Home > Cuba, la terra del mito rovesciato
Cuba è un paese di 11 milioni di persone. Ci sono tanti paesi più
grandi,
più popolosi, economicamente più importanti, ma sui quali siamo meno
stimolati a riflettere. Perché Cuba è patria di un mito, ha
rappresentato una speranza è l’ultimo baluardo di un’utopia che si è
rovesciata nel suo opposto. Alla fine degli anni 80 Norberto Bobbio
diceva che con il comunismo si era attuato il capovolgimento totale
di
un’utopia, della più grande utopia politica della storia, nel suo
esatto contrario: un’utopia che ha affascinato per un secolo
filosofi,
scrittori e poeti, ha scosso e spinto all’azione violenta intere
masse
di diseredati, ha indotto uomini di alto sentire morale al sacrificio
della vita, della prigione, dell’esilio dei campi di sterminio, ha
dato vita a forze che sembravano invincibili, dall’Armata rossa, alla
lunga marcia di Mao, dal Viet Nam a Cuba appunto. La prima utopia
"che
ha cercato di entrare nella storia" si è tuttavia rovesciata in
qualche cosa che sempre di più assomiglia alle utopie negative, come
quella del romanzo di Orwell. Non tutti a sinistra sottoscrivono
queste parole, questo è un nodo ancora non totalmente risolto ed è
per
questo che Cuba ancora divide.
Il fallimento del comunismo non
significa che siano state date altrimenti le risposte alle domande
che
esso si poneva. Necessario quindi porsi la domanda se sono in grado
le
democrazie che governano i paesi più ricchi del mondo di risolvere i
problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere. A questa
domanda
a sinistra vengono date due rispose diverse: una nostalgica e una
proiettata in avanti. Il discrimine tra le due risposte sta in
questo.
Gli uni pensano ancora che la liberazione dal bisogno e l’eguaglianza
economica tra gli uomini renda libero l’uomo, gli altri pensano che
non c’è uguaglianza senza democrazia liberale. Quest’ultima si
articola su tre livelli che in occidente hanno significato tre tappe
storiche: libertà personale (e cioè libertà di non essere arrestati
arbitrariamente e di essere giudicati da corti indipendenti dal
potere
politico), libertà di stampa, riunione e opinione e infine libertà di
associazione politica e sindacale.
A Cuba non sono mai esistite
nessuna di queste componenti della democrazia liberale, ma i
comunisti
nostalgici pensano che questo sia un tributo da pagare alla
liberazione dal bisogno delle masse della popolazione cubana,
ottenuta
con un poderoso livellamento sociale. Oggi il fallimento a Cuba sia
della liberazione dal bisogno sia dell’egualitarismo cancellano anche
questo alibi alla mancanza di democrazia liberale.
L’economia cubana.
In trent’anni (dal ’59 all’89) l’economia cubana ha mantenuto, anzi
rafforzato la sua caratteristica di monocultura, senza neppure
sviluppare un’industria saccarifera efficiente e ha trasformato
sussidi esorbitanti ottenuti dai sovietici in economia di guerra. I
sovietici pagavano una parte consistente delle forze armate cubane,
circa 6 miliardi di dollari annuali (negli anni ’80), veniva azzerato
lo sbilancio commerciale, gli scambi avvenivano a ragioni di scambio
diverse da quelle internazionali e molto più favorevoli al paese
caraibico, i cubani ottenevano petrolio a prezzi inferiori di quelli
internazionali che in parte rivendevano sul mercato internazionale a
prezzi correnti. Le stime sono di sussidi per più di un terzo del
reddito nazionale. Con tali trasferimenti Cuba avrebbe potuto
decollare economicamente, mentre ha conseguito solo l’obiettivo,
peraltro commendevole, di offrire sanità ed educazione gratuitamente
a
tutti i cittadini.
Il decollo non avvenne per le mire mondialiste del
governo cubano: le guerre in Angola, nel Congo e soprattutto in
Etiopia, il finanziamento dei guerriglieri dell’America Latina sono
costate una fortuna. Quando i sussidi cessarono l’economia crollò
nella recessione più profonda. Il regime ha sempre attribuito la
colpa
del mancato decollo al "bloqueo" degli USA, quando invece l’embargo
americano è da sempre largamente aggirato attraverso importazioni dal
Messico e dal Canada. Cuba ospita turisti da tutto il mondo e
commercia con moltissimi paesi di tutto il mondo. In particolare i
paesi europei non si sono piegati al ricatto americano e non hanno
mai
smesso di commerciare con Cuba. Il governo cubano si lamenta che la
finanza statunitense impone le sue regole alle banche europee che non
finanziano le imprese cubane, che sono quindi obbligate ad acquistare
le merci in contanti, ma la ragione non sta tanto nel blocco, quanto
nel fatto che le banche di tutto il mondo sono restie a finanziare le
iniziative rischiose di un’economia precaria e stagnante, come quella
cubana.
Il blocco in realtà funge da alibi a Castro per giustificare
gli insuccessi economici del regime (e serve a Bush per avere il
sostegno elettorale della lobby cubana di Miami). L’eguaglianza è
l’altro mito. I differenziali di reddito tra un contadino (circa 200
pesos per un controvalore di circa 8 dollari al mese) e un professore
o un medico sono di uno a tre, quindi dei differenziali molto
contenuti. Ma questa eguaglianza valeva finchè salari e prezzi erano
espressi in pesos per tutti e si guadagnava pesos e solo pesos e,
anche se c’era un po’ di mercato nero per i dollari, con i dollari
c’era molto poco da comprare: livellamento al basso, ma livellamento.
Oggi qualsiasi lavoro anche poco qualificato nel comparto in cui
parte
del reddito è ottenuto in dollari percepisce redditi di decine di
volte maggiori di lavori qualificati pagati in pesos. Ed è con i
dollari e solo con i dollari che si possono fare acquisti negli unici
negozi in cui c’è mercanzia, ma a prezzi internazionali e spesso più
alti. Anche per l’alimentazione i cubani hanno bisogno di dollari,
perché con le carte annonarie il cubano dispone di alimenti per circa
16/17 giorni al mese.
Quindi tutti si devono arrangiare a trovare
dollari con lavori spesso al confine con il lecito e spesso al di là
del consentito. Questa situazione è tanto più frustrante quanto più
la
necessità di arrangiarsi per avere uno standard decente di vita
investe gente con educazione superiore e con abilità professionali a
volte elevate (medici, avvocati, ingegneri, professori eccetera). Non
basta dire loro che il sistema va conservato così com’è perchè ha
offerto a tutti l’educazione e a molti l’educazione superiore, quando
le prospettive della qualità di vita per chi ha ottenuto questa
educazione sono precarie e le posizioni, relative in termini di
reddito, umilianti. L’economia dollarizzata sta scardinando il
sistema
sociale, senza che nel contempo la dollarizzazione sia uno stimolo
allo sviluppo. Certo, il turismo ha portato grandi proventi valutari
al paese, con i quali si sono fatte anche cose pregevoli, come
l’eccellente restauro dell’Avana vecchia sotto l’abile regia di
Eusebio Leal, l’"historiador" della città, che per fortuna finora ha
ottenuto l’appoggio del "lider maximo" senza il quale nessun progetto
può essere realizzato.
Ma il rigido controllo statalistico di ogni
attività inibisce lo sviluppo economico. La proprietà privata è
riconosciuta nella Costituzione cubana, ma che senso ha che un
contadino abbia la proprietà della terra, se non può averla dei suoi
frutti? Che senso ha avere la proprietà di un veicolo se non può
venderlo a chi vuole o della casa di abitazione, se può venderla solo
allo stato? Il decollo prende piede quando lo sviluppo di un settore
mette in moto un processo di sviluppo in altri settori connessi al
primo da legami di reciproca domanda/offerta. Questo a Cuba non
succede. Ristoranti e pensioni private stentano a nascere perché sono
tassate a cifra assoluta con un’aliquota che a posteriori può
superare
il 100% (!). I trasporti pubblici fuori dall’Avana sono quasi
inesistenti, ma quelli privati consentiti si limitano all’autostop.
L’edilizia è l’altro grande volano nel decollo economico: ebbene
mille
devono essere i permessi più o meno ufficiali per costruirsi una
casetta e i materiali il cubano li deve pagare in dollari e se non ne
certifica la provenienza rischia la galera.
Nel frattempo i dati
ufficiali parlano del 30% del patrimonio edilizio costituito da
abitazioni invivibili e più del 50% da abitazioni insalubri.
L’agricoltura è così inefficiente che anche lo zucchero scarseggia
sulle tavole dei cubani e ora si punta per la autosufficienza
alimentare sui campicelli entro le città. Si può quindi dire che la
mancanza della democrazia liberale non è nemmeno compensata da
equità,
libertà dal bisogno e sviluppo economico.
La recente situazione politica
La prospettiva politica immediata è incerta e confusa. Si ricorda
infatti che ad aprile 2003 il governo cubano ha dato corso
all’esecuzione capitale di tre sciocchi giovanotti di colore che
avevano dirottato un traghetto, ma senza spargimento di sangue e ha
celebrato un grande processo a 75 dissidenti con condanne per 1454
anni di reclusione, alcune fino a 28 anni di carcere, perchè avevano
avuto contatti e favori, nulla di più che un po’ di soldi e qualche
computer, da mr Cason, il rappresentante americano a Cuba. Per questo
sono stati accusati di sedizione contro la sicurezza dello stato. Le
colpe reali erano di avere espresso opinioni contrastanti con il
governo e di aver sottoscritto il progetto Varela di Oswaldo Payà.
Questa azione repressiva particolarmente dura (alcuni dirottamenti
precedenti erano stati solo blandamente sanzionati) ha segnato
un’inversione di rotta dopo la visita del Papa a Cuba nel 1997 e dopo
l’invito rivolto dal presidente cubano a Jimmy Carter, al quale, si
ricorda, fu anche concesso di tenere un discorso sui diritti umani
nell’aula magna dell’Università dell’Avana.
Perché?
Due sono le interpretazioni. La prima è che Cason medesimo abbia
voluto incastrare Castro facendogli fare un passo falso che lo
mettesse in cattiva luce agli occhi del mondo, proprio per
interrompere il processo di legittimazione di cui Cuba stava
cominciando a godere in occidente. La seconda è che sia stato invece
Castro in persona che abbia pensato che poteva liberarsi degli
oppositori interni in un momento nel quale il mondo era distratto
dalla guerra in Iraq. E’ vero che in tal modo ha provocato una
piccata
reazione dell’Europa, ma per il presidente cubano un messaggio di
sfida agli Stati Uniti, ritenuti responsabili di un’accelerazione
nella provocazione al paese (come, essi affermano, un numero
crescente
di dirottamenti), pesa enormemente di più delle reazioni europee di
condanna. Per Castro in realtà l’Europa conta poco.
A luglio ha
rifiutato gli aiuti europei in un moto di orgoglio perché la EU
chiedeva che questi fossero indirizzati a progetti che rafforzassero
la democrazia cubana e il governo cubano ha reso più tese le
relazioni
diplomatiche con i paesi (tra cui l’Italia) che, recependo una
volontà
dell’Unione, hanno iniziato un dialogo con l’opposizione democratica
interna. Per il leader cubano contano solo gli Stati Uniti. Sono 50
anni che il Paese è tenuto in stato di allerta e di pre-guerra con
una
propaganda martellante contro l’imperialismo americano. E’ anche vero
che la politica USA è miope e pregiudizialmente ostile. Bush ha messo
Cuba nei primissimi paesi canaglia e terroristi: è una pura
provocazione senza fondamento. Al recente vertice di Monterrey
(Messico), dove erano presenti 34 rappresentanti dei 35 stati delle
due americhe e dove Cuba era l’unica assente, Bush ha minacciato
l’Argentina di toglierle dei crediti se continuava ad intrattenere
rapporti con Cuba.
Gli USA e Cuba sono due nazioni che trarrebbero
grandi vantaggi reciproci dal collaborare e che non vogliono
intendersi. Ma negli USA qualcosa si muove; il maggior numero di
rapporti di collaborazione l’Università dell’Avana li tiene con
università americane; i turisti americani all’Avana non si contano;
molti uomini d’affari e alcuni circoli democratici premono perché il
blocco venga levato; tra gli stessi esiliati a Miami gli estremisti,
per i quali "con Castro non si dialoga, ma lo si abbatte", contano
meno di prima; se i successi in Iraq rendessero elettoralmente
superflua la lobby di Miami forse il blocco economico, questa stupida
reliquia del passato, verrebbe finalmente buttata a mare, anche se da
Bush jr. c’è poco da aspettarsi di lungimirante.