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Una slovacca a capo della Commissione diritti e uguaglianza di genere. Ma odia i gay: «Sono malati»
di A. D’AL.
«L’omosessualità è un problema di salute, una malattia, un difetto», l’affermazione è di Anna Zaborska, da ieri presidente della Commissione Diritti della donna ed uguaglianza di genere del Parlamento europeo. Adesso tocca a lei dettare l’agenda e coordinare i lavori della Commissione chiamata a sviluppare tutta la politica di uguaglianza per la donna. Attenzione, oltre ad avercela con gli omosessuali, è contro l’aborto e la politica di controllo delle nascite. La frase d’apertura non è infatti l’unica perla di questa slovacca di 56 anni ultraconservatrice ed in odore di Opus Dei, arrivata all’Eurocamera con i voti degli elettori della Democrazia cristiana slovacca e giunta alla presidenza della Commissione Diritti della donna sotto lo stendardo dei popolari europei e grazie alla repentina scomparsa dall’aula dei socialisti. Venerdì scorso la candidatura della Zaborska aveva sollevato un polverone.
Sulle ali di una forte mobilitazione da parte di diverse associazioni slovacche in difesa dei diritti di gay e lesbiche e di collettivi per l’emancipazione della donna, la Zaborska veniva infatti bocciata per 20 no contro 14 sì. A quel punto i popolari gridavano allo scandalo, alla rottura del patto tra Ppe e Pse per la distribuzione delle presidenze di Commissione (8 al Ppe, maggior partito, 5 al Pse, 3 ai liberali, una a verdi, comunisti e all’eurodestra di Europa delle Nazioni) e mandavano all’aria l’elezione della socialista francese Pervenche Beres alla presidenza della prestigiosa Commissione di Economia e questioni monetarie. Per far intendere l’antifona, l’elezioni della Pervenche veniva rimandata a dopo quella della Zaborska. Nessuno lo dice apertamente ma siamo di fronte al più classico dei ricatti, che oltretutto ha dato i suoi frutti. Ieri pomeriggio, nella ripetizione della votazione, i rappresentanti del Pse uscivano dall’aula e la Zaborska passava lo scoglio del voto segreto con 15 sì, 4 no e 3 astensioni.
«In questa occasione i socialisti - sottolinea Raul Romeva, eurodeputato verde di Iniciativa per Catalunya ed assai attivo contro l’elezione della Zaborska - hanno preferito non presentarsi. Adesso non rimane che aspettare e vedere come si comporterà, non è lei che decide ma è lei che organizza i lavori». La votazione è avvenuta nel tardo pomeriggio ed è stato impossibile rintracciare un membro socialista italiano della Commissione diritto delle donne, anche perché non erano a Bruxelles. Rimane un vuoto che per obbedire a logiche di potere finisce per premiare una visione retrograda del concetto di uguaglianza.
Ultracattolica, la Zaborska ce l’ha infatti con la donna in fatto di riproduzione, e con gli omosessuali in generale. Secondo lei i collettivi gay che organizzano le Love o Gay Parade non sono in grado di avere delle responsabilità con i bambini e gli adolescenti e la legislazione dovrebbe proibire loro di dedicarsi all’insegnamento, all’assistenza o all’animazione. Naturale la preoccupazione in tutta la comunità omosessuale europea, ma la mobilitazione non ce l’ha fatta contro la ripartizione delle poltrone. Adesso si vocifera che i socialisti stiano cercando di mettere in piedi un intergruppo, sorta di gruppo di pressione di deputati di diverso colore, per provare a mitigare gli effetti della Zaborska. Tardi, e soprattutto l’intergruppo non serve praticamente a nulla.
Il Manifesto