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Esemplare episodio di blitz poliziesco

Publie le lunedì 26 gennaio 2004 par Open-Publishing

Cara "Liberazione", il mio nome è Gianni Raco sono un compagno, non violento dichiarato, collaboro ad un giornale che facciamo nella locride insieme ad altri attivisti politici e voglio denunciare un gravissimo, assurdissimo fatto che mi è "capitato" e che farebbe venire i brividi anche al signor Josef K. di Kafka.

Sono partito per Roma il 18 dicembre per trascorrere le feste presso un’amica dove ero ospite. Aurora, la padrona di casa, aveva una controversia con Carmen che occupava una stanza del suo appartamento dal mese di luglio. Aurora aveva dato un ultimatum a Carmen: lasciare la camera entro il 21 dicembre o avrebbe cambiato la serratura della porta. Poiché la ragazza continuava a fare i comodi suoi, Aurora cambiò la serratura. Quel giorno faceva un freddo che ballavano pure gli orsi. Dormivo in un divano letto nell’ingresso e al rientro sentìi Carmen armeggiare alla serratura per tentare di aprire. Mi dispiaceva che restasse fuori con quel freddo e pregai Aurora di farla entrare. La ragazza come ringraziamento chiamò la polizia che accorse subito. Aurora riconobbe fra i poliziotti uno con il quale Carmen aveva una relazione e scambiò alcune battute con loro. Carmen si chiuse in camera e noi andammo a dormire agitati. La mattina ricemmo la visita di tre poliziotti che intimarono ad Aurora, a Nataly (una signora ucraina) e a me, che non c’entravamo per niente in quella storia, di seguirli in questura o ci avrebbero condotti a forza.

Dopo averci fatto aspettare delle ore ci interrogarono. Dissi quello che sapevo e che pensavo e cioè che Aurora aveva aiutato Carmen che si trovava in grosse difficoltà economiche e psicologiche e che era un’assurdità ritrovarsi in casa propria in una situazione del genere. Il sovraintendente di polizia si arrabbiò terribilmente dicendomi che se c’era qualcuno che doveva andare via da quella casa ero proprio io. La mia amica era nervosissima e decise di mettere fuori dalla porta i bagagli di Carmen, di spegnere le luci e far finta che non ci fosse nessuno in casa. Non ero per niente tranquillo, vista la situazione assurda che si era venuta a creare. Arrivò Carmen e dopo venne la polizia. Suonarono alla porta ma noi non fiatammo. Continuarono a suonare insistentemente e a tirare calci alla porta. Aurora telefonò a un’amica pregandola di accorrere con il marito avvocato. La situazione era terribile. Chiamai pure il 113 sperando che con l’arrivo di altri poliziotti la situazione si normalizzasse. Mi affacciai al balcone, in cortile c’erano delle persone che seguivano la vicenda, urlai di chiamare i carabinieri, di chiamare qualcuno.

Appena sfondarono la porta alcuni poliziotti corsero verso di me e come se dovessero fare non si sa che operazione mi ammanettarono senza che facessi la minima resistenza. Protestai, mi portarono giù e mi ficcarono dentro la macchina. Io urlavo che era un sequestro bello e buono, che era un abuso quello che stavano facendo. In questura mi portarono in una cella ed iniziò il massacro. Due mi tenevano e il sovraintendente mi diede un calcio nei testicoli, un pugno sotto il mento, ho tutti i denti superiori che si muovono e lingua con segni evidenti (ho difficoltà a mangiare), col palmo della mano mi ha colpito alla fronte e schiaffi a non finire, offendendomi e imprecando che gli aveva rovinato la vigilia di Natale. Prima di allontanarsi il sovraintendente mi disse: «Ti farò passare un po’ di tempo in galera». Anche perché, mi disse, per loro era uno scherzo "trovare un coltello". Mi ammanettarono al cancello della cella e mi lasciarono lì tutta la notte. Per farmi forza mi dicevo tra me: ci son situazioni peggiori e pensavo al Cile, all’Argentina.

La mattina mi portarono per le impronte digitali alla questura centrale e successivamente al tribunale per essere giudicato per direttissima. Se non era per gli avvocati, ero ancora in galera. Così mi ritrovo con 17 giorni di carcere, i denti rotti e un processo da affrontare il 26 gennaio «per resistenza, oltraggio e aggressione con un coltello» (mai portato). Siamo in belle mani. Viva la giustizia.