Home > GIUSTIZIA MILITARE: IL DIRITTO ALLA VITA E’ REATO
Quattro piloti in Iraq sono stati denunciati per ammutinamento: non volevano
volare con elicotteri privi di protezione anti-missile. Rischiano oltre
quattro anni di carcere
Quattro piloti di elicotteri mandati a fare la guerra in Iraq sono stati
denunciati per ammutinamento: si sono rifiutati di fare una missione con i
Ch47 dell’esercito, che, secondo una relazione di collaudo erano pronti a
volare, ma erano sprovvisti di protezione contro i razzi della guerriglia.
La legge militare dice che se si è in più di tre a disobbedire a un ordine è
ammutinamento. Loro erano in quattro a voler vivere. Diceva il saggio
Meneghino: «Ma la mort non l’è siora da toeuss mo’ tant incommed per andalla
a incontrà»( La morte non è una signora da prendersi tanto incomodo da
andarla a incontrare). Quei quattro ragazzi, che il loro comandante Luigi
Chiavarelli ha definito sommariamente «ottimi piloti ma pessimi militari»,
non avevano intenzione di morire presto e male. E per questo sono stati
denunciati alla procura della Repubblica militare per un reato che il codice
militare di pace considera grave - fino a tre anni di galera- e che la legge
militare di guerra applicata ai nostri soldati in Iraq punisce con più
asprezza elevando la pena a quattro anni e mezzo. Il procuratore generale
militare Scandurra lo ha definito un «reato eccezionale»
«Italiani andatevene»
I fatti risalgono a due mesi fa. Sono stati tenuti sotto silenzio mentre si
svolgeva l’inchiesta interna, ma ai Cobar la notizia era arrivata e si
aspettavano con preoccupazione le decisioni del comando di Viterbo dai quali
i quattro dipendono. C’era allarme perchè la minaccia di misure punitive
pendeva anche su quindici carabinieri del reggimento Gorizia che hanno
rifiutato di partire per l’Iraq. Ma fino a questo momento il comando
generale dei carabinieri ha frenato i provvedimenti disciplinari. C è anche
per «li alti rami» dell’Arma chi comincia a considerare oltre che pericolosa
anche inutile la presenza dei militari italiani in Iraq, costretti ad
asserragliarsi nei loro fortini per non esporsi agli agguati della
guerriglia. La favola che gli italiani hanno fraternizzato con la
popolazione irachena non regge più. Anche a Nasseriya c’è un clima cupo
verso i nostri militari che come tutte le truppe di occupazione fanno metà
servizio distribuendo acque minerali e panini e l’altra metà dando la caccia
ai «terroristi». «Italiani andatevene» è il perentorio invito delle moschee,
come riferiscono tutti i reportage.
Vale la pena di rischiare la pelle in Iraq per fare lo scenarietto per San
Remo? La stessa domanda vale anche per l’Afghanistan, dove i nostri soldati
sono stati obbligati a passare tutta una notte in bianco - per via delle
cinque ore di differenza del fuso orario - per andare in onda al festival
musical nazional militare del duo Berlusconi-Tony Renis. Il lato ridicolo e
patetico è destinato a passare nell’oblio, ma la visione della guerra del
nostro governo e dei nostri generali può provocare tragedie con effetti
devastanti, inutili sacrifici di vite umane. I nostri soldati non sono
protetti in modo sufficiente, sono esposti alla radiazioni dei proiettili
all’uranio impoverito, hanno strumentazioni poco efficienti per individuare
tempestivamente i segnali di attacco.
Soldati allo sbaraglio
Il rifiuto dei nostri piloti di andare in missione con quegli elicotteri ha
fondate ragioni perchè i velivoli non erano provvisti di apparecchiature
automatiche in grado di difenderli da missili. Si chiamano ingannatori
elettronici perchè intercettano il segnale dei missili a guida radar
lanciati contro gli aerei e li «ingannano» con echi di disturbo. L’unica
possibilità di evitare il missile è affidata a questi strumenti di cui
dispone tutta l’aviazione militare moderna. I nostri comandi hanno memoria
corta. Il 3 settembre del 1992 un nostro aereo militare in missione sulla
Bosnia fu abbattuto da un missile lanciato dai croati bosniaci. Morirono il
pilota e i quattro uomini di equipaggio. Il missile forse non sarebbe andato
a segno se quell’aereo avesse avuto la protezione elettronica. A 12 anni di
distanza il nostro esercito va in guerra con elicotteri che hanno più o meno
le stesse dotazioni di quelli usati dagli Usa nella guerra in Corea. Il
motivo - dicono i generali - è che non abbiamo soldi: per fornire un
elicottero della strumentazione elettronica anti-missile ci vogliono da
centomila euro in su. Più che logico. Una ragione in più per il governo e
per i comandi supremi per non mandare i nostri soldati in Iraq a fare la
guerra con quegli aggeggi. Anzi per ritirarli subito, il prima possibile.
Le cronache dall’Iraq ci nascondono il reale livello di quella guerra. Ogni
giorno ci sono attentati che vengono attribuiti ai terroristi e ai quali le
truppe di operazione rispondono con operazioni di rastrellamento. Ma dietro
c’è ben altro, c’è la sfida tra una guerra elettronica sofisticatissima e
una tattica di guerriglia fornita di contromisure efficienti. L’esercito Usa
controlla con aerei-antenna che volano a 25.000 metri di altezza notte e
giorno e con centinaia di postazioni Sigint (intercettazioni dei segnali)
tutti i segnali radar e le comunicazioni che avvengono via radio o via
telefono. Teoricamente ogni ordine impartito dalla guerriglia dovrebbe
essere prevenuto.
Gli stratagemmi della guerriglia
Contro questo Polifemo tecnologico la guerriglia mette in atto gli
stratagemmi inventati da Ho Chi Minh durante la guerra del Vietnam, quando
gli Usa già disponevano di quegli apparati elettronici. Per comunicare tra
loro usano i walkie talkie, come si è visto nell’attacco che il 14 febbraio
ha devastato la caserma della polizia irakena a Falluja. Con lo stesso
sistema i Vietcong davano gli ordini ai loro reparti, perchè i segnali di
debole potenza e a corto raggio emessi dai walkie talkie non potevano essere
intercettati da grandi distanze neppure con apparecchi potentissimi. La
guerriglia irachena ha messo a frutto anche un altro marchingeno tattico dei
vietnamiti: per colpire gli elicotteri americani li attaccano solo quando
volano a bassa quota, perché le loro superdotazioni di difese elettroniche
sono vulnerabili ai colpi sparati a vista. Gli Usa rischiano perché facendo
volare gli elicotteri a bassa quota possono intercettare anche i segnali dei
trasmettitori a corto raggio. Queste operazioni sono costate agli americani
15 elicotteri dall’inizio della guerra dell’Iraq.
In questo scenario il nostro piccolo e poco attrezzato esercito è poco più
di un’isoletta sperduta. Dice Falco Accame, presidente di un’associazione di
assistenza ai militari italiani: «Andavano messi sotto inchiesta non quei
quattro piloti, ma chi ha mandato i soldati in Iraq con insufficienti mezzi
di difesa».
da Liberazione