Home > Fassino ovvero l’arte di dividere il movimento
L’infame attentato di Madrid ci ha smosso e colpito al pari di tutte le persone dotate di un briciolo di attaccamento al genere umano. C’è però qualcosa di fastidioso nell’assistere ai tentativi di stilare una classifica delle morti. Poco più di una settimana fa, altri attentati, mossi dalla stessa logica politico-militare e dalla stessa ideologia del terrore hanno massacrato quasi trecento sciiti in Iraq e Pakistan.
Nessuna istituzione ha pensato di proclamare un minuto di silenzio, nessun importante cordoglio è stato inviato alla comunità sciita e ai suoi leader, nessuno, soprattutto, ha proposto una manifestazione di unità nazionale contro il terrorismo.
Le ragioni sono evidenti e fin troppo semplici da spiegare: quando a essere colpiti sono gli "altri" - gli arabi, gli islamici, i diseredati, il massimo viene raggiunto con i palestinesi - si fa qualche titolo, si dà un po’ di ragione alla guerra e poi si continua come prima. Quanto tocca a "noi" - noi occidentali, abitanti di questa minima, ma potentissima, porzione del mondo - allora lo sdegno sovrasta ogni cosa, la necessità di "difendersi" acquista il sopravvento, riparte la fanfara patriottistica e la politica si permette di tutto.
In Spagna il premier Aznar non ha esitato un minuto a strumentalizzare cinicamente i morti per avvantaggiarsi nella competizione elettorale di oggi: la responsabilità dell’Eta è stata dichiarata con tanto di direttiva alle ambasciate spagnole e, nonostante le inequivocabili prove offerte dalle indagini, ancora ieri veniva additata come la pista principale.
Di segno diverso, ovviamente, ma ugualmente fastidioso, è ora il tentativo di Fassino di piegare l’intera vicenda ai suoi progetti politici neomoderati. Passi ancora l’idea, per nulla originale e proprio per questo particolarmente dannosa, di rieditare l’unità nazionale, stavolta in chiave spagnola; ma quello che francamente appare inaccettabile è che un leader politico che non ha aderito alla piattaforma della manifestazione del 20 marzo e che, con il comportamento in aula ne ha contraddetto le ragioni, si proponga ora di modificarne i contenuti e il senso.
Ovviamente, l’indicazione di Fassino (e della Margherita, nonché di Pezzotta) è stata rigettata, in forme differenti ma con la stessa determinazione, dalle varie anime del movimento. Così come del resto in Spagna Aznar ha dovuto subire i fischi della manifestazione di Madrid e la netta contestazione di quella di Barcellona.
Eppure, la provocazione rimane lì a infastidire e a intorbidire le acque. Contribuisce ad alimentare i disegni della guerra globale - che appunto, dietro il pretesto della "lotta al terrorismo" si dispiega inesorabile - e a inquinare il confronto politico, nonché a creare una fibrillazione non necessaria dentro il movimento. Che non ha certo bisogno dei consigli di Fassino per prendere le sue posizioni e chiarire le sue idee: del resto, basta leggersi la piattaforma di convocazione del 20 marzo per trovare accanto alla richiesta di «Ritiro delle truppe di occupazione, Iraq agli iracheni, pace in Medioriente, basta guerre» anche il ripudio di «tutte le forme di terrorismo sia da parte degli Stati che di organizzazioni e individui».
Pensare di modificare questo orizzonte generale, dando ancora più rilievo alla lotta al terrorismo, non solo significa relativizzare l’opposizione alla guerra - in sintonia con il proprio comportamento parlamentare - ma anche indebolire e dividere il movimento, minandone la difficile ma costruttiva sintesi realizzata nel corso di questi anni.