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Fausto Bertinotti: «Sovrano è il popolo, non i partiti»

Publie le sabato 14 agosto 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di ANDREA COLOMBO

Bertinotti risponde alle critiche e difende la sua proposta di primarie sui contenuti: «Dire
che ho portato il Prc nel centrosinistra non ha senso. A decidere sul programma
devono essere gli elettori, non i leader o le segreterie. Solo così Rifondazione
accetterebbe il vincolo di maggioranza»

Fausto Bertinotti è decisamente irritato per le critiche che, all’interno del Prc, hanno seguito la sua proposta di «primarie sul programma». Non lo dice apertamente, ma la tensione trapela ugualmente, traspare nel tono della voce, nell’irruenza della replica.

Bertinotti, la tua proposta di primarie sul programma tra gli elettori dell’opposizione, accompagnata dalla disponibilità ad accettare il verdetto della maggioranza anche su temi come una guerra patrocinata dall’Onu o la riforma delle pensioni, ha scatenato un mare di polemiche nel tuo partito. Cosa rispondi a questi attacchi?

Quelle polemiche io proprio non le capisco. Ma riconosco che forse si tratta di una questione di pelle: io vengo dalla cultura degli anni `70 e del sindacato dei consigli. Per me la partecipazione è l’elemento centrale nella definizione di una politica.

Ti accusano di aver portato il Prc all’interno del centro sinistra...

E’ una critica che non ha alcun senso, né logico né politico. I partiti si definiscono per l’idea strategica di società che vogliono definire. Il centrosinistra non era una coalizione. Era (e secondo me non è più) un soggetto politico. Ha, o aveva, un’idea di società. Il Prc e la costituenda sinistra antagonista ne hanno un’altra. Ma noi non stiamo parlando degli assetti strategici dei singoli partiti. Stiamo parlando di come si fa a costruire una coalizione, di come trovare una convergenza programmatica per i prossimi cinque anni. Non per i prossimi cinquanta.

Resta da chiarire quale dovrebbe essere il collante di questa coalizione: il solo antiberlusconismo o qualcosa di più ambizioso?

Si deve e si vuole costruire una coalizione il cui obiettivo non può essere solo la sconfitta di Berlusconi ma anche la costruzione di un’alternativa programmatica di governo. Questa costruzione ha bisogno di trovare un motore, e secondo me non può che essere il popolo della coalizione: la seconda, senza il primo, sarebbe inerte. La medesima coalizione è fatta da elementi diversi. La sinistra radicale e d’alternativa deve farne parte, ma deve anche costituirsi con una propria capacità propositiva. A questa costruzione programmatica devono partecipare non solo i partiti ma anche i movimenti, le amministrazioni locali...

Il punto dolente, in tutta evidenza, è quella costituzione di un programma comune tra soggettività diverse alla quale alludevi prima...

La domanda è questa: chi è il sovrano nella definizione del programma? Io penso che sia il popolo elettore della coalizione che si candida a battere Berlusconi. Permettimi di insistere sul modello del sindacato: con la consultazione il sindacato aliena il suo potere di veto non a un altro sindacato, ma ai lavoratori. E allora io, che non accetto di essere messo in minoranza in una riunione dei leader di partito, posso accettare di essere messo in minoranza, su singoli punti, dal popolo elettore. E posso farlo perché chiedo anche agli altri di accettare lo stesso principio.

Gli altri, cioè i leader dei partiti del centrosinistra, ti hanno però già risposto negativamente...

Esatto. Accettano il principio di maggioranza, ma non la democrazia. E allora no, non funziona. Anche perché uno degli elementi guida del programma deve essere proprio la costituzione di un impianto di democrazia partecipata nel paese. E questa è una questione di merito, non di metodo.

La risposta tuttavia è negativa. E dunque?

E dunque io spero in una mobilitazione di forze. Pensa a quanto tempo ci è voluto per portare la democrazia nel sindacato. Non è che queste faccende si risolvono con una proposta, la risposta e punto.

Però di tempo non ce ne è molto, e il problema di come definire il programma resta tutto. Cosa proponi?

Se non riusciamo a praticare la strada di cui abbiamo parlato sinora, resta la via classica di un confronto «a democrazia ridotta». Ma anche in questo caso la riduzione può andare da uno a cento. Secondo me sarebbe ipotizzabile la convocazione di una «assemblea costituente del programma», ovviamente non limitata ai soli partiti ma allargata. Potrebbe essere il luogo di definizione di una propsta di programma. Poi definiremo insieme con quale strumento svolgere la consultazione su questa proposta. Il migliore sarebbe il pronunciamento di tutto il popolo elettore sulla proposta avanzata dall’assemblea.

E se l’assemblea non riuscisse a trovare l’accordo su alcuni punti?

L’assemblea dovrebbe naturalmente partorire un impianto di fondo condiviso, al cui interno potrebbero esserci o punti al di fuori dell’intesa (Rifondazione, ad esempio, non accetterebbe la Costituzione europea) o altri punti controversi, sui quali chiedere un pronunciamento, anche con forme di referendum vincolanti.

Ma se, come mi sembra probabile, non si arriverà ad alcun pronunciamento del «popolo elettore» sul programma, come si scioglieranno i punti controversi?

Perché ci sia il vincolo di maggioranza deve eserci democrazia partecipata. Altrimenti occorre ricercare il consenso. Non accetterei un vincolo di maggioranza limitato ai segretari o agli esecutivi di partito. Senza il sovrano, cioè senza il popolo elettore, non c’è nepure principio di maggioranza e dunque si rende necessario trovare il consenso. Naturalmente con mediazioni e compromessi, ma senza vincoli di maggioranza.

Torniamo alla tua intervista al «Corriere della Sera». Il punto che ha sollevato più critiche è stata la disponibilità ad accettare un intervento bellico patrocinato dall’Onu, qualora questo fosse il verdetto delle primarie...

Senti: noi siamo andati così a fondo sull’opposizione alla guerra da approdare alla non violenza. E’ questo il segno distintivo del gruppo dirigente del Prc. Però, grazie a un comportamento duttile, abbiamo concorso a realizzare la mozione unitaria di tutta l’opposizione sul ritiro delle truppe. Io mi rifaccio a quel metodo. Direi che su pochi temi come su questo possiamo avere un’ambizione egemonica di tutte le culture pacifiste. Non della sola Rifondazione, ma di tutte le culture pacifiste. E’ chiaro che il programma comune deve partire dal no alla guerra in base all’art.11 della Costituzione. Lo sviluppo concreto di questa posizione di base riguarda poi il processo di costruzione del progrmma.

Le critiche all’interno del tuo partito hanno messo ancora una volta in evidenza la singolarità di un’area molto critica e tuttavia interna alla maggioranza e alla segreteria. Arriverete a un chiarimento in occasione del congresso?

Secondo me il chiarimento c’è già stato nell’ultimo comitato politico. Dopo il successo elettorale ci si sarebbe potuto attendere un comitato tranquillo. Invece abbiamo votato su cinque documenti, e noi, da soli, abbiamo ottenuto la maggioranza. Il congresso deve proseguire sulla via di questo chiarimento. Sarebbe un errore grave se un progetto politico premiato alle elezioni venisse indebolito da considerazioni di tattica interna.

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