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I piccoli dottor Mengele dell’esercito americano all’opera a Abu Ghraib
Publie le domenica 22 agosto 2004 par Open-PublishingUn ruolo attivo I referti degli iracheni morti sotto interrogatorio falsificati per far sparire ogni prova di violenza. Il rapporto della rivista inglese Lancet
di CARLO MARIA MIELE
Dietro le torture di Abu Ghraib c’è anche la mano dei medici statunitensi. I dottori dell’esercito americano impiegati nel campo di prigionia alle porte di Baghdad avrebbero lasciato mano libera ai militari, coprendo i casi di abuso, creando falsi referti, ma talvolta assumendo anche un ruolo attivo. Ad affermarlo è l’autorevole rivista scientifica britannica Lancet, che in un lungo articolo, corredato da fonti e testimonianze, ricostruisce l’operato dei nuovi Mengele. Il rapporto parla di malati abbandonati a se stessi, di abusi sui prigionieri con handicap e di infezioni lasciate imputridire. All’interno della prigione dell’esercito, ai detenuti non sarebbe stato garantito nessuno dei diritti previsti dalla convenzione di Ginevra.
Entrare ad Abu Ghraib significava essere dimenticati per sempre. Le autorità del carcere non effettuavano i controlli medici regolari, non denunciavano i casi di malattia o i decessi, né comunicavano alle famiglie eventuali trasferimenti dei malati in altre strutture. Gli iracheni morti durante le torture venivano classificati come deceduti per infarto, colpo apoplettico, o «cause naturali». Un medico - si legge nel rapporto - inserì un catetere intravenoso nel corpo di un prigioniero morto durante gli interrogatori per far credere che fosse stato trasferito ancora vivo in ospedale.
Partendo dagli atti del congresso degli Stati uniti e dalle testimonianze giurate di prigionieri e soldati, l’autore dell’indagine, il professore dell’università del Minnesota Steven Miles, arriva ad affermare che «il sistema medico dell’esercito americano non ha protetto i diritti umani dei detenuti, talvolta collaborando negli interrogatori delle guardie carcerarie, senza denunciare i ferimenti e i decessi causati da maltrattamenti». Nel lungo elenco degli abusi rilevati vi sono casi di pestaggio, bruciature, asfissìa, minacce, umiliazioni sessuali e isolamento. In questo scenario dell’orrore, la colpa dei medici non sarebbero stata semplicemente quella di essere rimasti spettatori passivi. I racconti dei detenuti, inclusi nel rapporto, superano ogni immaginazione. Gli interrogatori ad Abu Ghraib avvenivano in presenza di un medico e di uno psichiatra: quando il prigioniero, vittima dei pestaggi, perdeva i sensi, loro intervenivano per rimetterlo in sesto, permettendo agli aguzzini di continuare il proprio lavoro.
Altre testimonianze parlano di ferite sui prigionieri causate e suturate personalmente dalle guardie del carcere, per esplicita concessione dei medici. «Le giustificazioni legali - scrive Miles - come chiedersi se i detenuti fossero prigionieri di guerra, soldati, combattenti nemici, terroristi, cittadini di stati caduti, ribelli o criminali, fanno perdere di vista la questione centrale». Le tante dichiarazioni di principi sottoscritte dagli Stati uniti, e lo stesso regolamento interno dell’esercito, infatti, «proibiscono ai militari di fare uso della tortura e dei trattamenti degradanti su tutti gli esseri umani». Un discorso che dovrebbe valere maggiormente per i medici. L’esercito statunitense, per bocca di un suo portavoce, si è affrettato a smentire il rapporto, definendolo «approssimativo», mentre alcune organizzazioni mediche americane hanno sostenuto che, se le accuse venissero confermate, i medici di Abu Ghraib dovrebbero essere messi sotto giudizio.
In un suo editoriale, il Lancet fa un appello a creare una nuova commissione di inchiesta sulle torture, che sappia analizzare maggiori elementi di quanto è stato fatto finora. Le prospettive future però appaiono tutt’altro che incoraggianti: «Lo stato attuale di crisi del diritto internazionale - conclude Miles - ha aumentato i rischi per gli individui che diventano prigionieri di guerra dopo Abu Ghraib, perché è diminuita la credibilità degli appelli internazionali per loro».