sirene-sindacali-i-lavoratori-ingannati-e-gli-organi-dello-stato-che-non-vedono-nulla/)

Anche la BNL ha deciso di introdurre il “V.A.P. Sociale”, e mette a disposizione dei suoi dipendenti una nuova modalità di erogazione del Premio Aziendale di Produttività, presentata come innovativa, conveniente e di alto valore sociale. I vari comunicati diffusi dai sindacati che hanno firmato tale accordo (esclusa quindi “Unità Sindacale Falcri-Silcea”), dopo aver evidenziato una presunta convenienza di questa “opportunità”, invitano i colleghi a farsi liquidare il 40% delle competenze sotto forma di rimborsi spese. Personalmente,non ritengo che tali informative si possano considerare esaurienti e corrette, anche perché il cosiddetto “Piano Welfare” appare come una costruzione di puro artificio atta a far sì che la BNL ottenga nell’immediato un risparmio fiscale non indifferente. Si dice che una piccolissima parte di questo sbandierato vantaggio fiscale andrebbe a beneficio dei dipendenti, inducendoli a ritenere conveniente tale “opportunità”. Ho usato il condizionale, in quanto questa “convenienza” deve essere verificata tecnicamente (come farò avanti, al punto “B” della presente) e potrebbe essere non solo vanificata, ma essere addirittura negativa qualora venisse ravvisata non solo una violazione delle leggi dello Stato Italiano e dei suoi principi ispiratori, ma anche della normativa europea e di specifiche Direttive Comunitarie.

Da questa eventualità e dall’emersione di una non convenienza economica del “Piano Welfare” potrebbero derivare preoccupanti implicazioni (come chiarirò al punto “C”della presente).

A) ASPETTI LEGALI – NORMATIVA

Prima di esaminare in dettaglio il VAP e la convenienza o meno del “Piano Welfare”, ritengo più importante affrontare subito questo aspetto, partendo dall’art. 37-bis del D.P.R. n° 600/1973 che, relativamente alla ”pratica di porre in essere un negozio giuridico, da parte di un contribuente, al solo fine di pagare meno tributi”, “non consente di opporre all’amministrazione finanziaria atti, fatti o negozi giuridici, anche collegati tra di loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti ad ottenere una riduzione del carico fiscale altrimenti indebita”.

Al verificarsi di tali condizioni, l’Amm.ne finanziaria disconosce l’effetto fiscale delle operazioni e richiede al contribuente le imposte che avrebbe pagato senza quello che dovesse essere considerato un aggiramento elusivo della normativa fiscale e, poiché in sede di accertamento, i redditi vengono imputati ai soggetti ritenuti i beneficiari effettivi, laddove nel caso del “Premio Aziendale” venisse ravvisata la sussistenza di sufficienti elementi, gli effetti – anche se a posteriori – ricadrebbero sui dipendenti in quanto l’operazione, considerata priva di seri contenuti economici alternativi a quelli fiscali (Corte di Cassazione, Sent. 8/4/2009, n°8487), conserverebbe, tra le parti, la valenza contrattuale, ma verrebbe riqualificata fiscalmente.

La Corte di Giustizia Europea definisce l’elusione come:“operazione essenzialmente compiuta al fine di conseguire un vantaggio fiscale” o non avente ragioni economiche diverse da un vantaggio fiscale», specificando che “lo scopo essenziale di procurare un vantaggio fiscale” non è una “condizione per l’esistenza di una pratica abusiva”

L’espressione valide ragioni economiche non sottintende una validità giuridica, ma ragioni aziendali apprezzabili e sufficienti a giustificare l’operazione per finalità imprenditoriali e anche in assenza del vantaggio fiscale ad essa connesso ovvero se un operatore economico diligente, posto nelle condizioni del contribuente al momento del compimento dell’operazione, l’avrebbe compiuta anche in assenza dei vantaggi fiscali collegati ad essa.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, l’istituto dell’abuso di diritto è generale e si riflette su ogni ramo dell’ordinamento tributario: l’abuso del diritto sussiste quando lo scopo del vantaggio fiscale sia essenziale, ma non esclusivo, e anche quando concorrano altre ragioni economiche, L’Amm.ne finanziaria in Italia (circ. n.67/E del 13/12/ 2007) ha reso efficaci nel nostro ordinamento i principi comunitari sul divieto di abuso del diritto; di conseguenza, ha il potere di riconoscere comportamenti abusivi anche in assenza di una norma di legge e con effetti retroattivi. Le operazioni poste in essere al fine di ottenere un risparmio di imposta non sono consentite in quanto violano il principio di solidarietà e danneggiano l’erario.

B) ANALISI TECNICA: LA PRESUNTA CONVENIENZA DEL “PIANO WELFARE

1) “Piano Welfare” si può destinare ad esso il 40% del Premio Aziendale e ricevere il 10% in più rispetto al Piano Standard (viene detto che consente di mantenere il potere di acquisto, anche se quest’ultimo è stato ridotto del 14% rispetto al precedente, a sua volta già decurtato del 18%):

 permette di destinare il Premio Aziendale quale sostituzione delle quote già versate dai dipendenti a favore della Cassa Sanitaria (somma massima detraibile fiscalmente: 3.615,20€) e del Fondo Pensione (somma massima detraibile fiscalmente: 5.164,57€), per le quali già si usufruisce della detrazione fiscale: non si capisce quale ulteriore vantaggio fiscale ci sia, visto che si perderebbero le somme già detratte e riportato nello specifico quadro del modello CUD): è una procedura comunque macchinosa che sembrerebbe unicamente volta a confondere le idee ai diretti intertessati;

 non permette di usufruire della detrazione fiscale per quanto rimborsato alle voci “beni e servizi” (le detrazioni sono fissate in 3.000€ a contribuente con franchigia di 250€ per ogni categoria)

 non è assoggettato ad accantonamento TFR e al contributo di solidarietà del 10% (con esclusione degli importi versati al Fondo Pensione e alla Cassa Sanitaria

 non sarebbe assoggettato a contribuzione previdenziale

 non sarebbe assoggettato a tassazione IRPEF e alle relative addizionali comunali e regionali

(per gli ultimi due punti il condizionale, per quanto detto al punto “A” della presente, è d’obbligo)

2) Il “Piano Standard” e la quota parte del “Piano Welfare” pagata “Cash” e non in servizi:

 è soggetto a contribuzione INPS che costituisce “retribuzione differita”: come si ricava dal sito dell’INPS (http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=6357), l’aliquota media a carico del datore di lavoro è pari al 32,70% della retribuzione lorda: oltre alla quota a carico dei dipendenti – un particolare che i comunicati sindacali non menzionano – c’è un ulteriore 23% a carico del datore di lavoro)

 Il rimborso delle quote relative a quanto attualmente trattenuto per i versamenti alla Cassa Sanitaria e al Fondo Pensione costituiscono comunque un reddito che verrà tassato in base a quanto previsto dalla normativa vigente (10% solo se rientra nei limiti di reddito – 40.000€ e i 2.500 € di premio variabile), oltre al contributo di solidarietà del 10%).

Anche se si dovesse considerare l’elargizione della quota relativa al “Piano Welfare” come Fringe Benefit, l’operazione continuerebbe a risultare assolutamente non conveniente dal punto di vista fiscale

 

C) CONSEGUENZE DI UNA ERRATA INFORMATIVA

Esiste un obbligo di informazione, ovvero un dovere di buona fede e di correttezza (art.1175 e 1375 c.c.), considerati veri e propri obblighi giuridici dei contraenti e il dovere di informare correttamente la controparte su tutte le circostanze che possano influire sulla conclusione del contratto; il dovere di informazione, insomma, esiste per tutti e ogni reticenza è idonea a provocare l’annullamento dei contratti.

Il nostro ordinamento, in base ai principi di solidarietà e tutela dei più deboli, fornisce quindi una tutela a coloro che siano tratti in inganno da una falsa rappresentazione della realtà, concludendo atti che non avrebbero compiuto o che avrebbero compiuto a condizioni diverse, indipendentemente dal fatto che l’errore in cui incorre sia riconoscibile o meno, di fatto o di diritto, essenziale o meno. L’unica cosa che conta è che il contratto non si sarebbe stipulato se l’altro contraente si fosse comportato correttamente, informando la controparte sugli aspetti essenziali del contratto che, di conseguenza, può essere annullato oppure dar luogo ad un risarcimento dei danni.

Nel caso del nostro “Premio Aziendale”, come si può sostenere che la generalità dei dipendenti avesse l’onere di auto informarsi se tanto l’azienda quanto i propri rappresentanti sindacali non li mettono in condizione di valutare la convenienza economica della propria scelta, fornendo loro informazioni quanto meno incomplete e comunque idonee a trarli in inganno, come nel caso della sottaciuta contribuzione Inps a carico del datore di lavoro? E’ legittimo parlare di reticenza dolosa?