Home > Hiroshima, vola ancora l’Enola Gay
Il 6 agosto 1945 il B-29 americano sganciò sul Giappone la prima atomica. Tre giorni dopo toccò a Nagasaki. I morti furono, da allora, centinaia di migliaia. Cominciò il riarmo nucleare. Una corsa che - Stati uniti in testa - non è finita
di MANLIO DINUCCI
«La superfortezza volante B-29 della Boeing era il più sofisticato bombardiere a elica della Seconda guerra mondiale. Il 6 agosto 1945, questo B-29-45-MO costruito dalla Martin sganciò su Hiroshima, in Giappone, la prima arma atomica usata in combattimento. Tre giorni dopo, quando il Bockscar sganciò una seconda bomba atomica su Nagasaki, l’Enola Gay svolse la funzione di aereo da ricognizione meteorologica avanzata»: così si legge sulla targa posta davanti all’Enola Gay, esposto al nuovo Centro Udvar-Hazy del Museo aerospaziale Smithsonian a Washington, inaugurato lo scorso dicembre. Non tutti i visitatori, però, si sono limitati ad ammirare il bombardiere che, splendidamente restaurato, costituisce il fiore all’occhiello del museo. Il «Comitato per una discussione nazionale sulla storia nucleare e la politica attuale» ha lanciato una petizione, firmata da centinaia di esponenti del mondo universitario, in cui chiede che, insieme all’Enola Gay, vengano «esposte foto e materiali che mostrino i danni inflitti dalla bomba atomica sganciata da questo aereo».
La proposta è stata però bocciata dalla direzione del Museo con la motivazione che la descrizione dell’Enola Gay deve essere semplicemente tecnica. Non è però un fatto tecnico, obietta il Comitato, che la bomba sganciata dal più sofisticato bombardiere della Seconda guerra mondiale abbia provocato la morte, solo nel primo anno, di 140mila persone, per il 65% donne, bambini e anziani che non avevano alcuna connessione con la guerra. In realtà Truman ordinò l’impiego della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki non per salvare vite americane, come recita la storia ufficiale, ma per conseguire due obiettivi strategici: costringere il Giappone ad arrendersi agli Usa prima che l’Urss partecipasse alla sua invasione penetrando nel Pacifico; acquisire una netta superiorità militare sull’Urss e tutti gli altri paesi.
Iniziò così la corsa gli armamenti nucleari: tra il 1945 e il 1991 (l’anno in cui la disgregazione dell’Urss segna la fine della guerra fredda), vennnero fabbricate nel mondo oltre 128mila testate nucleari: di queste, 70mila dagli Stati uniti, 55mila dall’Unione sovietica. La corsa non si limitò alle due superpotenze: con l’aiuto diretto e indiretto degli Stati uniti, prima la Gran Bretagna, poi Francia, Israele e Sudafrica si dotarono di armi nucleari. Entrarono nel «club nucleare», in tempi e modi diversi, anche Cina, India e Pakistan. Si accumulò così nel mondo un arsenale nucleare che, negli anni Ottanta, raggiunse i 15mila megaton, equivalenti a oltre un milione di bombe di Hiroshima: una forza distruttiva tale cancellare dalla faccia della Terra, non una ma più volte, la specie umana e quasi ogni altra forma di vita.
La fine della guerra fredda avrebbe potuto porre fine anche alla lucida follia della corsa agli armamenti nucleari. Così non è stato: mentre decine di migliaia di armi nucleari sono sulle rampe di lancio, pronte all’uso, si è passati dal pericoloso «equilibrio del terrore» della guerra fredda a un ancora più pericoloso «squilibrio del terrore», originato dal tentativo dell’unica superpotenza, rimasta sulla scena mondiale, di accrescere il proprio vantaggio su tutti gli altri, sia nel campo degli armamenti convenzionali ad alta tecnologia, sia in quello degli armamenti nucleari. In tale situazione, in cui un piccolo gruppo di stati pretende di mantenere l’oligopolio delle armi nucleari, in cui il possesso di armi nucleari conferisce lo status di potenza, è sempre più probabile che altri cerchino di procurarsele e prima o poi ci riescano. Oltre agli otto paesi che già posseggono armi nucleari (l’unico a rinunciarvi è stato alla fine il Sudafrica), ve ne sono almeno altri 37 che si ritiene siano in grado di costruirle. Tra questi la Corea del nord, che probabilmente ha già acquisito tale capacità.
Il restauro dello «storico» B-29 e la sua esposizione al posto d’onore nel nuovo museo hanno un significato politico attuale: rivendicare, attraverso il simbolo dell’Enola Gay, la giustezza dell’impiego delle armi nucleari, non a caso nel momento in cui l’amministrazione Bush vara la nuova dottrina militare che ne prevede lo sviluppo e l’eventuale uso. L’Enola Gay sta riscaldando i motori prima di un altro decollo.