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I bodyguard italiani erano mercenari, ecco perchè li hanno rapiti

Publie le venerdì 22 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Anna Tarquini

Gli americani avevano fornito loro armi e porto d’armi, uno di questi fu rilasciato proprio a Fabrizio Quattrocchi, l’unico ad essere in possesso di una mitraglietta e di una pistola al momento del rapimento. Risulta come alcune guardie del corpo italiane - non si tratta del caso dei quattro rapiti - fossero partite per l’Iraq con il compito di addestrare le guardie irachene ad usare i kalashnikov.

Ruoli e volti

Il colpo di scena è scritto su poche durissime pagine che servivano a motivare la necessità di opporre un divieto di espatrio a Giampiero Spinelli, la guardia del corpo indagata per aver violato l’articolo 288 del codice penale arruolando civili italiani per missioni militari all’estero. Spinelli stava partendo per il Brasile e la magistratura di Bari che aveva raccolto parecchio materiale sulle indagini voleva evitarlo. Prima che il tribunale del riesame respingesse la sua richiesta, il magistrato aveva ricostruito lo scenario degli strani ingaggi delle guardie del corpo italiane nei paesi stranieri riuscendo a definire bene anche i diversi ruoli: chi erano i capi e chi i gregari, chi ha arruolato e chi è stato arruolato. Capo era certamente Stefio, titolare della società Presidium, ma anche Paolo Simeone, indagato a Genova. Spinelli aveva ingaggiato alcuni uomini in Italia e tra questi il compaesano Cupertino.

«Fermavamo e sparavamo»

Tre inchieste di tre procure diverse, insieme a Bari sul traffico illecito di mercenari indagano anche Roma e Genova. Uno dopo l’altro sono sfilati i testimoni e proprio grazie alle loro deposizioni che il puzzle è stato ricomposto. La più importante è quella di Paolo Costi, guardia del corpo arruolato nel febbraio del 2004, più o meno la stesso periodo degli altri. «Avevamo il potere di fermare le persone - racconta al magistrato - in caso di necessità potevamo aprire il fuoco anche se sempre solo in risposta ad un attacco armato». Casti è ancora più preciso: «Questa attività era svolta con l’ avallo della sicurezza dell’ albergo (in cui lui ed altri lavoravano per garantire la sicurezza, ndr), della polizia irachena ivi presente, e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta, ci coadiuvavano nell’espletamento delle nostre attività. Le stesse forze della coalizione (militari americani) in più occasioni hanno usufruito del comprensorio dell’ albergo e delle sue strutture interne per porre delle basi di osservazione e postazioni di attacco (installazione di lanciarazzi)». Dunque era attività militare a tutti gli effetti. Come conferma la testimonianza di Cristiano Meli: «Ho lavorato con Simeone a Bassora, facevamo addestramento alle guardie irachene».

Le società

L’affondo del gip comincia già dalla prima pagina quando, sintetizzando i dati posti alla sua attenzione, scrive: «Invero, le indagini hanno consentito sinora di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Iraq, che essi erano sul territorio di quel Paese in veste di mercenari o, quantomeno, di gorilla a protezione di uomini di affari in quel martoriato Paese». Tutto ruota intorno alla Dts security, la società di Paolo Simeone (con sede legale inesistente in Nevada) e alla Presidium di Salvatore Stefio e Giampiero Spinelli, (anch’essa con una sede legale fantasma alle Seychelles e succursali in altri paesi tra cui due riferimenti diversi in Italia). Tutte le società sono state costituite nei primi mesi del 2004, tutte e due offrono addestramento militare, sminamento, servizi di scorta. La Presidium - specifica il suo sito - «offre uomini specializzati ai governi che hanno necessità di una rapida soluzione dei problemi di carattere militare». Nell’incipit si configura già un’ipotesi di reato, ma provarlo è altro conto. Ci pensa Paolo Casti a fornire alcuni elementi al magistrato. Scrive il gip, Casti era giunto in Iraq prima di Agliana, Cupertino, Spinelli, Didri Forese e Stefio. A Baghdad trovò sul posto Paolo Simeone, Cristiano Meli e Fabrizio Quattrocchi.

Era stato Simeone a ingaggiare Quattrocchi con una e-mail a Genova, gli altri arrivavano dalla Presidium. «Simeone - conferma Casti al giudice - doveva formare una squadra di undici persone con il compito di coadiuvare le forse di coalizione». Una volta in Iraq i quattro ostaggi avrebbero saputo di dover lavorare per la società Dts (quella di Simeone) a settemila dollari al mese. «Dovevamo proteggere degli uomini d’affari - hanno sempre sostenuto i tre ex ostaggi. «Il loro compito - spiega invece il gip - consisteva in una vera e propria attività militare di supporto ed erano stati armati, tutti, di pistola e di una mitraglietta MP5 in dotazione alle truppe d’assalto anglo-americane».

Armi e paradisi

E veniamo al ruolo di Giampiero Spinelli, l’unico indagato del ramo barese dell’inchiesta di cui si conosce il nome, difeso da Carlo Taormina. Suo è il numero di cellulare che la società Presidium dà come riferimento oltre a un indirizzo di Olbia dove non esiste alcuna sede societaria. Spinelli è l’uomo che certamente ha ingaggiato Cupertino, forse altri e come gli altri ha sempre negato di aver svolto attività paramilitari. Ma è il suo ruolo nella Presidium a destare maggiore interesse. Nel dettaglio gli viene contestato di aver arruolato, tramite la Presidium, Didri Forese, Maurizio Agliana e Umberto Cupertino «affinchè militassero in territorio iracheno in favore di forze armate straniere (anglo-americane, per la precisione), in concerto ed in cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati stranieri». Il magistrato non lo dice, ma il sospetto è che dietro la Presidium ci sia appunto solo Spinelli. Una società illegale che «era un centro di addestramento e arruolamento di mercenari se non peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale in un paradiso fiscale e la relativa tranquillità che offre...».

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