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Timidi tentativi di rilancio della mobilitazione anti-guerra. Casarini: «Il movimento non c’è». L’Arci e Agnoletto ci provano
di LUCA FAZIO
Solo l’uccisione di un uomo, un italiano, con una sensibilità vicina a chi maledice la guerra, riesce almeno per qualche giorno a riproporre drammaticamente l’orrore di una carneficina cui ormai sembriamo assuefatti. Non è più tempo di proclami e di bandiere arcobaleno, e nemmeno può bastare la doverosa richiesta di ritiro delle nostre truppe dall’Iraq. Sembra ingeneroso chiederne conto proprio a chi si è sempre battuto contro questa guerra, eppure la morte di Baldoni, ovvero il ritorno alla ribalta di un conflitto che ultimamente ci ha visto un po’ distratti, è l’occasione buona per sentire alcune voci di un «movimento» rimasto senza parole (la Tavola della Pace ieri ha inviato solo un messaggio ai pacifisti americani che domani sfileranno, a New York, in occasione della convention repubblicana). C’è addirittura chi sostiene che questo «movimento» abbia definitivamente chiuso un ciclo. Non è un segno di resa quello di Luca Casarini, portavoce dei disobbedienti del nord-est. Semmai un ripiegamento. «Siamo di fronte a una guerra globale a diverse intensità - spiega - e solo ogni tanto sembra che ci tocchi da vicino. Reagiamo come pugili suonati, succede qualche cosa e ripartono gli slogan: non è indice di vivacità ma di assuefazione. Il dramma ormai è che la guerra ha invaso lo spazio pubblico». Casarini insiste su un punto, la necessità di ritrovare la capacità di costruire dal basso meccanismi di sabotaggio della guerra. In che modo? «Un’idea diversa di movimento - dice - si costruisce a partire dai territori, con una dinamica più materiale, bisogna interrogarsi su come viviamo, non abbiamo più bisogno di autorappresentazione ma di concretezza». Una strategia che richiede tempi lunghi, Casarini lo ammette, mentre la guerra non aspetta nessuno.
Giorno dopo giorno, fare qualcosa di concreto sembra impossibile, questo è il punto per Gianni Meazza, della Rete Lilliput di Milano. Ma se il senso di impotenza del movimento è palpabile, «una sorta di non speranza», bisognerebbe chiederne conto alla politica. «Noi ci siamo mobilitati e ci mobiliteremo ancora - dice Meazza - sulla spinta di emozioni forti, però, ammettiamolo, nelle mailing-list del movimento, anche le più radicali, è quasi tutto fermo: fioccano adesioni agli appelli ma si capisce che sono formali, non sentiti come una volta. Ricordiamoci che le grandi mobilitazioni non hanno portato a nulla, abbiamo un governo che fa quello che vuole e la sinistra...beh, lasciamo perdere». Il problema, per Paolo Beni, della presidenza nazionale dell’Arci, che ieri ha invitato alla mobilitazione, è proprio questo: come riuscire a coinvolgere la politica. «L’assassinio di Baldoni - spiega - è inevitabile che susciti emozione, però dobbiamo riflettere sul fatto che in Iraq avvengono tutti i giorni omicidi efferati». Beni però non ci sta a intonare il de profundis per il movimento. «Fa parte della natura dei movimenti esprimersi con andamento carsico, questo movimento ha sedimentato molto e sono sicuro che sarà capace di riemergere e sorprendere tutti. La stragrande maggioranza dei cittadini è convinta che questa guerra sia sbagliata, il problema è che la politica continua a non raccogliere questo sentimento diffuso».
Per Vittorio Agnoletto, neo parlamentare europeo del Prc, il movimento non ha esaurito il suo compito. «Credo che lo shock della morte di Baldoni abbia rotto l’assuefazione, spero che serva almeno a smarcarci da questo rischio tremendo. Mai come in questo momento, però, dobbiamo essere capaci di metterci nei panni degli altri: mentre veniva ucciso Baldoni, a Najaf sono state uccise cento persone, non dobbiamo pensare che tutto il mondo giri intorno a noi. Se la nostra nazione si raccoglie giustamente nel lutto per una persona, proviamo a immaginare cosa significhi essere un iracheno oggi». Agnoletto crede anche nell’agibilità politica del movimento, e segna una data sul calendario. Il 15 settembre, a Strasburgo, quando per la prima volta il parlamento europeo discuterà di guerra. «Verrà votata la nostra richiesta di ritiro delle truppe, un voto favorevole sarebbe un messaggio forte per la Commissione europea e per le nostre opposizioni, in caso contrario significa che stiamo vedendo solo lacrime di coccodrillo».
Teresa Sarti, presidente di Emergency, non si sente sotto scacco dall’andamento carsico del movimento, percepisce l’assuefazione dilagante ma è costretta a vedere la guerra da un’angolazione diversa: «Se una vittima non ti somiglia in qualche modo, o non ha il tuo stesso passaporto, difficilmente riesce a suscitare commozione. Sulla morte di Baldoni titolerei solo ennesima vittima, senza nulla togliere all’orrore di questa uccisione». Per la prima volta nella sua vita, Teresa Sarti non vede vie di uscita da questa carneficina. Probabilmente è la stessa sensazione condivisa da un «movimento» da tempo rimasto senza parole.