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I dimenticati.

Publie le domenica 8 febbraio 2004 par Open-Publishing

Viaggio ad ’Ayn al-Hilweh

Con gli eventi mediorientali che diventano sempre più prominenti nelle
relazioni internazionali, i problemi generati da Palestina ed Israele non
passano inosservati sui media mondiali o presso il pubblico in generale.

In verità, il problema dei profughi palestinesi non si limita ai
confini di Israele, ma e’ un fenomeno presente in paesi quali il Libano -
uno stato che si sta ricostruendo dopo anni di guerra. Entro il Libano,
circa 400.000 profughi sopravvivono a stento in campi simili a ghetti, nelle
periferie di Beirut, Tiro, Tripoli e Sidone.

Il più grande di questi, ’Ayn al-Hilweh, a sud della città libanese di
Sidone, ospita circa 70.000 persone, in condizioni simili a quelle delle
poverissime "shanty-town" del Perù.

’Ayn al-Hilweh fu creato nel 1948, per ospitare i palestinesi scacciati
dalla loro patria. All’entrata del campo, si e’ accolti da un cartello che
decreta la volontà del popolo palestinese all’interno.
Sidone - una povera ma dignitosa città libanese - e’ alle spalle, e qui c’e’
un mondo diverso, governato da regole diverse, in cui la gente vive sperando
nel ritorno in una Palestina libera e pacifica.

Faccio visita al capo del movimento Fatah entro il campo, Ahmad Shabaytah,
un uomo piacevole, e resto colpito dalla sua propensione a diventare poetico
parlando delle disperate condizioni sociali di ’Ayn al-Hilweh. In una
stanza occupata da quattro guardie del corpo, di cui una armata di fucile,
Shabaytah, nato e cresciuto nel campo, parla dell’ironia insita nella
creazione di questo sito.

"Questo pezzo di terra ci fu dato nel 1948 dal governo libanese, che
all’epoca simpatizzava con le nostre sofferenze, come "rifugio temporaneo"
per il popolo palestinese", dice.
"Siamo invece qui da 55 anni. Eravamo 35.000 persone, ma, a causa dei
conflitti interni scoppiati in Libano, molti profughi si riversarono nel
campo ed oggi siamo in 70.000. La crescita della popolazione, tuttavia, non
ha coinciso col miglioramento della situazione generale. La vita quotidiana,
qui, e’ responsabilità dell’UNRWA, la quale non adempie ai suoi obblighi a
causa di pressioni esterne esercitate dagli USA".

Continua: "Dalla firma degli accordi di Oslo, la pressione americana su di
noi e’ aumentata. Gli USA puntano a gettarci nella disperazione e fanno
continue pressioni anche sul governo libanese che ci ospita, affinché ci sia
conferita la cittadinanza, con la quale perderemmo automaticamente il nostro
diritto al ritorno in patria".

Questa pressione, secondo Shabaytah, e’ la responsabile principale del
grave collasso sociale verificatosi nel settore dell’istruzione e della
sanità ad ’Ayn al-Hilweh.
"Il sistema educativo del campo e’ simile a quello vigente in ogni
altra parte del Libano", dice, "ma, mentre nel resto del paese gli studenti
frequentano le strutture educative dalle 8 alle 14, nel campo, a causa del
sempre crescente numero di studenti, dobbiamo fare due o tre turni per
poterli sistemare tutti. I turni influenzano la qualità dell’insegnamento,
perché gli studenti non hanno abbastanza tempo per istruirsi in maniera
adeguata. Il numero di studenti e’ aumentato, ma quello delle scuole e’
rimasto lo stesso. Allo stesso modo, il numero di studenti per classe e’
passato da 30 a 60".

Nonostante ciò, Shabaytah e’ fiero della forte risolutezza che molti
palestinesi hanno mostrato in termini di abilità a prosperare nei circoli
accademici. "Nonostante tutte le difficili circostanze educative, gli
studenti palestinesi hanno un talento innato per la matematica e la fisica".
Purtroppo, in un’area in cui le opportunità sono rare e le situazioni
quotidiane catastrofiche, molti professionisti, come medici ed ingegneri,
sono costretti a guidare taxi e a vendere uccellini per sopravvivere.

"Il governo libanese ha emanato un decreto che impedisce ai palestinesi di
esercitare 72 professioni al di fuori del campo", spiega. "Prima era loro
permesso di dedicarsi a lavori di forza fisica, come ad esempio costruire
strade, ma ora non più. Non abbiamo diritti".
Il suo futuro lo spiega con estrema semplicità. "Morirò qui come martire
oppure tornerò nella mia terra", dice con fermezza. "O questo o quello".

Il mio prossimo appuntamento richiede mezzo chilometro in macchina
attraverso le rovinate strade del campo. Con una guardia armata nel retro
dell’automobile, ci occorrono circa 10 minuti per schivare i numerosi
ostacoli lungo il nostro tragitto. Occhi sospettosi ci scrutano dai negozi
sui fianchi della strada, dove frutta e carni sono disposte in bella mostra
nel sole di mezzodì.
Un altro gruppo di uomini mi aspetta in una stanza semibuia. Al suono di un
ventilatore da soffitto, Ghazi Assadi, l’unico membro indipendente della
Commissione Popolare del campo, sembra nervoso ma, come Shabaytah, e’ pronto
a descrivere le sofferenze quotidiane, le quali, egli dice, sono entrate in
una spirale al di fuori di ogni controllo.
"La mancanza di cure mediche e’ il problema peggiore, qui", dice. "L’UNRWA
e’ l’unico organismo che fornisca servizi ai palestinesi ma e’ in deficit di
bilancio da molto tempo, specie dopo gli accordi di Oslo. Quando abbiamo
bisogno del ricovero in ospedale, essi ci mandano agli ospedali privati del
Libano. E, comunque, anche lì i posti letto per i palestinesi sono limitati.
Il numero di letti e’ molto inferiore al numero di pazienti".
"La gente qui non ha soldi", dice. "La maggioranza viene lasciata soffrire.
I palestinesi bisognosi di operazioni al cuore o i malati di età superiore
ai 60 anni non vengono curati. Abbiamo disperatamente bisogno del supporto
della comunità internazionale".

Più allarmante e’ lo stato delle strutture sanitarie pubbliche nel campo. La
presenza di 70.000 palestinesi a cui badare e soli cinque medici -
stipendiati direttamente dall’UNRWA - fornisce una prova evidente della
tragica situazione che i palestinesi ordinari si trovano a dover affrontare.
"Se dovessimo parlare di sanità, occorrerebbe un giorno intero", conclude,
con un sorriso forzato.

Quando la discussione arriva all’argomento "crimine", Assadi fa una
osservazione, che mette in luce le dure realtà di ’Ayn al-Hilweh senza il
minimo tono sarcastico. "Sorprendentemente, il crimine qui e’ molto basso,
nonostante il fatto che abbiamo problemi di conflittualità tra le varie
fazioni".

Fonte: Palestine Chronicle

traduzione a cura di www.arabcomint.com