Home > Dopo quella degli imperi, l’eta’ dei popoli ?
Evento. In occasione della sua presenza in Francia per il congresso Marx
IV Internazionale, il grande storico inglese Eric J. Hobsbawm analizza per l’Humanité i
temi più scottanti della nostra attualità.
di David Zerbib
Testimone del nostro tempo, Eric Hobsbawm, classe 1917, ha acquisito rinomanza
internazionale per la forza delle sue sintesi dei movimenti economici e politici
del XIX e XX secolo, ma anche per il suo impegno contro il totalitarismo e per
l’emancipazione dei popoli.
Storico degli imperi e delle rivoluzioni dell’epoca moderna e contemporanea (1), grande osservatore del gioco delle strutture materiali dell’economia e del capitalismo negli avvenimenti politici, come vede la situazione internazionale prevalente oggi, caratterizzata ad un tempo dall’unicità di una potenza egemonica, gli Stati Uniti, e
dall’esplosione caotica che la circonda, in particolare in Irak?
Eric Hobsbawm. Mi sembra che la situazione attuale, nella quale non esiste di fronte alla potenza dominante nessuno Stato rivale, é senza precedenti nei due o tre ultimi secoli. Ma cio’ non é destinato a durare, perché nel mondo presente si prepara un grande cambiamento, essenzialmente sul piano sociale e demografico. Una sorta di trasferimento della potenza economica e forse anche culturale si delinea da occidente ad oriente. Per il momento esiste una sola potenza egemonica, ma la base di questa egemonia é stretta, poiché essa é in relazione alla sola potenza tecnologica e militare. Per il resto, la sua base economica e demografica rischia di essere destabilizzata, fra qualche decennio, in particolare dalla Cina e dall’India. Questa prospettiva, mentre per ora la superpotenza americana tiene, spiega in gran parte la situazione abbastanza caotica del mondo.
In fondo, dietro questa evoluzione si verificano cambiamenti a lungo o a medio termine della situazione mondiale. Ho appena accennato ai movimenti dell’economia mondiale, al trasferimento progressivo del centro di gravità verso il Terzo mondo. Il secondo fenomeno importante, che é stato un po’ trascurato, é la crisi dello Stato nazionale e territoriale, che é stato l’unità dell’azione sia politica che economica e sociale dal XVIII secolo, prima di generalizzarsi nel XX. Nel corso degli ultimi trent’anni, una certa crisi di legittimità dei governi si é espressa attraverso la spoliticizzazione e la perdita di quest’immensa capacità, di cui aveva dato prova lo Stato nazionale, di mobilitare la fedeltà e l’attività dei suoi cittadini. Siamo in una situazione in cui non esistono grandi Stati (e questo si applica agli Stati Uniti, alla Russia o alla Cina) che riuscirebbero a fare cio’ che sembrava assolutamente normale nel XX secolo, cioé mobilitare i loro cittadini per andare a morire a milioni semplicemente per la patria.
Si osservano nuovi modi di « mobilitare » i cittadini nel doppio contesto che Lei descrive del caos internazionale e della spoliticizzazione nell’indebolimento dell’identità nazionale : attraverso il fattore insicurezza, alla quale si mira a livello individuale. Probabilmente non andremo a morire in massa, ma tutto porta a credere che siamo in balia di un attentato...
Eric Hobsbawm. Lo Stato, in effetti, é sempre meno capace di garantire la legalità e l’ordine pubblico che era abbastanza normale due o tre generazioni fa. Cio’ ha evidentemente delle ripercussioni sulla politica interna e sulla politica internazionale. Ma invita a sottolineare un altro fenomeno, che si applica al Terzo mondo ed in modo più generale alle nostre società : il rifiuto dei popoli di riconoscere come legittimo il potere in quanto tale. La base dell’era degl’imperialismi é stata l’accettazione da parte dei popoli di essere governati da minoranze di stranieri. I 400 milioni di abitanti dell’impero delle Indie, per esempio, erano governati da qualcosa come diecimila civili inglesi. Dopo l’indipendenza delle colonie francesi in Africa, é stato possibile per la Francia controllare la situazione inviando di tanto in tanto un centinaio di parà a marciare attraverso la capitale dell’ex colonia. Quest’epoca é terminata. I popoli non sono più disposti ad accettare chiunque si stabilisca come governante. Riguardo a questo, l’Irak é un esempio estremo di questo rifiuto. Cio’ non trasforma il rapporto di potenza fra gli Irakeni e gli Stati Uniti, ma introduce un elemento di complessità che gli Americani non avevano previsto.
Nel 2001, poco dopo l’11 settembre e la pubblicazione del Suo libro Il secolo breve (2), Lei affermava su queste colonne che « la superpotenza americana non sarà più in grado di dominare il mondo ». Come spiegare, in modo diverso da quello della legge secondo cui « ogni impero perirà », un tale pronostico ?
Eric Hobsbawm. Come avevo tentato di esprimere ne Il secolo breve, il Nord ed i paesi industrializzati possono vincere tutte le battaglie, é evidente. Ma questo non rende capaci di controllare il terreno. Ancora una volta, la situazione dell’egemonia americana non é modificata (nel senso che tutte le strutture internazionali ne dipendono più o meno direttamente e cercano venire a patti con essa) ma cio’ che si rivela impossibile é una dominazione unilaterale e mondiale, la guerra in Irak lo prova. Il mondo é troppo grande e troppo complesso per permettere un’egemonia assolutamente globale. Limiti sono sempre esistiti all’interno dei grandi imperi. Durante la guerra fredda, gli Stati Uniti hanno sempre avuto la capacità d’intervenire in America con la forza militare in tutti i piccoli paesi dei Caraibi ma se ne sono astenuti nei grandi, in Messico e in Sudamerica. Cio’ non prova che gli Stati Uniti non dominano questa regione. L’idea era che quest’egemonia implicava alleati locali, sulla base della « coalizione delle buone volonta », questa era la logica della politica imperiale americana durante la guerra fredda.
Il controllo é più agevole con degli alleati, ma anche con dei nemici chiaramente identificati, e non é più questo il caso oggi.
Come definire secondo Lei l’attuale mondializzazione liberista riguardo alle forme anteriori di allargamento capitalista de « l’economia-mondo » ?
Eric Hobsbawm. Si definisce anzitutto per un’accelerazione assolutamente senza precedenti. La rivoluzione tecnologica in materia di comunicazione rende possibile un livello di mondializzazione mai raggiunto. Seconda caratteristica : l’indebolimento dello Stato nazionale di cui abbiamo parlato. Questo Stato nazionale continuerà ad esercitare una funzione assolutamente fondamentale a livello soprattutto della redistribuzione dei redditi sociali. Ma non é più in grado di controllare la situazione di un’economia che va oltre. Cio’ si applica anche al più grande Stato nazionale, cioé agli Stati Uniti. Il terzo elemento é l’avanzata di questa ideologia del mercato senza ostacoli, senza controlli, che ha conquistato tanti governi fra gli anni 70 e la fine del secolo ma che, spero, arriva alla fine, perché questo movimento comporta problemi sociali ed internazionali che compromettono l’applicazione stessa di questa ideologia. Il FMI, per esempio, non é più in grado di esercitare una dominazione unilaterale.
Lei va in Francia in occasione del colloquio sullo storico marxista Pierre Vilar, nel quadro del congresso Marx IV Internazionale. In cosa, ed al prezzo di quali adeguamenti, gli strumenti del marxismo restano pertinenti per lo storico di oggi ?
Eric Hobsbawm. Lei fa questa domanda ad uno storico marxista e la mia risposta non La sorprenderà ! Notero’ semplicemente che qualche anno fa perfino i capitalisti hanno riscoperto Marx rileggendo il Manifesto del partito comunista, il cui pronostico sulla natura della mondializzazione capitalista si é rivelato molto realistico. In fondo credo che, nella situazione attuale delle scienze, la problematica sollevata da Marx si rivelerà, un volta di più, fondamentale. Si assiste in effetti ad una rivoluzione nelle scienze storiche, che va di pari passo con una certa « storicizzazione » delle scienze naturali. E’ il caso della fisica, per esempio, con la cosmogonia, della biologia attraverso il rinnovamento delle scienze dell’evoluzione. Cio’ ha avuto ripercussioni immediate nell’archeologia e la preistoria, dove cio’ che é sempre stato centrale, cioé il modo di produzione, appare assolutamente determinante in tutto lo studio della storia umana. Con una modifica tuttavia, anticipata d’altronde da alcuni marxisti antropologi e storici, cioé il ruolo findamentale dell’articolazione fra il modo di produzione e l’evoluzione delle culture.
Intervista realizzata da David Zerbib
(1) L’Età della rivoluzione, 1789-1848, Rizzoli, 1999 ; Il trionfo della borghesia, 1848-1875,Editori Laterza, 1998 ; L’Età degli imperi, 1875-1914, Oscar Saggi Mondadori 1999
(2) Il secolo breve, storia del XX secolo, 1914-1991, Rizzoli, 1999.
Tradotto dal francese da Karl e Rosa - Bellaciao
Source: