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Due agenti penitenziari ammettono gli abusi gravi sui manifestanti fermati nel 2001

Publie le venerdì 23 gennaio 2004 par Open-Publishing

Genova, crolla l’omertà sulle violenze di Bolzaneto

«Le manganellate sono piovute sui manifestanti fermati già mentre scendevano dai cellulari che li avevano portati a Bolzaneto»: due "pentiti" - rivela Il Secolo XIX - rompono finalmente il muro d’omertà sulle violenze commesse da appartenenti alle forze dell’ordine nella caserma della Celere di Genova trasformata da Castelli in carcere provvisorio per le retate del G8.

Grazie ai due agenti penitenziari, la cui identità viene gelosamente custodita in Procura, un vero colpo di scena piomba sul processo alla vigilia della chiusura delle indagini perché è la prima volta che esponenti delle forze dell’ordine ammettono le violazioni pesanti della legalità nella caserma della periferia nord di Genova confermando il quadro di accuse formulate da decine di persone che subirono i trattamenti. «Ne emerge - ha confidato al quotidiano genovese un magistrato - un quadro molto diverso da quello descritto in maniera concorde dalle forze dell’ordine».

Secondo agenti e funzionari interrogati, infatti, nella prigione provvisoria sarebbe andato tutto liscio e, se era accaduta qualche distorsione, la si doveva attribuire solo all’affollamento. A non accorgersi di nulla, ufficialmente, era stato anche Alfonso Sabella, oggi pm antimafia a Firenze ma all’epoca ispettore del Dap, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: «nessuna anomalia, nessuna violenza», affermò categorico anche all’impotente commissione conoscitiva parlamentare. Come lui Oronzo Cosi, generale della polizia penitenziaria, interrogato dai magistrati.

E che dire del ministro della Giustizia Castelli che visitò Bolzaneto la notte del 21 luglio e non trovo da ridire sul fatto che, come minimo, decine di persone erano costrette a stare in piedi per ore e ore. L’ingegnere leghista si permise perfino del sarcasmo dicendo che «anche i metalmeccanici stanno in piedi ma non si lamentano».

Tuttavia, malgrado gli sforzi suoi e del governo, malgrado le "assoluzioni" impartite alle polizie dal procuratore generale Porcelli a ogni inaugurazione di anno giudiziario, l’inchiesta sui misfatti di Bolzaneto - botte, sputi, insulti ai danni di gente inerme da parte di professionisti armati di tutto punto - riparte tre anni dopo i fatti. «Quanto sta emergendo ci dà ragione su quello che, da quasi tre anni, stiamo denunciando e conferma la necessità di fare chiarezza sui giorni di Genova anche con quella Commissione d’inchiesta parlamentare che chiediamo da allora (che disponga dei poteri propri della magistratura a differenza della blanda indagine conoscitiva disposta all’indomani del luglio 2001, ndr) per scoprire anche le catene di comando e le responsabilità politiche», commenta Graziella Mascia, deputata di Rifondazione Comunista e testimone delle giornate del Genoa social forum.

Il Sappe, sindacato della polizia penitenziaria, di fronte a quelle che definisce «presunte testimonianze» si nasconde dietro i risultati dell’indagine interna condotta all’epoca da Sabella e anche secondo Castelli nulla cambierebbe nel «quadro complessivo» anche se gli abusi dei suoi venissero dimostrati: «Non è così - ribatte un altro deputato del Prc, Giovanni Russo Spena, il racconto dei due agenti penitenziari delineano un vero e proprio reato di tortura, perpetrato a Bolzaneto nello stesso modo in cui, mesi prima, era stato perpetrato nella caserma Raniero di Napoli. E la consegna del silenzio e di non collaborare all’indagine, fu data, di fatto, direttamente ed immediatamente dal Ministro Castelli, che fu presente a Bolzaneto. Anche per questo è bene che il Parlamento recepisca al più presto le indicazioni europee, essendo l’ordinamento giuridico italiano ancora privo del reato di tortura».

Solidali con i due agenti anche il verde Cento e il diessino Leoni ma le rivelazioni del noto quotidiano genovese hanno suscitato prese di posizione anche in settori timidissimi rispetto all’eventualità di criticare l’operato delle forze di polizia. Così ieri perfino dalla Margherita arriva un’«incoraggiamento a chi non ha scelto la strada dell’omertà».

L’ultimo week end di febbraio, alla vigilia del processo ai 26 manifestanti, accusati di devastazioni e saccheggio, il movimento che promosse il Gsf e i suoi nuovi compagni di strada, torneranno nella città del G8 per rilanciare una battaglia di verità e giustizia resa più urgente dalle rivelazioni di ieri.