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I fasci sui forconi

Publie le sabato 14 dicembre 2013 par Open-Publishing

Troppi saluto romani per essere un caso, e la volontà esplicita di tenere le acque agitate. Quale obiettivo?

«Non li abbracciamo ma certo le nostre reazioni, rispetto al passato, sono molto cambiate». Armando Forgione, direttore del Servizio ordine pubblico del Viminale ha scelto il Messaggero di Roma per la sua prima intervista. I tempi sono grami per tutti ma lui s’è trovato in prima linea a fronteggiare la galassia, l’ameba, il corpo informe della protesta soltanto incazzata di chi urla senza sapere bene cosa chiedere. Vorrebbe piegare come è cambiata “la politica” della Polizia ma a noi interessano loro, quei “Forconi” fantasma dentro cui puoi trovare tutto e il contrario di tutto, comprese possibili schegge impazzite.

 

Primo problema anche per la polizia, capite con chi si ha a che fare. «Siamo abituati a manifestazioni non usuali ma generalmente sono riconducibili a una fazione. In questo caso non è così. È una protesta difficile, perché imprevedibile. Ci era stata data la comunicazione dello sciopero dell’autotrasporto dal 9 al 13 dicembre. Poi, però, il 95 per cento dei sindacati si è sfilato perché è stato trovato un accordo il 28 novembre, sono spuntate due sigle, ma anche tanta confusione». Pasticcio all’italiana anche per la rabbia che qualcuno sta portando in piazza.

 

Poi, la temuta “Marcia su Roma”. «In realtà, finora, l’unico che si è presentato in questura a Roma è stato Daniele Calvani, l’agricoltore di Latina, che rappresenta il Coordinamento nazionale 9 dicembre. Ma è stata solo una visita per avere informazioni, nessuna comunicazione formale. Non c’è un vero interlocutore della protesta, è un fritto misto di situazioni non interpretabili. Il livello di attenzione è molto alto». Attenzione delle forze di polizia alta ma assieme tensione e preoccupazioni che montano. Troppi episodi di violenza ormai per essere casuali.

 

Troppe mani tese nel saluto romano tra i più duri di quelle piazze. «Sì, la connotazione è di destra, ma è molto frastagliata: Forza Nuova, Casa Pound, Fratelli d’Italia e Storace. A Torino erano presenti anche i centri sociali, come Askatasuna, che non avevano alcuna voglia di lasciare la piazza agli avversari. Sono stati tutti insieme nei presidi, ma non hanno effettuato alcuna azione comune, hanno agito ognuno in punti diversi della città». Esiste un disegno destabilizzante? «La volontà è di tenere le acque agitate. Anche le proteste degli studenti dell’università La Sapienza rientrano in questa logica».

 

Quindi la polemica sui poliziotti che si tolgono il casco quasi a fraternizzare e condividere la protesta. «È cambiato il metodo di approccio. Ora chi è destinato a fare ordine pubblico è molto preparato, non c’è più spazio all’improvvisazione. I picchiatori della Celere li consegnerei a episodi storici. Io ho fatto tanto ordine pubblico: bastava che ci tirassero le monetine e partiva la carica, ora no. La storia del casco è stato un gesto distensivo, l’ordine di toglierselo è stato dato perché la situazione era ormai tranquilla. La stessa cosa è avvenuta nel caso della manifestante No Tav che bacia il poliziotto». La memoria del G8 di Genova sembra aver lasciato il segno.

 

«Nel 2008 è stato inaugurato il Centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico di Nettuno: ora il modello operativo e di intervento è uguale a Catania come a Milano. Gli episodi recenti mettono chiaramente in evidenza qual è il nostro spirito. E se è necessario intervenire con una carica, l’obiettivo non è fare feriti, ma disperdere. Il corteo deve avere una via di fuga. Se c’è un fiume dietro la protesta, non interveniamo, se c’è un ponte o una strettoia pure». Cambio di strategie nell’ordine pubblico ma assieme, nel disordine di piazza. Una rabbia sempre più scomposta e e politicamente stumentalizzabile. Come serve a qualcuno.

http://www.remocontro.it/italia/fasci-sui-forconi/

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