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Da attore guardo coloro che mi rappresentano. Intendo gli eletti dal popolo. O del popolo? O per…

Publie le domenica 8 febbraio 2004 par Open-Publishing

Da attore guardo coloro che mi rappresentano. Intendo gli eletti dal popolo. O del popolo? O per… o sul popolo? Non so.

Comunque - tranne uno che è stato unto da un signore molto più importante di noi tutti messi insieme - mi riferisco a tutti quelli che in certe particolari domeniche della nostra vita noi povera gente votiamo. Ecco quelli lì. Gli eletti.
E perché li guardo da attore?

Per tre motivi almeno.

Primo: perché io sono un attore e lo sguardo del teatrante è la mia piccola lente per capire il mondo. Almeno per 30 secondi alla settimana. Poi devo cambiare gli occhiali e cominciare a riguardarlo.
Secondo: perché ormai viviamo in una società, diciamo così, spettacolarizzata. Siamo un libero Stato in libero show. Una repubblica dove non il popolo - ma il pubblico è sovrano.

Paga. Assiste. Fischia o applaude. Vota. E alla fine delle trasmissioni va a dormire.
E quindi se il concetto di «rappresentazione» ha, come pare, ormai sostituito quello di «rappresentanza», il mio sguardo è ancora più corretto, credo.
Terzo: da sinistra a destra tra gli eletti molti e se non molti tanti e se non tanti sempre troppi prima di cimentarsi nella nobile arte della politica hanno tentato di entrare nel magico mondo dello spettacolo.

Non ci credete?

Vediamone qualcuno e scoprite voi il vero dal falso, tanto in questa commedia all’italiana tra l’uno e l’altro c’è ben poca differenza.
Veltroni scriveva sceneggiature.

La Mussolini ha fatto dei film. D’essai. Io ho il cofanetto. L’opera omnia.
Schifani voleva fare il cantante lirico ma il suo cognome non «suonava» bene sulle locandine.

La Russa ha doppiato i Simpson.

Silvio cantava sulle navi da crociera.

D’Alema ha fatto un corso di mimo poi l’hanno espulso perché parlava.

Fini no. Ma ha imparato molto da Almirante che a sua volta proveniva da una delle più grandi famiglie teatrali del secolo scorso.

Da bambino Buttiglione è caduto di testa dal trapezio di un circo.

Bossi - sotto il nome d’arte: Donato - è stato eliminato in semifinale a un festival canoro a Castrocaro Terme.

E così via.

Converrete che anche in questo caso il mio sguardo tecnicamente ha un senso.
Sono per me colleghi. E come tali li posso valutare e decifrare.

Bene.

Alla fine con lo sguardo dell’attore mi domanderete: ma cosa hai colto allora? Cos’hai decifrato?

Ho colto e decifrato il loro sguardo.

Uno sguardo comune che tradisce il sottotesto o meglio l’inciucio drammaturgico che ci relega tutti a comparse mentre loro senza pronunciar battuta ci fissano distrattamente e poi ci dicono: «Io so che tu sai che non sai tutto quel che io so e non è giusto poi che tu lo sappia e nemmeno che io te lo dica. Perché la politica è una faccenda molto molto ma molto complessa. Non si fa nelle piazze o nelle strade.

Si fa qui su questo grande palco dove siamo noi e dove tu non potrai mai salire, né noi abbiam voglia di scendere».

Questo ho colto.

E’ un recitar per se stessi. E non mi piace.

Detto questo faccio un appello ad alcuni che in una domenica forse non lontana mi potrei trovare anche a votare.

A D’Alema: lo so che un buon motto di spirito in un talk show ottiene più consensi di un progetto trasparente, umile, concreto e magari anche di sinistra.

A Prodi: lo so che Balanzone riscuote più simpatia di Capitan Fracassa.

A Fassino: lo so che la postura sofferente muove più compassione di una stupida baldanza.

A Rutelli: … non lo so… perché io coi fotoromanzi non ho gran dimestichezza.
Ascoltate: Voi e gli altri della Compagnia.

Anche quando si recita è buona e nuova regola farlo con il pubblico e non al pubblico. Scendete dunque da ’sto palco e andate per strada. La meglio politica nasce dalla strada dove del resto è nato e nascerà sempre il miglior teatro. La strada. Dove il pubblico vive e a volte non sta neanche tanto bene.
Se non lo farete prima o poi vi coglierà la maledizione del più grande commediante di tutti i tempi: il Bardo, William Shakespeare. Di uno, lui sì, che nelle sue commedie di intrighi, inciuci, macchinazioni e vizi se ne intendeva.

Quale sarà la sua maledizione?

Beh lui non vi dirà certo «ma va da via i ciapp»… ma con eleganza elaborerà e puntandovi il suo ditone nell’inchiostro vi dirà: «Voi. Voi prendete le vostre chiappe malate e stanche e portatele là dove sorge l’arcobaleno e in quel punto dove si ritrovano gli gnomi e i folletti nelle notti di mezza estate mentre vi chinate a raccogliere un marengo d’oro… un dardo fiammeggiante piombi dalla volta celeste e trafigga il vostro problema là dove esso è sito!». Così sia.

Fate in fretta.

E scusate il disturbo.

da Micromega

Viviana