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IL LAVORO IN QUESTIONE (1)

Publie le mercoledì 22 settembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao


di Patrick MIGNARD

DIRITTO AL LAVORO ? QUALE DIRITTO ? QUALE LAVORO ?

Il lavoro é un diritto, o piuttosto « sarebbe un diritto ». E’ detto, é proclamato, é raramente
contestato, é perfino scritto nella dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948
e ripreso nel preambolo della Costituzione francese del 1958, che riprende quella
del 1946.

Il lavoro é un diritto, eppure si puo’ esserne privati e nessun tribunale puo’ far
rispettare questo diritto. Allora ?

Allora la cosa é più complicata di quanto sembri.

Quando si parla di « diritto al lavoro », si fa confusione. Non é realmente del « diritto al lavoro » di cui si tratta ma piuttosto di diritto all’ « esistenza sociale ». D’altronde ogni società che pretende di essere democratica non puo’ ignorare questo diritto. Il problema é che nella società mercantile l’ « esistenza sociale » é intimamente legata al lavoro. In effetti, é il possesso di un lavoro, di un impiego, che determina le condizioni di questa esistenza. Ora, l’accesso al lavoro é molto problematico e soggetto a condizioni particolari.

UN DIRITTO O UN OBBLIGO ?

E’ obbligo della società offrire condizioni d’esistenza « decenti » a tutti i membri della collettività. Cio’ deriva dal riconoscimento di un’etica sociale imposta nel corso dei secoli da molteplici lotte ed é proclamato nelle diverse dichiarazioni dei diritti dell’Uomo fin dal 18° secolo. Vi é dunque a questo proposito un obbligo morale della società nei confronti di ognuno dei suoi membri.

Quest’obbligo morale della società é divenuto, da parte dell’individuo, une rivendicazione, che per abuso di linguaggio e per imprudenza da parte della società é diventata un diritto. Ora, se un obbligo morale é soltanto morale e non puo’ essere esatto, un diritto puo’ domandare di essere applicato... un diritto é qualcosa di più di un obbligo morale.

Si pone allora la questione della realizzazione delle condizioni che permettano di garantire quest’obbligo trasformato in diritto. In un’economia di mercato, la condizione é chiara e precisa : é attraverso il lavoro che l’individuo si integra, aquisisce uno status sociale, un riconoscimento sociale e puo’ approfittare di una parte delle ricchezze prodotte. E’ là che cominciano le difficoltà.

L’acquisizione di un lavoro, di un impiego si fa a condizioni rigorose : la forza lavoro di un individuo non é che un mezzo di produzione la cui finalità é la valorizzazione del capitale. Non vi é dunque necessariamente una similitudine fra bisogno di lavoro per il dipendente e offerta da parte del datore di lavoro. Questa situazione, lo si capisce, rende caduco quest’obbligo e a fortiori questo diritto. In effetti, chi puo’ garantire che ognuno-a avrà un lavoro ? Evidentemente nessuno. Né l’impresa, che non ne ha il compito, né lo Stato che non solo non ha alcun obbligo, soprattutto questo, da imporre all’impresa, ma che per di più é il garante di questo sistema.

UN DIRITTO CHE NON E’ UN DIRITTO

Un diritto che é in contraddizione col principio di funzionamento del sistema mercantile e non puo’ essere garantito da nessuna autorità non é propriamente un diritto. Detto altrimenti, il diritto al lavoro non esiste e non puo’ esistere in questo sistema. Rivendicarlo vuol dire non capire come funziona il sistema mercantile. Voler farlo rispettare vuol dire avere gli strumenti per rimettere in questione i principi di funzionamento di questo sistema.

Eppure, anche se lo Stato sa che il diritto al lavoro non puo’ essere rispettato, esso sa anche che l’impossibilità per il sistema mercantile di fornire ad ognuno-a le condizioni per la sua esistenza non puo’ che produrre, prima o poi, e nel caso in cui il fenomeno si estenda, dei disordini sociali. Ora, é esattamente questo che sta succedendo.

Finché il sistema ha potuto creare posti di lavoro, i conflitti sociali hanno potuto limitarsi a rivendicazioni qualitative (salari, condizioni di lavoro...). La situazione era certo conflittuale, ma recuperabile...il padronato « comprava la pace sociale ». La disoccupazione aveva il compito di « regolatore » in materia di impiego e per quanto riguarda la concorrenza fra i lavoratori. Oggi con la modializzazione mercantile la situazione si é aggravata. Certo, la disoccupazione ha sempre il ruolo di « regolatore », soprattutto nella prospettiva di una deregolamentazione del lavoro, ma é comparso un fenomeno più inquietante : la perdita massiccia di posti di lavoro dovuta alla crescita della produttività ed alla concorrenza di paesi « dove i salari sono più interessanti ». Questa perdita strutturale di posti di lavoro ha una conseguenza determinante : una distruzione durevole e di grandi proporzioni del tessuto sociale, un’esclusione di massa e di conseguenza una rimessa in questione del « senso » dell’insieme del sistema.

UNA RIMESSA IN QUESTIONE DELLO STATUS DEL LAVORO

Il lavoro salariato, elemento costitutivo del tessuto sociale nella nostra società non é più in grado di assolvere al suo compito. Cosa vale il diritto al lavoro per chi non ne ha e sa che non ne troverà ? Come interessare dei giovani al lavoro quando sanno che hanno una probabilità non trascurabile di non trovarne ? Come voler mantenere una coesione sociale, senza parlare di armonia, quando l’elemento essenziale della sua costituzione manca per un numero crescente di cittadini ?

Lo status del lavoro salariato, criticato come mezzo per strumentalizzare l’Uomo, tende a non riempire più neppure la funzione di permettere al lavoratore dipendente di vivere del suo lavoro percependo un salario. Stiamo vivendo una vera rimessa in questione di cio’ che é il lavoro nel sistema mercantile.

Lo Stato é, ben inteso, incapace di porre il problema nei suoi veri termini. Non ne ha d’altronde l’intenzione. Cerca di risolvere il problema con degli espedienti sperando di ritardare i conflitti sociali e di salvare le apparenze.

La questione del lavoro é veramente centrale per l’alternativa politica. Essa condiziona il modo in cui deve essere posta quest’ultima. Si articola con la critica ed il necessario superamento della merce. Le nouve forme di relazioni con la produzione ed il consumo devono riposizionare la questione del lavoro, superando, abolendolo, il quadro salariale per fare del lavoro non più un elemento di alienazione e di esclusione ma un’attività alla quale si consente liberamente per sodisfare dei bisogni liberati dalle imposizioni mercantili.

Tradotto dal francese da Karl e Rosa - Bellaciao