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Da indymedia: rapimenti troppo anomali

Publie le martedì 14 settembre 2004 par Open-Publishing

Ormai è chiaro: attacco alle opinioni pubbliche pacifiste. Se qualcuno ha ancora dubbi, ascolti Pera e Casini: "Non vogliamo più sentire parlare di resistenza irachena." Questa è una strategia pianificata. Tutti devono abbracciare acriticamente la cosiddetta "guerra al terrorismo" così come ce la propinano... italiani, francesi, chiunque ha mostrato resistenza.
Negroponte è maestro in questi schifosi sistemi. in fin dei conti, siamo Europei, e quindi anche noi nemici. Bush aveva dichiarato, all’inizio della guerra, dopo che Russia Germania e Francia gli avevano sbattuto la porta in faccia:
"Ignorare la Russia, perdonare la Germania, punire la Francia".
Lo sta facendo. E gli italiani, pacifisti da sempre, hanno anche loro una bella punizione... diventeranno tutti pupazzi creduloni, con gli allarmini gialli e arancioni e lo scotch alle finestre grazie alla TV.


"finalmente anche gli sciocchi pacifisti si rendono conto della guerra".
Con il rapimento delle due ragazze di "Un ponte..." si è tornati al triste berciare delle solite cornacchie. Occorre sempre un portavoce di qualcosa o di qualcuno, oggi ogni singolo in grado di esprimere sentimenti, umanità e (non guasta mai) un pizzico di intelligenza, deve poter dire la sua.
Ora credo debbano essere chiare alcune cose:
1. avevamo capito che di guerra trattavasi, non eravamo noi a dire che i militari italiani (armati e con regole d’ingaggio precise)erano laggiuù per portare la pace;
2. nessuno si è mai sognato di definire i rapimenti, le decapitazioni e altri sfoggi di bassa macelleria attribuibili alla "resistenza", d’altronde gli elettrodi nelle palle e le ammucchiate di prigionieri nudi, non ci sono parsi sfoggio di grande eleganza da parte lei civilissimi soldati americani, oltre che i massacri di civili con la guerra chirurgica;
3. non abbiamo mai eletto gli irakeni e Saddam a simbolo della riscossa del terzo mondo contre i paesi ricchi, abbiamo detto piuttosto che l’assurdo ruolo preso dagli USA a gendarme della terra, ci sembrava indelicato e antidemocratico nei confronti dell’ONU (cioè il resto della terra), in America gli sceriffi sono eletti mi sembra, e io non ho mai dato il voto allo sceriffo Bush;
4. le ONG come "Un ponte per Bagdad", Enzo Baldoni e tanti nostri amici e compagni che si trovano lì, immagino siano a testimoniare con pratiche di pace che esiste una possibilità di pace, nessuno di loro ha pensato o pensa di avere "salvacondotti" o "sconti", quando neanche la croce rossa sa di averli, (non hanno mai sparato gli americani sulle ambulanze della croce rossa?) sono sereni e convinti di agire con giustizia, ma non fessi, le ragazze, Baldoni e chissà quanti altri, sanno benissimo i rischi che corrono, le "vacanze intelligenti" non sono ancora arrivate a quel livello di sofisticazione, quando ci arriveranno, saremo felicissimi di proporle a Feltri e Farina;
5. l’informazione così come il prodigarsi per la rinascita in Iraq di una società civile, fanno parte nel nostro bagaglio morale e culturale, le rozze ironie dei pennivendoli di cui sopra, sono fuori luogo e un tantino sconce, se un "giornalista della domenica" porta e trasmette verità: abbiamo un "GIORNALISTA", livello a cui Feltri e Farina non arriveranno mai;
6. noi che scriviamo sul web e nei vari blog siamo "giornalisti della domenica", qualcuno di noi ha anche avuto il coraggio e la forza di partire e vivere e vedere la verità, è morto.
www.savenavalley.org


La prima considerazione è "tecnico-organizzativa": salta agli occhi che il sequestro è stato compiuto con uno stile da "squadroni della morte" latino americani piuttosto che da forze guerrigliere o comunque da banditi da strada.
Auto che giungono nel cuore di Baghdad, uomini in perfetta divisa paramilitare, con giubbotti antiproiettile e pistole silenziate.
Non uccidono nessuno, scelgono chi devono sequestrare.
La seconda fa seguito a questa: se questo sequestro per le modalità risulta difficilmente ascrivibile ad una delle organizzazioni della resistenza o ad
Al Qaeda, se ne deve desumere che sono entrati in gioco altre strutture,
che agiscono per fini opposti. Fini "istituzionali" e di propaganda
politica.
L’uccisione di Enzo Baldoni parrebbe più frutto di un attacco che ha
prodotto la sua morte che poi si è cercato di nascondere per trarne un
qualche profitto mediatico-politico. Ma se non fosse, se effettivamente
fosse stato prima rapito e poi ucciso; se aggiungiamo il sequestro dei
francesi (Francia, forza "non belligerante", a cui non si può chiedere di
ritirare truppe che non ha); se poi arriviamo al sequestro delle cooperanti
di "Un ponte per...", va posta una questione: chi sta agendo (esercito
islamico?) sta deliberatamente colpendo quanti si oppongono alla guerra per
costringere le opposizioni a allinearsi con i governi o i governi come
quello francese ad allinearsi con gli occupanti? Se così, l’agire di questa
organizzazione sembra di affiancamento degli occupanti.
Va detto che il leitmotiv delle dichiarazioni delle forze di governo italiane ieri è stato proprio: "Eco, vedete, siamo tutti nella stessa barca, non rapiscono solo i filo americani ma anche i pacifisti".
Addirittura è stato rimarcato come le Simone avessero espresso - come è
ovvio! - la convinzione che le truppe italiane fossero truppe occupanti.
Ergo, dobbiamo tutti unirci contro il terrorismo, già il centro sinistra così si esprime.
Se le azioni di gruppi armati iracheni vanno nella direzione di mettere in
difficoltà il movimento contro la guerra, le ONG veramente antiimperialiste,
allora ve detto esplicitamente che esse connivono con le forze occupanti.
Ma, direi più probabile la considerazione che gli occupnti e l’illegittimo
governo iracheno abbiano creato strutture illegali o semi-illegali, che
agiscono con lo scopo su indicato.
E il Sismi può benissimo essere al corrente di queste azioni.
— -
Non appena le agenzie hanno battuto la notizia del sequestro di Simona Torretta e Simona Pari, il presidente della Camera, Casini, ha dichiarato di “non voler più sentir parlare di resistenza”. Come sempre, la lingua batte dove il dente duole.
A questa affermazione ha fatto seguito l’incontro di questa mattina a Palazzo Chigi tra i segretari di tutte le forze politiche rappresentate in parlamento. Insomma, da Fini a Bertinotti, tutti insieme su una linea di “unità nazionale contro il terrorismo”.
In questo modo si vuole cancellare la realtà della guerra e della brutale occupazione che ne è seguita. In questo modo si occultano i nomi dei responsabili: Bush, Blair, Berlusconi. In questo modo si vuole oscurare la vera questione: la necessità del ritiro immediato di tutte le truppe di occupazione (incluse ovviamente quelle italiane) dall’Iraq. Il sequestro delle due volontarie di “Un ponte per”, si inserisce in una serie di azioni (sequestro e uccisione di Enzo Baldoni, sequestro dei due giornalisti francesi) che stridono con gli obiettivi politici e le modalità operative della Resistenza. Si tratta di azioni che danneggiano obiettivamente la Resistenza proprio nel momento in cui le truppe di occupazione ed il governo fantoccio di Allawi sono nel punto massimo di difficoltà in tutto il paese.
Ma si tratta anche di azioni molto sospette. Basti pensare che della tragica fine di Baldoni praticamente non sappiamo ancora niente. Mentre sui giornalisti francesi l’unica cosa certa è che gli USA si stanno adoperando in tutti i modi per impedirne il rilascio. Infine, il sequestro di Simona Torretta e Simona Pari porta all’obiettivo risultato di allontanare potenziali solidarietà alla lotta di liberazione del popolo iracheno.
Ora i casi sono due. O siamo di fronte ad un gruppo impazzito che agisce secondo proprie logiche del tutto sganciate dal movimento popolare di liberazione, o abbiamo davanti una delle classiche operazioni di controguerriglia sporca nelle quali gli americani e i sionisti sono maestri.
Nel primo caso, nell’esprimere la nostra categorica condanna, riteniamo che oltre ad esigere la liberazione immediata, sarà lo stesso movimento di liberazione nazionale ad occuparsi in maniera adeguata di chi danneggia così gravemente la Resistenza ed i suoi sostenitori in occidente. In questi casi, che si sono verificati in tutte le lotte di liberazione nazionale, che sono il frutto del caos militare prodotto dalla guerra, che dunque non sono riconducibili ad alcun moderno mostro denominato “terrorismo”, esiste una sola regola: l’espulsione immediata dal movimento di resistenza.
Nel secondo caso - operazione di controguerriglia messa in piedi dagli USA - saremmo di fronte al tentativo di rispondere alle difficoltà politiche (fallimento della farsa del “passaggio dei poteri”) e militari (difficoltà crescenti nel controllo del territorio, forte aumento degli attacchi della guerriglia, raggiungimento della soglia psicologica dei 1.000 morti americani) con la costruzione di un nemico inesistente - il “terrorismo cieco” - per colpire il nemico vero, la Resistenza popolare.
Se le cose stanno così, e vi sono dei forti indizi in questo senso - basti pensare al fatto che il sequestro è avvenuto nell’area maggiormente controllata e protetta dalle truppe USA della capitale irachena - allora il governo italiano deve essere chiamato in causa come complice. A questo punto, Berlusconi, Frattini, Martino e tutto il loro governo oltre ad essere responsabili della presenza delle truppe italiane in Iraq, sarebbero anche responsabili di quanto avvenuto a Simona Torretta e Simona Pari. Ed a questo proposito, non è un po’ sospetta la tempestività con la quale Nicolò Pollari, direttore del Sismi, ha parlato ieri mattina, durante un’audizione alla Camera, di “donne a rischio sequestri” in Iraq?
E’ in questo quadro che si è svolto il vergognoso summit di Palazzo Chigi.
Un vertice unitario dove i segretari dei partiti che a maggio hanno votato per il ritiro delle truppe, hanno dato la loro disponibilità ad una sacra alleanza con i vertici di un governo che ha dichiarato anche oggi, per bocca di Berlusconi, di voler rimanere in Iraq a tempo indeterminato.
Vergogna, vergogna, vergogna!!!
Le forze dell’opposizione parlamentare sono andate così in soccorso del governo Berlusconi di fatto rispondendo positivamente alla sua esplicita chiamata di correo!
Con quale faccia costoro potranno ancora presentarsi come parte del movimento pacifista? Con quale faccia potranno ancora chiedere il ritiro?
Certo, diranno che l’unione è “contro il terrorismo”. Ma il vero terrorismo è quello degli USA, che ogni giorno produce decine e centinaia di vittime civili. Nello stesso pomeriggio di ieri, in cui è avvenuto il sequestro di Simona Torretta e Simona Pari, gli americani hanno ucciso 36 persone a Sadr City e 76 persone a Falluja. Ed è lo stesso terrorismo americano che ha incarcerato 80.000 iracheni, molti dei quali torturati (chi parla più di Abu Graib?), e che nella notte del 3 settembre ha arrestato Abdul Jabbar Al-Kubaysi, presidente dell’Alleanza Patriottica Irachena, e noto esponente della Resistenza popolare del quale non si hanno più notizie.
E’ proprio contro questo terrorismo imperialista, con la sua pretesa dispotica e totalitaria di dominare il mondo, che si batte con coraggio la Resistenza irachena.
Libertà per Simona Pari e Simona Torretta!
Libertà per Abdul Jabbar Al-Kubaysi!
COMITATI IRAQ LIBERO - 8 settembre 2004


John Negroponte ha giurato oggi a Washington durante una cerimonia di insediamento voluta dalla Casa Bianca per rendere pubblico il suo nuovo incarico in Iraq. Pochi giorni ancora e John Dimitri Negroponte, classe 1939, arriverà a Bagdad in qualità di ambasciatore degli Stati Uniti ed andrà ad insediarsi in quella che fu la casa di Saddam Hussein. Lo ha voluto George Bush in persona, dopo aver valutato il curriculum del diplomatico, già ambasciatore in Honduras, Messico e Filippine, nonchè Consigliere per la Sicurezza Nazionale. John Dimitri Negroponte sostituirà il "vicerè" Paul Bremer, che se ne torna a casa con sette miliardi di dollari in tasca. Come credenziale, porta una lunga carriera in diplomazia, interrotta solo nei tre anni in cui fu vice presidente di una multinazionale. Le troppe ombre che circondano la figura di Negroponte ed i suoi rapporti con le giunte militari in molti paesi del Centro America porterebbero tuttavia a pensare che non sia lui l’uomo adatto a ristabilire "la pace e la democrazia" promesse da Bush nel momento in cui fu annunciata la nomina. Nel 1995, fu proprio uno dei torturatori che martirizzarono la popolazione dell’Honduras a fare il nome di Negroponte come complice dei militari al governo in Honduras ma ad accusarlo ci sono anche i parenti di Ines Murillo, liberata solo dopo essere stata a lungo torturata, che inutilmente cercarono aiuto presso l’ambasciata americana.
I rapporti ufficiali compilati dall’ambasciatore USA in Honduras facevano apparire il paese del Centro America come una terra di pace e libertà, più simile alla Scandinavia che all’Argentina. Negroponte continuò a negare l’uso della tortura anche quando lungo le sponde di un fiume vennero rinvenuti 185 cadaveri di persone morte durante le sevizie o assassinate subito dopo. Tra quei corpi, c’era quello del maestro elementare Saul Godinez, sequestrato dai militari istruiti dal SOA mentre si recava a scuola in motocicletta. Negroponte fu scelto da Ronald Reagan per condurre le trattative segrete che si conclusero con la vendita di armi per centinaia di migliaia di dollari ai contras del Nicaragua all’insaputa dello stesso Congresso USA. Uniti da un odio feroce verso il comunismo, i due architettarono insieme una vera e propria crociata che si estese poi dal Nicaragua al Salvador, dove le vittime furono migliaia. E’ noto che Negroponte controllò personalmente la costruzione della base aerea di Aguacate, dove i contras venivano addestrati e volle essere informato sulle tecniche d’addestramento. Nel 1980, quando venne assassinato Monsignor Romero, suor Letizia Bordes fuggì dal Salvador, dove per dieci anni era stata missionaria. Trenta delle sue consorelle erano scomparse e probabilmente uccise dagli stessi assassini di Romero. Bordes inviò una supplica proprio a Negroponte, che, come le proverbiali tre scimmiette, fece finta di non aver visto o sentito nulla. Forse ci siamo sbagliati: sembra che stavolta Bush abbia scelto l’uomo ideale per rappresentare gli Stati Uniti in Iraq. Negroponte incarna perfettamente il modello dell’ambasciatore caro alla Casa Bianca, impermeabile alla sofferenza umana. Pronto a giurare che ad Abu Ghraib i bambini possono giocare tranquilli... Il futuro dell’Iraq è già cominciato.
Bianca Cerri
b.cerri@reporterassociati.org


Quando "liberarono" (comunque sia andata) i bodyguard Stefio, Agliana e Cupertino, tolsero loro il diritto di parola: dalla liberazione, non si e’ saputo nulla o quasi del sequestro dalla loro bocca. Poco o nulla sulle condizioni, sulle condizioni del rilascio, sulla loro opinione. Eppure viviamo un mondo in cui qualsiasi scorreggia fa notizia, in cui si intervistano i serial killer in carcere, e le famiglie stesse dei bodyguard furono assediate dei media fino a chiedere una tregua: non e’ possibile che nessun giornale abbia chiesto loro un’intervista. Ma come: i bodyguard di Lady Diana scrivono bestseller, e per loro nemmeno uno scoop? Qualsiasi sia la ragione, e’ chiaro che i tre bodyguard non possono rilasciare dichiarazioni sulla loro prigionia ne’ sulla loro liberazione.
Pari e Torretta non collaborerebbero con il potere incaricato oggi di liberarle: appena libere, scriverebbero, parlerebbero, racconterebbero come siano state liberate e da chi siano state rapite. E parlerebbero contro l’intervento italiano in Iraq. Lo fanno da tempi non sospetti, visto che "Un Ponte Per..." rifiuta i soldi governativi perche’ con questo governo non vogliono collaborare: davvero ONG, davvero Organizzazione "Non Governativa". E non aspetterebbero le interviste dei media, ma come hanno gia’ dimostrato di saper fare, prenderebbero loro stesse la parola in prima persona, da Indymedia al Maurizio Costanzo. E lo farebbero sotto tutti i riflettori del mondo, di fronte a tutti i microfoni, sul palcoscenico principale: immaginate l’euforia umana e mediatica dei giorni della liberazione.
E allora, questo governo, questo potere guidato dagli esperti di comunicazione avra’ il coraggio di liberarle? O lo riterra’ un "autogoal mediatico" troppo costoso?


Si legge, su L’Unità dell’11 settembre, che le due Simone avevano contattato gli Ulema per cercare di andare a Falluja. Falluja: città blindatissima attualmente epicentro degli scontri tra guerriglia ed occupanti. Il tutto ricorda straordinariamente Najaf, che era al centro degli scontri solo un paio di settimane fa, e l’ostinazione con cui Enzo Baldoni aveva perseguito il suo intento di riuscire ad entrarvi per portare aiuti e probabilmente anche per testimoniare le sofferenze di un popolo. In seguito ad una ricerca salta fuori una vecchia mail di una collaboratrice di "Un ponte per...", datata 25 luglio 2003 (la "collaboratrice" era forse Simona Torretta?). All’interno il testo della mail: "Siamo arrivati a Baghdad giovedì 24 luglio in tarda mattinata dopo aver attraversato il confine giordano con due jeep impiegandoci circa 10 ore per raggiungere la capitale. 4 donne e 4 uomini compongono la delegazione dell’ong italiana "Un ponte per..", presente in Iraq ormai da 13 anni". "(...) Abbiamo incontrato, presso le sede delle ong, i volontari di "Un ponte per..." e subito dopo sono arrivate due donne irakene responsabili di un progetto internazionale di "Occupation Watch" che si occuperà di monitorare e denunciare le violazioni dei diritti umani nei settori economico, sociale e militare commesse dalle forze di occupazione presenti in Iraq".
"Un ponte per..." è fra le organizzazioni che collaborano con "Occupation Watch" e intende sostenere economicamente la realizzazione della cosiddetta "Casa Irachena", che sarà la sede dell’osservatorio, (sede) già individuata nel centro di Baghdad. (...)". "L’osservatorio cercherà di rendere la più ampia testimonianza su ciò che l’occupazione produce in termini di violenza generale nel paese".
"Occupation Watch" stessa, inoltre, cita "Un ponte per..." tra i sei soci fondatori del progetto. Sui cui scopi si legge fra l’altro:
1. Monitorare le attività economiche e della ricostruzione sotto l’occupazione, incluse le attività delle multinazionali, e sostenere il diritto degli iracheni a controllare le proprie risorse, specialmente il petrolio;
2. Lavorare in collaborazione con altri gruppi interessati ai diritti umani per documentarne le violazioni;
3. Ricercare le dinamiche, i programmi e la composizione del movimento di resistenza iracheno allo scopo di fornire un’informazione corretta alla comunità internazionale.
"Un ponte per...", a Baghdad, non si occupava quindi soltanto di cibo e medicine ma partecipava attivamente alla realizzazione di un progetto vòlto a monitorare le attività delle forze di occupazione e delle loro dirette emanazioni come, ad esempio, la presenza nel paese delle multinazionali e la gestione dei cosiddetti contractors. Anche per questo, Simona e Simona, avevano manifestato l’intenzione di voler andare a tutti i costi, nei giorni precedenti il loro sequestro, nella zona calda di Falluja?
Fonti: L’Unità
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=37714


Oppure il senso dell’ultimo odioso atto è un altro? In Cecenia, nel paese che «l’amico Vladimir» ha ridotto a un cumulo di macerie il governo russo decise alcuni anni fa di non volere testimoni scomodi, possibili fonti di informazioni sgradite. L’assassinio di sei operatori umanitari della croce rossa internazionale - freddati nel sonno a Grozny con pistole col silenziatore - ebbe l’effetto di far evacuare dalla Cecenia tutte le organizzazioni umanitarie. Obiettivo raggiunto. E se così fosse anche ora? Se questa fosse la strategia prodotta dagli ultimi eventi, dal rapimento dei due giornalisti francesi, dall’assassinio di Enzo Baldoni? Non ci sarebbe da stupirsi. Chi fa il tiro a segno sui civili, chi spiana villaggi con le bombe, chi ha creato Abu Ghraib (e Guantanamo) non vede certo di buon occhio la presenza in Iraq di operatori di pace, né di giornalisti che non siano embedded. Rendere la loro scomoda presenza sempre più a rischio, perfino eliminarla: può essere benissimo l’obiettivo dell’ «amico George», come lo è stato per l’amico Vladimir. «Non disturbate il manovratore». E via tutti. E’ successo in Cecenia, è successo in Afghanistan, e lo stesso tentativo potrebbe essere in atto in Iraq. Ciò implicherebbe, naturalmente, dirette e pesanti responsabilità dei servizi Usa e probabilmente anche dei paesi che sostengono l’aggressione statunitense, inglesi e italiani in prima fila. Nel mondo dei servizi segreti, chi fa che cosa e chi sta con chi non è mai chiaro. Ne sia dimostrazione il fatto che tutti i servizi si vantano di avere confidenti informatori e spie nel campo avverso, il che vuol dire che sono tutti permeabili, manovrabili.
Ma c’è anche un’altra ipotesi. Che il tiro a segno e il rapimento di persone di pace siano, semplicemente, un altro sintomo - gravissimo e con prognosi infausta - del cancro della guerra. Altro che civiltà e democrazia: quello cui stiamo assistendo in Iraq è un tragico e deprimente esempio di barbarie. E’ una guerra dove opera, con significativa frequenza, anche il terrorismo kamikaze. Se ne parla comunque troppo poco, e non a caso. Non si tratta di un elemento «tecnico» - chi non ha a disposizione aerei senza pilota, finisce col fare da pilota a una cintura imbottita. C’è molto di più. C’è la decisione in molti di considerare la propria vita «a perdere», di uccidersi mentre uccide. Quando si arriva a quel punto, quando non si ha più alcun rispetto per la propria vita, perché dovrebbe interessare il destino di chiunque altro? Quella che si innesca è allora una catena di disumanità, ferocia, odio. Ogni chiave di lettura ha un senso, e forse non c’è una ragione soltanto. Per certo, lo scenario che abbiamo davanti é agghiacciante. Siamo entrati in un tunnel: ci ritroviamo in mezzo a una guerra pericolosissima che la maggior parte dei cittadini non vuole per molte ragioni, per esempio perché è un film già visto e non a lieto fine. Invece noi, oggi, ci siamo dentro, ci ha portato il «club degli amici».
Non sono stati i soli, purtroppo. A favore della aggressione all’Afghanistan votò oltre il 90% dei parlamentari, e ancora oggi alcuni leader di coloro che si preparano - o aspirano - a governare (il termine «opposizione» mi sembra davvero fuori luogo) rivendicano la giustezza di quella decisione. Prima di questo governo di centrodestra, ci aveva portato in guerra il governo di centrosinistra. E in un modo ancora più devastante, se non altro per le coscienze. Siamo stati trascinati in una guerra «umanitaria». Non si è trattato solo di una menzogna volgare; la teoria della guerra umanitaria di dalemiana memoria è la più vigliacca espressione di razzismo. Perché autorizza in nome dei diritti umani a uccidere altri esseri umani considerati evidentemente inferiori, visto che non si pensa a proteggere i loro diritti umani, primo tra tutti quello di essere vivi e di restarci il più a lungo possibile. Una volta formulata e praticata, la «guerra umanitaria» è una rottura con il pensiero sociale e civile degli ultimi due secoli, e trova compimento e sviluppo nella «guerra preventiva». Se è lecito uccidere per i diritti umani, perché non farlo per gli interessi nazionali o per garantire il tenore di vita dei cittadini Usa? Anche interessi nazionali e tenore di vita sono, in fondo, «diritti umani». E se è lecito ammazzare, perché aspettare? Lo si faccia il prima possibile, nel modo (per loro) più indolore ed efficiente.
Uniti nel portarci in guerra. E oggi uniti «contro il terrorismo». Uniti nel raccontarci la bugia più grande, che la guerra sia qualcosa di diverso dal terrorismo, e il terrorismo dalla guerra. La chiamano «unità nazionale». La definirei piuttosto una sintonia di casta, come successe ai tempi della guerra contro l’Afghanistan. Il paese invece, i cittadini, sono perlopiù da un’altra parte, non credo proprio siano d’accordo sull’essere in guerra. Ma è la casta a decidere. Nel nostro paese c’è ormai così poca democrazia che nessuno pensa di consultare i cittadini sulla decisione più importante che pone a rischio la loro stessa vita: la guerra o la pace. Come la pensano gli italiani? Perché non ce lo chiedono? Sarebbe semplice ma non credo succederà, la casta non ama rischiare brutte sorprese.
Il movimento per la pace è chiamato oggi a un compito decisivo: elaborare nuove forme di organizzazione dei cittadini e nuove strategie, perché in Italia possa tornare a crescere la democrazia, si rispetti la Costituzione, si inizi a percorrere il cammino del dialogo e della non-violenza, abbandonando quello del razzismo e della bestialità. Nessuno farà regali, non facciamoci illusioni. Il ripudio della guerra, che impone il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq, non verrà dall’«unità nazionale». Da lì, finora, sono venute solo la teoria e la pratica della guerra. Il movimento per la pace sono milioni di persone che vogliono tornare - o forse incominciare - a essere cittadini, non semplici consumatori o strumenti del consenso. E che credono nella democrazia come strumento per realizzare i diritti umani, perché solo nel pieno rispetto dello sviluppo della persona, e quindi di tutti gli esseri umani, sta la condizione indispensabile per la pace. Dall’altra parte sta chi pensa che la democrazia sia un puro gioco elettorale, che i diritti umani siano un optional, e che si possa ammazzare e torturare a piacimento. Sta al movimento per la pace fare in modo che nessuno, in futuro, possa considerare i nostri concittadini, e noi stessi, come «nemici». Lo deve anche a tutti coloro che hanno perso o che stanno rischiando la vita per la guerra. Lo deve anche a Simona Torretta e Simona Pari, che speriamo di vedere libere al più presto, con i loro colleghi iracheni.