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Dino Frisullo. 10 anni dopo lotta ancora insieme a noi

par Alessio Di Florio

Publie le mercoledì 5 giugno 2013 par Alessio Di Florio - Open-Publishing
2 commenti

Sono passati già 10 anni, ma è ancora vivo il ricordo del momento in cui arrivò la notizia. Come canta Guccini, riferendosi ad un altro grande militante dell’umanità oppressa, "ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto" perché "era morta una nostra speranza". 10 anni, ma sembran passati secoli. La sinistra italiana attraversa la crisi più profonda di sempre, il movimento pacifista (che dieci anni fu definito la seconda superpotenza mondiale) appare rifluito e oggi non sembra essere più protagonista della scena sociale e politica. E ci mancano militanti come Dino, capaci di percorrere prima degli altri sentieri inesplorati e illuminando come lampade il percorso collettivo. Sentieri dove Dino incontrava uomini e donne assetati di libertà, di giustizia, di uguaglianza come lui. Uomini e donne in cerca dell’umanità perduta. Migranti, senza patria, kurdi, palestinesi, gli ultimi e gli emarginati del mondo erano i suoi fratelli e le sue sorelle, erano la sua Patria. In tempi in cui a sinistra si è stati capaci di scrivere pagine nere e nauseanti fatte di proclami a vuoto, carrierismo, abiure, tradimenti, Dino si è caricato sulle spalle la Storia più nobile dei comunisti, dei libertari autentici, dei pacifisti, degli anarchici e delle lotte più vere. Don Lorenzo Milani disse che il mondo si divideva in "diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro" e che "Gli uni son la mia Patria, gli altri miei stranieri". Dino non si è accontentato di proclamare questa frase, di declamare slogan come molti mandarini da salotto. Dino ne ha fatto la sua vita, scrivendo versi vibranti e appassionati con la poesia di tutto se stesso. In anni in cui molti a malapena si accorgevano dell’esistenza anche in Italia dei migranti, non si accontentò di una pelosa carità o di assistenzialismo buonista. No, lui lavorò, operò, militò, si organizzò con i migranti, insieme a loro, li fece essi stessi protagonisti del proprio destino, della lotta per i propri diritti. L’esistenza di Dino fu una folle corsa mozzafiato sulle strade della Vita, senza mai fermarsi fin quando anche un solo migrante aveva bisogno di sostegno e di battersi per i propri diritti. Ed era da loro conosciuto. E loro lo riconoscevano come un loro compagno, come uno di loro. Nei luoghi impervi del Kurdistan, in città e strade che l’Italia non sa neanche che esistono, Dino era stato, era conosciuto ed era amato. Giunsero nei porti italiani due carrette del mare, stracariche di migranti. Sui fianchi della nave, storpiato, c’era un nome: era il suo. Conoscevano solo lui, e issarono il suo nome come vessillo di umanità, forse convinti che sarebbe bastato il nome di Dino per trovare in Italia accoglienza e umana solidarietà. Come ben sappiamo non fu così. Perché in Italia li accolsero i Cpt(oggi CIE), rimpatri, botte, violazioni dei diritti umani (oggi i migranti, le ingiustizie che subiscono, la disumanità dei Centri ideati da Turco e Napolitano e poi "perfezionati" da Bossi e Fini, sembrano spariti dall’agenda politica. Ci tornino, il prima possibile, non si perda tempo!!). Dieci anni fa al suo funerale Eugenio Melandri (che con Dino fondò l’Associazione Senzaconfine) in poche parole gli fece il più vero degli omaggi: "Non aveva neanche una vera giacca. Era disinteressato, sempre pronto a difendere qualcuno". E’ il riassunto di decenni di vita e militanza. Il dedicare tutto se stessi, giorno e notte, in un’immersione totale, senza mai fermarsi, senza una sosta, senza mai essere domo. Mettendo sempre la propria personale esistenza dopo e al servizio della causa comune. Non c’era appuntamento o esigenza personale più importante, fosse stato anche alle 3 di notte (quando, in realtà, era più facile trovarlo a lavorare al computer piuttosto che a dare alle provate membra il sacrosanto riposo), si correva immediatamente. Ma Dino non era un robot, un freddo e sistematico automa della militanza. Dino vibrava dell’umanità più autentica, era capace di una com-passione vera di un cuore straordinario e generoso. Ed era capace di portare poesia. Si, scriveva poesie. Erano versi che probabilmente nessuno accosterebbe ad un Leopardi o ad un Dante. Ma per noi, piccoli militanti nei bassifondi della Storia, erano più belle, ci trasmettevano molto di più. Con le sue poesie, così come le sue denunce e i suoi precisissimi articoli abbiamo imparato a conoscere gli Alì che vengono dal mare, e da Zako sognano l’Europa, le bellissime Leyla "dagli occhi più profondi del mare", siamo approdati al porto di Patrasso dove giungono coloro che cercano un avvenire più fortunato e trovano solo "divise verdeoliva". Mille Alì sognano ancora l’Europa, innumerevoli Leyla vivono ancora nel Kurdistan in attesa del giorno in cui avranno una patria e saranno liberi, tante, troppe "divise verdeoliva" occupano la propria giornata nel cancellare sogni, nel reprimere umanità, nel mostrare a chi giunge nelle tante Patrasso di tutta Europa il volto più feroce del "Premio Nobel per la Pace". La vita terrena di Damiano Frisullo ha concluso il suo cammino 10 anni fa mentre, inchiodato ad un letto d’ospedale, si dannava l’anima perché non poteva essere in prima linea, contro la guerra in Iraq o per battersi affianco ai suoi compagni migranti. Ma il suo cuore batte ancora. Batte sui sentieri polverosi kurdi, batte davanti alle sbarre dei lager per migranti, batte nelle piazze turche di questi giorni. Perché non ce lo diranno mai nei salotti dei talk-show o nel telegiornale di prima serata, ma in piazza Taksim c’è un pezzo d’Italia. Su quella piazza, nella Turchia che alza la testa, c’è l’omaggio più vero e autentico a Dino Frisullo. In quella piazza Dino c’è, batte e vive. Non è retorica vuota, è realtà, è poesia dei fatti. In ogni volto di kurdo che continua a lottare per l’affermazione della propria esistenza, in ogni migrante che giunge sulle nostre coste e viene rinchiuso nei CIE, potremo scorgere gli occhi malinconici e appassionati di Dino Frisullo, nei loro passi i suoi. Le spoglie mortali di Dino Frisullo riposano in un cimitero, le sue poesie, i suoi scritti, le sue appassionate parole sono rimaste con noi. Scolpite nei cuori e nell’animo. Dino Frisullo continua a camminare, tocca a noi donargli gambe e braccia, mente e cuore. E quando il peso della militanza ci sembrerà eccessivo, quando costruiremo percorsi di Pace e di giustizia e sentiremo di perdere noi stessi, quando il nostro cuore si smarrirà, che lo scalatore "mite e ostinato" possa venirci in soccorso. E aiutarci, fin quando sarà possibile, a ripartire, ad asciugare le lacrime e ritrovare i colori dove vedremo solo grigiore e tristezza...

Alessio Di Florio
Associazione Antimafie Rita Atria
PeaceLink

Messaggi

  • Uno scritto di 10 anni fa


    Un giorno accendi il computer, apri distrattamente la posta e vieni a sapere nel modo piu’ bieco che un tuo fratello, un tuo compagno e’ morto.

    Era gia’ successo con altri : Horst Fantazzini, Giovanni Marini, Pietro Valpreda, Pierangelo Bertoli, Primo Moroni e piu’ recentemente con Luigi Pintor e prima ancora con i suoi due figli.

    Ma questi compagni, a parte Giaime Pintor che avevo conosciuto, una vita fa, quando lavoravamo insieme a "MUZAK", li conoscevo e li amavo per le loro storie, i loro scritti, le loro vite ; erano per me soprattutto elementi di un mito, quello del favoloso - nel bene e nel male - "decennio rosso".

    Dino Frisullo rappresentava per me anche questo, ma anche molto altro.

    Sarebbe facile parlare della sua detenzione nelle infami carceri turche o della mobilitazione di "Piazza Kurdistan" di cui fu l’infaticabile organizzatore.

    Preferisco ricordare tre episodi meno eclatanti e piu’ recenti, dove la personalita’, la generosita’ di Dino vengono fuori con forza.

    Quello della manifestazione a S.Paolo dopo che gli ultras nazisti della Lazio avevano ridotto in fin di vita un immigrato.

    Alla partenza del corteo eravamo meno delle guardie ; qualche compagno e qualche gruppo di immigrati se ne erano persino andati, impauriti dalla situazione.

    E Dino li’ a rassicurare tutti, ad attaccarsi al telefonino a chiamare compagni fino a che, a fine corteo per le vie di Testaccio, non eravamo certo moltissimi ma eravamo piu’ che raddoppiati.

    Due settimane dopo, sulla scalinata del Campidoglio, con i nazisti di Forza Nuova e Borghezio a urlare stronzate a pochi metri.

    Anche quel giorno la mobilitazione non era cero riuscita granchè. A parte gli immigrati, portati da Dino, eravamo decisamente pochi e celere e Digos minacciavano pure.

    Ma anche li’ Dino rassicura, tratta con le guardie, si attacca al cellulare ed arriva prima la Titubanda con i suoi ottoni e poi molti altri, tanto e’ vero che alla fine otteniamo l’autorizzazione per un breve corteo.

    L’ultimo episodio e’ recentissimo e sicuramente lui stava gia’ molto male ma io non lo sapevo.

    Mando in rete un messaggio per pubblicizzare il libro "In ordine pubblico", libro di "memoria" su alcuni compagni uccisi nei settanta.

    Dino mi risponde e mi fa notare che tra i compagni ricordati nel libro manca Benedetto Petrone, un giovane sottoproletario di Bari - faceva il contrabbandiere - ucciso dai fascisti nel 1977.

    Dino era originario della Puglia, aveva vissuto li’ gran parte del "decennio rosso", ma soprattutto viveva come una profonda ingiustizia la "memoria negata", quella degli immigrati ma anche quella di compagni come Benedetto che, per essere vissuti e uccisi "in provincia", vengono spesso dimenticati anche dalla "memorialistica" antagonista.

    Dino stava morendo, ma si preoccupava della memoria di Benedetto Petrone.

    Questo era Dino Frisullo.

    La terra ti sia lieve, fratello e compagno di una vita.

    Non ti dimenticheremo.

    Io sicuramente non potro’ farlo.

    Ciao, Dario.